Parliamo di monete e moneta

In questa fase in cui non ho voglia di scrivere nulla di più impegnativo ho deciso che volevo tediarvi con un altro pezzo sulla pazza storia del mondo (edizione : “babbo natale non esiste”) per cui a questo giro parleremo della moneta e dell’economia.

Il bisogno di una moneta è un altra di quelle scomode complicazioni che sorgono non appena c’è da muoversi all’esterno della comunità-branco tipica dei cacciatori-raccoglitori e, visto il lavoro che svolge, è abbastanza probabile che ci accompagnerà in una forma o nell’altra (che ci piaccia o meno) per i prossimi millenni (non me ne vogliano i fan di Star Trek).

La questione è molto semplice: come si fa ad ottenere qualcosa che ha un altro ?

La soluzione cavernicola era facile : un colpo di clava ben assestato o uno scambio. Tuttavia andando avanti anche le comunità itineranti si trovarono a dover inventare un sistema pratico per “dare ed avere”, se infatti era sempre possibile scambiare qualcosa per qualcos’altro (bestie, figlie, cibo) c’era un serio problema: non esisteva una forma seria di risparmio; ancora peggio… magari era ragionevole scambiare una rapa per una carota ma come ci si doveva regolare quando i due beni non avevano sostanzialmente lo stesso valore ?

La cosa era ancora peggiore per le comunità stanziali: una comunità evoluta generava una grande varietà di oggetti di diverso valore, ed era necessario trovare un modo “equo” per permettere una tale differenziazione… mi spiego meglio: in una comunità con accesso al mare o ad un fiume le barche sono essenziali, ma mentre è facile scambiare una rapa per una carota un po’più difficile è trovare qualcosa che possa ripagare o valorizzare una barca (o un ascia, o un aratro) e di sicuro chi fa la barca di qualcosa deve campare mentre costruisce il “bene” (bene che può richiedere mesi o anni prima d’essere completato e richiedere, a sua volta, beni di terzi per essere costruita).

 

Nasce la moneta.

Come si poteva risolvere il problema ? Originariamente nei piccoli gruppi c’era una visione molto “familistica” di beni e servizi, per cui se facevi qualcosa per la comunità la comunità ti dava il necessario per vivere, solo che la cosa diventava sempre meno pratica a poco a poco che gli insediamenti crescevano.  Quello che nacque un po’ovunque nel mondo fu quindi il concetto di moneta (essì, è una specie di “effetto collaterale”), cioè un bene “intermedio” che permetteva di esprimere una certa quantità di “bene”.

Il “bene” poteva essere scambiato con un “equivalente” quantità di lavoro, merci, beni, servizi, prestazioni o cibo (il termine “derrata” viene proprio da lì).

In sé la moneta, per scelta di chi l’adottava, aveva certe particolari “caratteristiche” che la rendevano utile, fra queste la prima era la durevolezza: vennero adottati materiali abbastanza robusti e resistenti all’usura ed alla corrosione, per questo ci si orientò abbastanza presto verso oro e argento.

Oltre a questo oro ed argento erano anche sufficientemente comuni ma non troppo comuni: un materiale “troppo comune” in natura (come i ciottoli) avrebbe permesso a chiunque di “farsi da solo” la sua “ricchezza” rendendo la moneta inutile mentre un materiale “troppo raro” in natura (come i diamanti) sarebbe stato inutilizzabile perché non ci sarebbero stati abbastanza diamanti per poter fare un “congruo” numero di monete, e quindi non si sarebbe potuta creare una vera economia.

 

L’inutilità dell’oro.

A questo s’aggiunge un altro aspetto: l’oro e l’argento erano inutili… non erano infatti necessari per la realizzazione di nessuno strumento o prodotto “essenziale” ed anzi avevano alcuni problemi (di duttilità e/o malleabilità) che ne limitavano l’uso in metallurgia… per cui si potevano usare come moneta senza dover rinunciare a risorse utili in altro modo. Vero è che dopo l’adozione di questi metalli “preziosi” vennero usati anche in decorazioni, ornamenti, monili ed in altri oggetti pensati per ostentare il proprio status e la propria ricchezza, altrettanto vero che il fatto che esistessero calici d’oro non implicava che non fosse possibile fabbricare calici senza usare oro.

Si noti che fino a questo punto l’oro e l’argento sono solo materiali molto belli a vedersi ma non hanno un valore intrinseco… il valore gli è dato dal fatto che esiste una convenzione, all’interno della comunità, per cui possono essere scambiati.

 

Il vero significato della moneta.

In questo stadio dello sviluppo della civiltà l’utilità di una moneta è essenziale, laddove i beni di una comunità sono in genere deperibili (cibo, vino, bestiame, servizi) la moneta rappresenta un bene durevole; un jolly che, rappresentando qualsiasi oggetto acquistabile, può essere a sua volta scambiato con qualsiasi oggetto.

