Fatti non foste a viver come tarli

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  • #14712
    Beelato
    Partecipante

    Vi è mai capitato d’infilare il piede destro nella scarpa sinistra, o viceversa?
    Probabilmente sì, e sicuramente avrete capito subito che quella era la scarpa “sbagliata”, cioè che i due oggetti “scarpa” vanno accoppiati con i due oggetti “piede” nell’unico modo corretto (il destro con il destro e il sinistro con il sinistro) altrimenti l’accoppiamento non riesce, e questa cosa si verifica anche con le mani ed i guanti: c’è un unico modo possibile per accoppiare i guanti alle mani, se si cerca d’infilare la mano nel guanto “sbagliato” non ci si riesce, e queste cose son così ovvie che non ci si sta a pensarci troppo.
    Ma vi siete mai chiesti perché questo succede?
    Il motivo è dovuto al fatto che le mani ed i piedi sono oggetti asimmetrici, oggetti privi di un piano di simmetria (cioè non esiste un piano immaginario in grado di dividerli in due parti uguali) e questo fa sì che, se mettiamo un oggetto asimmetrico davanti allo specchio, la coppia costituita dall’oggetto e dalla sua immagine speculare è una coppia di oggetti che non sono identici ma sono diversi tra loro, sono opposti, in pratica è una coppia di oggetti che, pur somigliandosi moltissimo, non si possono sovrapporre esattamente uno all’altro, così come non posso sovrapporre esattamente l’una all’altra le mani, ché non riuscirò mai a far coincidere la mano destra e la mano sinistra palmo con palmo e dorso con dorso:

    Quindi un oggetto che non ha piani di simmetria è asimmetrico, come lo sono le mani, e siccome in greco “mano” si dice “chéir” un oggetto asimmetrico viene detto chirale, cioè “come le mani”.
    Un oggetto chirale, asimmetrico, esiste come coppia di opposti, e dal momento che in greco “opposto” si dice “enantios” questa coppia di opposti viene chiamata coppia di enantiomeri.
    Esistono molti oggetti chirali, cioè oggetti privi di piani di simmetria che quindi esistono come coppie di enantiomeri: oltre alle mani e ai piedi (e quindi ai guanti e alle scarpe) ci sono le eliche, le viti, i cavatappi, alcuni tipi di chiavi…
    Con questi oggetti chirali gli accoppiamenti devono essere quelli giusti: non si può infilare il piede destro nella scarpa sinistra né la mano destra nel guanto sinistro, e viceversa, non si può avvitare né svitare girando per il verso sbagliato e insomma è necessario fare attenzione a quello che si fa perché ci sono due possibilità di combinare tra loro gli oggetti chirali e bisogna scegliere quella giusta.
    Vediamo adesso com’è possibile realizzare a livello molecolare questa cosa degli oggetti chirali: la chimica degli esseri viventi è basata sul carbonio, che quando si lega ad altri atomi lo fa sempre in modo da formare quattro legami (in questo modo viene a trovarsi in una situazione favorevole dal punto di vista energetico).
    Quando il carbonio forma quattro legami con quattro altri atomi (in questo caso si dice che è ‘saturo’) la disposizione di questi legami nello spazio è tale da mantenerli il più lontani possibile gli uni dagli altri (i legami son fatti da elettroni, che sono cariche dello stesso segno, e si sa che le cariche dello stesso segno tendono a respingersi e quindi tenderanno a disporsi in modo da essere le più lontane possibile le une dalle altre), e la disposizione che permette di avere la maggior distanza possibile tra i quattro legami è quella a tetraedro:

    Se il carbonio tetraedrico è legato a quattro gruppi diversi tra loro, la molecola risultante non ha un piano di simmetria ed è quindi chirale, e quindi esiste come coppia di enantiomeri, come coppia di molecole opposte l’una all’altra e non sovrapponibili:

    e quindi, anche se i due enantiomeri si assomigliano al punto da sembrare la stessa molecola, non sono la stessa molecola ma due molecole differenti, e la differenza tra le due molecole è dello stesso tipo di quella che c’è tra le due mani: l’enantiomero ‘sbagliato’ non può entrare in un intorno fatto per poter reagire con l’altro enantiomero, né più né meno di come la mano destra non riesce ad entrare nel guanto sinistro, e questo può portare a conseguenze importanti dal punto di vista biologico (può essere che l’enantiomero sbagliato sia inattivo, ma può essere anche che reagisca in un modo differente da quello che sarebbe necessario, creando danni all’organismo, come nel caso del Talidomide, in cui l’enantiomero giusto era un farmaco contro le nausee perniciose in gravidanza, mentre quello sbagliato era un teratogeno che determinava gravi malformazioni nel feto).
    Quindi, grazie ad una proprietà geometrica, quando ho un carbonio tetraedrico con quattro sostituenti diversi tra loro non ho un’unica molecola ma due, e queste due molecole sono due isomeri (cioè sono due molecole che hanno ‘qualcosa di uguale e qualcosa di diverso’, e il ‘qualcosa di diverso’ è la disposizione dei gruppi nello spazio, e per questo motivo questo tipo di isomeri vengono chiamati stereoisomeri).
    E se ho più di un carbonio asimmetrico?
    In questo caso il numero di stereoisomeri possibili è maggiore perché aumentano le possibili combinazioni della disposizione dei vari gruppi attorno ai carboni asimmetrici, e in generale il massimo numero di stereoisomeri che posso avere con n carboni asimmetrici è 2^n: con n=1 ho 2 stereoisomeri (i due enantiomeri della foto), con n=2 ho 4 stereoisomeri (a due a due enantiomeri), con n=3 ho 8 stereoisomeri e così via.
    Un caso in cui ‘sta faccenda dei carboni chirali ha conseguenze importantissime dal punto di vista pratico è quello dei carboidrati, molecole composte da carbonio, idrogeno e ossigeno che possono essere unità singole (monosaccaridi), composte da poche unità singole legate assieme (oligosaccaridi), oppure composte da molte unità singole legate assieme (polisaccaridi).
    Il monosaccaride più noto e più diffuso in natura è il glucosio, molecola costituita da 6 atomi di carbonio, di cui 4 chirali, che quindi può esistere come 16 stereoisomeri tutti diversi tra loro: di questi 16 uno solo è il glucosio più diffuso in natura, che viene chiamato D glucosio, e questo costituisce un bell’esempio di come, grazie ad una semplice proprietà geometrica, si possano avere molte molecole diverse tra di loro anche con un numero molto basso di atomi di carbonio.
    In realtà nel caso degli aldoesosi (il gruppo di monosaccaridi di cui fa parte il glucosio) gli stereoisomeri possibili sono ancora di più perché, grazie ad una reazione interna, la molecola forma un ciclo, ossia si chiude su se stessa e passa da una struttura lineare ad una ciclica, e nel corso di questa reazione si forma un nuovo carbonio asimmetrico che porta il numero totale di carboni chirali da 4 a 5, e quindi il numero di stereoisomeri possibili da 16 a 32; di questi, soltanto due sono quelli che provengono dalla formazione del ciclo del D glucosio: avremo il D glucosio in cui il gruppo OH che si è formato in seguito alla chiusura del ciclo è in basso:

    (isomero alfa, anzi, se vogliamo essere precisi, il nome corretto è alfa D glucopiranosio); nella parte superiore dell’immagine potete vedere il modellino tridimensionale della molecola, che non è planare, con le pallette nere a rappresentare i carboni del ciclo e la palletta azzurra a rappresentare l’ossigeno del ciclo, mentre nella parte inferiore vedete la proiezione di Haworth, cioè il modo più semplice ed usato per rappresentare i monosaccaridi in forma ciclica.
    e il D glucosio in cui questo gruppo OH è in alto:

    (isomero beta, ossia il beta D glucopiranosio)
    Se metto del glucosio in acqua si instaura un equilibrio tra queste due forme cicliche e quella a catena aperta (ecco, se per caso aveste voglia di darvi delle ariette usando paroloni difficili parlando di ‘ste cose, questo equilibrio si chiama mutarotazione), e all’equilibrio la forma a catena aperta è presente in percentuale piccolissima (meno dell’1%), la forma con l’OH in basso (cioè l’alfa) è presente circa al 35%, mentre quella con l’OH in alto (cioè il beta) è circa il 65% (Perché? Perchè la forma con l’OH in alto ha tutti i gruppi più ingombranti disposti il più lontano possibile tra loro nello spazio).
    Nel caso di una molecola di glucosio singola la cosa non è poi così importante: si tratta sempre di glucosio, anche se la disposizione nello spazio di quel particolare OH è differente nei due casi, ma nel caso in cui ci siano più unità di glucosio legate assieme il fatto che l’unità singola abbia l’OH in alto oppure in basso assume un’importanza enorme.
    Se supponiamo di legare tra di loro molte molecole di glucosio, otterremo una lunga catena di unità di glucosio legate tra di loro, catena che sarà differente a seconda che io leghi tra loro unità di glucosio alfa oppure beta:

    Sembra una differenza piccolissima, trascurabile, vero?
    Se non avessi evidenziato in rosso quel particolare legame (e se non la stessi facendo così lunga in proposito…) non ci si farebbe neppure caso, tanto s’assomigliano quelle sequenze di molecole, eppure questa differenza così piccola porta con sé delle enormi differenze strutturali e di proprietà.
    Il polisaccaride in alto (quello costituito da unità di glucosio beta legate assieme) è la cellulosa, che è il principale costituente del legno, del cotone, della canapa, insomma è la parte strutturale dei vegetali, quella che conferisce rigidità e robustezza alla pianta, ed è insolubile in acqua.
    Invece il polisaccaride in basso (quello fatto di unità di glucosio alfa) è l’amilosio, che è, assieme all’amilopectina, quello che costituisce l’amido, e l’amido è il principale costituente dei cereali, delle patate, del riso e del mais, è la riserva energetica delle piante, che in questo modo immagazzinano glucosio.
    L’amido è parzialmente solubile in acqua: l’amilosio è la parte più solubile dell’amido, mentre l’amilopectina, che differisce dall’amilosio perché le sue lunghe catene di alfa glucosio non sono lineari ma ramificate, è quella che provoca il caratteristico rigonfiamento dell’amido quando lo si mescola con acqua (ricordate la colla di farina? Mescolando la farina con acqua si ottiene una ‘pappa’ colloidale: ecco, quell’effetto è dovuto all’amilopectina).
    Ma la differenza più eclatante tra i due polisaccaridi è che interagiscono in modo differente con i sistemi biologici degli esseri viventi, grazie a quella piccola differenza di disposizione nello spazio di un legame che è lo stesso nei due casi, solo che è orientato in modo diverso, e dal momento che la reazione che porta alla rottura dei legami tra le unità di glucosio è una reazione che a livello fisiologico richiede la presenza di particolari enzimi per poter avvenire e che questi enzimi prevedono che il polisaccaride entri nel sito di reazione, succede la stessa cosa che succede con le mani ed i guanti: esiste un enzima specifico per rompere i legami tra le unità di glucosio dell’amido ed un altro enzima differente per rompere i legami nella cellulosa, e la parte più, diciamo così, astuta della cosa, quella che garantisce la massima selettività, è che l’enzima per scindere i legami alfa dell’amido ce l’abbiamo un po’ tutti, mentre l’enzima per scindere i legami beta della cellulosa ce l’hanno solo quegli organismi che possono sopravvivere cibandosi solo di erba o di legno, quindi i tarli e gli erbivori (in particolare, i ruminanti non hanno ‘in dotazione’ questo enzima, ma si forma nel rumine, comunque l’effetto è il medesimo: loro possono sopravvivere e crescere nutrendosi solo d’erba).
    Insomma, con una differenza piccolissima nella forma di una struttura si ottiene una differenza grandissima nelle proprietà e quindi, utilizzando come unità costituente soltanto glucosio, si possono avere due composti completamente differenti e con funzioni completamente diverse.
    Le piante adoperano il glucosio (beta) per costituire la propria struttura ed adoperano il glucosio (alfa) per immagazzinarlo, gli esseri umani possono accedere soltanto al polisaccaride fatto di glucosio alfa per nutrirsi, perché il glucosio beta della cellulosa è inutilizzabile per mancanza dell’enzima adatto.
    A questo punto potreste forse chiedervi perché mai allora ci prendiamo la briga di mangiare l’insalata e le altre verdure che non contengono amido, dal momento che in questi vegetali il glucosio è presente solo come polisaccaride beta e quindi è per noi inutilizzabile (infatti la cellulosa delle verdure viene eliminata inalterata con le feci): beh, queste verdure contengono anche vitamine e sali minerali che sono molto utili per la nostra dieta e quindi vale senz’altro la pena di mangiarle, anche se da esse non possiamo ricavare glucosio (anzi, proprio per questo motivo questo tipo di vegetali costituisce un buon aiuto nelle diete dimagranti).
    Invece, i vegetali ricchi di amido ci forniscono glucosio, sia pure in forma ‘complessa’ dal momento che è necessario che il nostro organismo rompa i legami tra le unità di alfa glucosio per ricavare il monosaccaride, che è quello che entra nei processi metabolici che producono energia (e questo è il motivo per cui se si ha un calo di zuccheri non è il caso di fornirli all’organismo mangiando alimenti ricchi di amido come il pane o la pasta, ché è necessario un certo tempo per arrivare al glucosio partendo dall’amido, mentre è preferibile mangiare qualcosa che contenga saccarosio (è il normale zucchero da cucina, è fatto da un’unità di glucosio legata ad un’unità di fruttosio e quindi c’è un unico legame da rompere per arrivare al glucosio) o ancora meglio del miele (costituito da una miscela di glucosio e fruttosio già staccati l’uno dall’altro e quindi con il glucosio già libero ed immediatamente utilizzabile).
    Insomma, il motivo per cui l’insalata non fa ingrassare mentre le patate sì è legato all’orientazione di un legame, e quindi in definitiva alla forma di una molecola, che ancora una volta si dimostra essere un fattore importantissimo per la diversificazione della vita sul nostro pianeta: in pratica, quando mangiamo insalata forniamo al nostro organismo del glucosio, ma in una forma a cui esso non può accedere, mentre quando mangiamo patate, pane, pasta e tutti gli altri alimenti ricchi di amido gli forniamo glucosio in una forma a cui può accedere, e questo glucosio viene impiegato in quei processi che sviluppano energia, mentre l’eccesso viene immagazzinato.
    Una piccola curiosità: le piante immagazzinano il glucosio sotto forma di amido, che è amilosio (lineare) più amilopectina (ramificata, le ramificazioni della catena si presentano ogni 20-25 residui di glucosio), mentre gli animali immagazzinano il glucosio in eccesso sotto forma di glicogeno (analogo all’amilopectina, solo che le ramificazioni si presentano ogni 10 residui).
    Questa differenza tra vegetali ed animali è dovuta alle diverse necessità nei due casi: i vegetali non hanno necessità di dover disporre rapidamente di grosse quantità di glucosio perché non hanno bisogno di ‘picchi’ di energia per potersi muovere rapidamente e quindi sfuggire ai predatori o togliersi d’impiccio da situazioni di emergenza, e quindi per loro è sufficiente il glucosio offerto dall’amilopectina o addirittura dall’amilosio (in cui la catena è lineare e quindi ha soltanto due punti d’attacco per gli enzimi preposti a staccare le unità di glucosio l’una dall’altra), mentre gli animali hanno necessità differenti e quindi in questo caso la riserva di energia (glicogeno) è molto più ramificata per poter fornire rapidamente molto glucosio.
    E a questo punto non posso che menzionare il fatto che questa impossibilità delle piante a scappare per sfuggire ai predatori ha fatto sì che le piante siano state costrette (se non volevano estinguersi) a sviluppare altri tipi di difese: ecco allora le spine e le sostanze urticanti, le tossine e tutti gli infiniti ‘stratagemmi’ che han permesso alle piante di sopravvivere e di poter arrivare fino ai giorni nostri.
    Con buona pace del ‘naturale è sano’, il mondo vegetale è una miniera di veleni di vario genere oltre che una fonte di nutrimento, e sta a noi saper utilizzare questa ‘ricchezza’ senza esserne vittime, senza glorificare né demonizzare il mondo vegetale, ma interagendo con esso in modo da ottenere una sorta di ‘addomesticamento’ reciproco (mi vengono in mente il caso dei peperoni e quello delle banane) che va a vantaggio sia nostro che dei vegetali.