Oltre a questo la moneta ha altri vantaggi : può rappresentare qualsiasi quantità di qualcosa: se una moneta vale un sacco di farina allora con due rappresenti due sacchi di farina, se una moneta vale una coppa di vino puoi scambiare un sacco di farina per una moneta e con la moneta comprare coppa di vino senza dover necessariamente scambiare farina per vino. E fin qui tutto facile… ma se con duecento ci compri una barca allora puoi vendere una barca per duecento monete e scambiarli per coppe di vino e sacchi di farina quando ne hai bisogno, senza doverti preoccupare di trovare qualcuno disposto a “scambiare” farina e vino per una barca.

In pratica la moneta è un astrazione, rappresenta l’unità di “potere d’acquisto” che permette di barattare qualsiasi cosa che abbia valore con qualsiasi cosa che sia acquistabile, col vantaggio di poter essere conservata e di essere facilmente trasportabile.

 

Nulla si crea e nulla si distrugge, tutto si trasforma.

In pratica con la moneta nasceva la possibilità di un economia vera, si potevano comprare e vendere beni… e si poteva risparmiare. Va notato (lo so, sono pedante, ma è importante) che in sé la moneta non aveva un valore proprio, il valore dipendeva da chi la scambiava ed a sua volta questo valore era legato alla disponibilità dei beni. Il valore effettivo della moneta non era però vincolato: da un lato se un anno c’era un raccolto abbondante con una moneta si poteva comprare più farina di quanta se ne poteva comprare quando il raccolto era scarso, dall’altro se per un motivo o per l’altro c’erano tante monete in circolazione il prezzo della farina aumentava perché la gente, avendo più monete, era disposta a pagare più monete per lo stesso sacco di farina.

A stabilizzare il valore delle monete era sostanzialmente la disponibilità d’oro, l’oro poteva essere estratto in miniera in quantità modeste (rispetto a quello già “in commercio”) per cui la quantità “in circolazione” era pressocché fissa ed il suo valore era quindi stabile. Non c’era nessun potere straordinario nella disponibilità dell’oro, l’oro era soltanto un “segnaposto” per codificare beni e servizi da esigere o già goduti… un segnaposto cedibile, se ne accorsero molto crudamente gli spagnoli quando, a margine della scoperta delle americhe, importarono dal nuovo continente tantissimo oro… che non si tradusse in una maggior ricchezza per nessuno: semplicemente più oro voleva dire più monete contemporaneamente in circolazione, e più monete in circolazione insieme implicarono che la singola moneta, di suo, perdeva “potere d’acquisto”.

I prezzi si adattavano “all’offerta” di moneta in circolazione aumentando di pari passo (qual’è un sinonimo di aumento / crescita ? “inflazione”) cosicché il potere d’acquisto reale non aumentava ma si andava spostando da chi deteneva la moneta precedentemente a chi introduceva la nuova col risultato che chi aveva accumulato vedeva erodere il potere d’acquisto dei suoi risparmi a favore di chi introduceva le nuove monete e di chi forniva beni e servizi (quindi sostanzialmente i governi e chi commerciando, e poteva alzare i prezzi).

 

Ciò che è e ciò che rappresenta.

La vera ricchezza di un popolo non era quindi nella moneta in sé: un popolo che vivesse in una landa con copiose quantità d’oro ma con scarsissimo cibo non sarebbe “ricco”, sarebbe solo pieno d’oro (e probabilmente di monete luccicanti) ma quelle monete avrebbero un potere d’acquisto abbastanza blando. Questo punto è centrale per quello che sto cercando di far capire: non esiste in tutta la storia della moneta (e dell’economia in sé) un valore intrinseco della moneta o dell’oro… non c’era allora e non c’è ora.

Stranamente questo concetto, che è facilmente intuibile, non ha avuto chissà quale seguito nei secoli scorsi tant’è che anni ed anni sono stati passati da alchimisti e studiosi dell’occulto nel tentativo (vano) di creare oro (o, per come andava per la maggiore allora, trasformare il piombo in oro).

C’è però da dire che per millenni la quantità del “prezioso” metallo è stata pressocché fissa (in sé il metallo estratto andava via via aumentando, ma questo avveniva molto lentamente, per cui il suo valore era abbastanza stabile).

 

La moneta propriamente detta.

Ora torniamo alla moneta in sé: l’oro, per poter essere usato come moneta di scambio doveva comunque essere diviso in “unità”, avendo ogni unità lo stesso valore era ovvio che ogni unità doveva avere la stessa quantità d’oro, quindi la stessa forma e lo stesso peso… nasceva quindi la moneta propriamente detta. Uno dei primi problemi era però dovuto ai materiali usati : l’oro (ed in minor misura l’argento) hanno diversi inconvenienti per cui non possono essere usati puri ma vanno miscelati con altri elementi che li rendono più adatti all’uso; per fortuna la metallurgia non ha mai avuto grossi problemi a realizzare delle leghe.

Il problema vero è che chiunque poteva giocare con la quantità d’oro nelle monete per guadagnarci qualcosa… un malintenzionato poteva prendere dieci monete, fonderle, aggiungerci metallo (non oro) per un altra moneta e coniare undici monete.

E’per questo che fin dall’antichità solo l’autorità preposta (il re, l’imperatore, il papa, la banca centrale) ha il diritto di forgiare moneta ed esistono apposite leggi (oggi meno cruente di ieri) per punire i falsari. E’importante notare che dare il monopolio della stampa all’autorità non è un “sopruso” nei confronti della comunità ma un azione a sua salvaguardia : se solo l’autorità poteva produrre monete il valore della moneta era al sicuro da questo genere di speculazioni. Non che questo evitasse ogni genere di speculazioni ma almeno in quell’ambito l’unico a potere fare (almeno legalmente) certi giochi sul conio era “il signore” che sulla moneta ci metteva (letteralmente) la faccia (da qui “signoraggio”) e nel suo feudo la moneta aveva il valore “di facciata” (“un fiorino”, “un sesterzo”, “un mon”, “una ghinea”, “un doblone”) indipendentemente dalle questioni metallurgiche.

La cosa funzionava discretamente bene in una realtà “poco mobile” come quella del medioevo in cui ci si spostava poco e la vita era limitata per lo più agli insediamenti, tuttavia il problema si presentava spesso laddove c’erano scambi economici, commercio ed in generale attività mercantile… i commercianti che dovevano avere a che fare con diverse monete dovevano stare molto attenti al valore reale delle monete, al loro cambio ed alla quantità d’oro presente in esse, non per niente una delle figure più prominenti (specie nel rinascimento) fu quella del cambiamonete.

Quentin Massys (1514) – “Il cambiamonete e sua moglie”

Sì, il grosso cambiamento nel mondo della moneta venne non tanto dalla politica ma dal commercio.

Per secoli la moneta di un paese era uno dei segni distintivi del prestigio e del potere di un qualche stato, il semplice fatto che il fiorino (la moneta coniata a Firenze) era scambiato ed accettato in praticamente tutt’Europa non solo indicava il lustro della città e del suo signore ma rappresentava un terrificante potere politico che i notabili della città del giglio usavano liberamente.

 

Il credito ed i “perfidi giudei”.

E qui dovrebbe entrare in gioco un entità che tutti, nel bene e nel male, conosciamo: le banche. Facciamo però prima un passo indietro e vediamo come nasce e si sviluppa il credito.

Il credito (e quindi il debito) è, in sé, vecchio quanto il mondo… a dargli una connotazione importanza ci penserà però la religione cattolica, in particolare il quarto concilio lateranense che, nel 1215, creerà una particolare “casta” di persone che, per una ragione di credo, era inferiore alle altre: gli ebrei.

Ci sarebbe tanto da dire tanto sul concilio quanto sugli effetti, onestamente mi sale il disgusto e quindi mi terrò sullo specifico : agli ebrei veniva vietato di avere incarichi pubblici, di farsi vedere in pubblico senza essere riconoscibili, di tornare alla loro religione se convertiti (questa fa particolarmente schifo perché spesso rubavano i bambini, li battezzavano e li abbandonavano… visto che gli ebrei vennero costretti a vivere nei ghetti e che era fatto divieto ai cristiani di vivere nei ghetti i bambini rapiti non solo avevano imposta una religione “non loro” ma si trovavano abbandonati a sé stessi ed impossibilitati a tornare nella loro famiglia) ed altro ancora.

Unica concessione positiva (che poi è quella che interessa a noi) è che se ai cristiani era fatto divieto di fare usura (cioé di pretendere indietro più soldi di quanti non se ne prestassero) tale “privilegio” era lasciato agli ebrei… non come “compensazione” per le altre norme ma perché guadagnare col credito era considerato svilente e “impuro” (e chi lo praticava veniva giudicato abietto)… ciononostante qualcuno doveva pur farlo!

Quello che mancava lo aggiunsero i papi in seguito, in particolare Paolo IV con la sua Cum nimis absurdum che, oltre che rincarare la dose (istituendo ghetti e costringendo gli ebrei a vestirsi di stracci) vietò agli ebrei di possedere beni immobili e limitò il commercio per cui tutta la ricchezza che questi poveri disgraziati avevano finì automaticamente per essere investita nel credito.

Sia chiaro, anche i cristiani trovavano il modo di sfruttare il credito (bastava chiedere quanto prestato e magari un “regalo” commisurato al prestito come “riconoscenza”) ma il grosso del “mercato” del credito finì per essere in mano agli “assassini di Cristo” (così venivano chiamati), con il risultato non del tutto aspettato, che gli “odiati giudei” si trovarono ad accampare diritti a ricchi e potenti cristiani (e cattolici in genere) che erano in debito di cifre colossali. Pare anche che “il mercante di Venezia” di Shakespeare venga proprio dall’odio che la regina Elisabetta avesse per gli ebrei in genere (ed i suoi creditori in particolare), notevole il fatto che in un opera di eccezionale bruttezza (per gli standard dello scrittore) l’unica parte degna di nota è probabilmente il monologo di Shylock.

Qui la versione corretta:

A farne esca per i pesci. Se essa non potrà alimentare altro, alimenterà per lo meno la mia vendetta. Egli mi ha vituperato, mi ha impedito di guadagnar mezzo milione, ha riso delle mie perdite, si è burlato dei miei guadagni, ha insultato il mio popolo, osteggiato i miei affari, ha raffreddato i miei amici, riscaldato i miei nemici. E per qual motivo? Sono un ebreo. Ma non ha occhi un ebreo? Non ha un ebreo mani, organi, membra, sensi, affetti, passioni? Non si nutre degli stessi cibi, non è ferito dalle stesse armi, non è soggetto alle stesse malattie, non si cura con gli stessi rimedi, non è riscaldato e agghiacciato dallo stesso inverno e dalla stessa estate come lo è un cristiano? Se ci pungete, non facciamo sangue? Se ci fate il solletico, non ridiamo? Se ci avvelenate, non moriamo? E se ci oltraggiate, non dobbiamo vendicarci? Se siamo simili a voi in tutto il rimanente, vogliamo rassomigliarvi anche in questo. Se un cristiano è oltraggiato da un ebreo, qual è la sua mansuetudine? La vendetta! Se un ebreo è oltraggiato da un cristiano, quale può essere, sull’esempio cristiano, la sua tolleranza? Ebbene, la vendetta! La malvagità che mi insegnate la metterò in opera e sarà difficile che io non abbia a superare i maestri.

…scusate per la digressione.

 

Nascono le banche.

Parallelamente allo sviluppo del commercio, gli scambiatori di moneta e gli orafi stavano acquistando prestigio e potere, molti di loro avevano capito che la società era pronta per un passo avanti, quello per passare dalla moneta a qualcosa di più “raffinato”.

Viaggiare in quel tempo (parliamo della fine del medioevo e del rinascimento) era un azzardo, portarsi dietro monete e oro era scomodo oltre che pericoloso a causa dei briganti… eppure spesso era necessario, per cui spesso la gente depositava il proprio oro dagli orafi (che oltre che lavorarlo all’occasione potevano anche conservarlo) prendendo in cambio delle note che attestavano il deposito, delle note di banco.

Erano proprio dei banchi di legno sulle strade, o banche quelli in cui la gente si recava per lasciare il proprio oro… ed una cosa che apparve subito evidente era che generalmente la gente depositava una certa quantità d’oro ma ne richiedeva indietro una parte minore, lasciando il resto in giacenza. La concomitanza di questi eventi, l’emergere di questi nuovi tipi di lavoro e certe esigenze portarono quasi immediatamente alla logica conseguenza : la nascita delle banche (fra cui la più antica ancora in attività è il Monte dei Paschi di Siena) e delle note di banco (tu chiamale, se vuoi, banconote).

Le banche si trovarono presto con notevoli quantità di moneta depositata e pensarono bene d’investire parte di questi depositi in imprese in modo da generare ulteriore ricchezza.

Questo sistema moltiplicava la quantità di moneta “virtualmente” in circolo in quanto se prima c’erano, ad esempio, due persone con dieci monete grazie alle banche ci potevano essere due persone con due monete, due note di banco da 8 monete e 16 monete in banca, di cui probabilmente 8 prestate in attività produttive. Non a caso ci volle poco per far sì che le terre in cui per prima avvenne quest’evoluzione ebbero una vera e propria età dell’oro, conseguentemente la moneta usata in tali luoghi (il fiorino, appunto) si diffuse a macchia d’olio nel resto del mondo conosciuto e con esso i nomi ed il “credito” (inteso come credibilità) delle banche che vi operavano.

Le banche iniziarono ad aprire “filiali” o ad accordarsi con notabili nelle varie capitali d’Europa e presto quello delle banche diventò un sistema: una persona poteva depositare della moneta e farsi dare una nota di banco in una sede e successivamente farsi rimborsare la cifra depositata in un altra sede col risultato che non era più necessario portare fisicamente il denaro con sé. Mentre Colombo scopriva l’America in toscana si scopriva l’uovo di colombo.

 

Il resto la prossima volta.

 

G.D.E.

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