    #14713
    Capretta Amaltea
    Partecipante

    Ciao Bee, avrei tante domande, intanto alcune:
    Quanto sono rari in natura gli altri isomeri del glucosio, e c’è un perché?
    La legge dell’isomero più abbondante vale anche per i pentosi tipo il ribosio?
    E gli aminoacidi? In questo caso gli enantiomeri L sono quelli usati per fare le proteine. Gli isomeri D quanto sono frequenti in natura?
    Grazie!

    #14722
    Beelato
    Partecipante

    Eccomi a cercare di rispondere con quel che so, che non è poi moltissimo.
    E allora: intanto i vari aldoesosi isomeri del D glucosio sono più o meno diffusi a seconda del tipo di molecola: piuttosto diffusi sono il D galattosio (che assieme al D glucosio forma il disaccaride lattosio) e il D mannosio, gli altri lo sono meno, credo che la loro diffusione dipenda dalla disposizione dei gruppi ingombranti, più i gruppi ingombrati sono distanti tra di loro e più favorito è l’aldoesoso (ovviamente il più favorito di tutti è il beta D glucopiranosio, che infatti è il più diffuso in natura).
    Certo, anche per i pentosi vale che ce n’è uno più diffuso degli altri, in questo caso si tratta del D ribosio, che è presente negli acidi nucleici, il DNA (acido deossiribonucleico) e l’RNA (acido ribonucleico).
    A questo proposito una piccola curiosità: nel DNA il D ribosio ha solo 3 gruppi OH (due gli servono per legarsi ai gruppi fosfato che uniscono le varie unità di ribosio e uno gli serve per legare la base azotata) e infatti il nome è deossiribosio, mentre nell’RNA il D ribosio ha tutti e quattro i suoi OH: tre OH sono impegnati nello stesso modo in cui lo sono nel DNA, mentre l’ultimo serve per legare l’amminoacido in modo da poterlo trasportare quando è il momento di fare la sintesi delle proteine.
    Ecco, il modo elegantissimo con cui sono organizzate ‘ste cose mi riempie sempre di stupore e di ammirazione.
    In ogni caso per i monosaccaridi si verifica sempre che gli enantiomeri D sono praticamente i soli presenti in natura, esattamente come succede con gli amminoacidi, in cui sono gli enantiomeri L ad essere prevalenti.
    In natura, di amminoacidi D ne sono stati trovati pochissimi, in peptidi contenuti nel veleno di alcuni serpenti e dentro alcuni funghi (pare quasi che la presenza di un amminoacido D provochi un ‘inceppamento’ dell’attività biologica degli organismi in cui questi peptidi vengono immessi, da cui l’azione tossica).
    Perché succede questo?
    Ancora non lo sappiamo, però sono state fatte svariate ipotesi, per chi volesse approfondire riporto alcuni articoli in proposito:
    http://www.pnas.org/content/107/13/5723.full.pdf
    http://ase.tufts.edu/chemistry/kumar/jc/pdf/Meierhenrich_2011.pdf
    http://www.space.com/20888-earth-life-amino-acids-asteroids.html

    #14723
    Capretta Amaltea
    Partecipante

    Grazie! Questo mi chiarisce le idee circa l’uso di enantiomeri sempre dello stesso tipo nei sistemi biologici: la mia idea era che semplicemente dipendesse dalla scelta iniziale che era casuale, ma una volta fatta non poteva essere modificata. Invece a quanto pare viene semplicemente scelto l’isomero prevalente…
    Per quanto riguarda gli aminoacidi, una cosa che avevo letto da qualche parte è che gli aminoacidi tutti L delle proteine racemizzano spontaneamente una volta che l’organismo muore, e che il tasso di racemizzazione permette di stimare il tempo trascorso dalla morte. È vero o mi ricordo male io?
    Poi per l’RNA quello che dici sul legame con l’aminoacido vale solo per un particolare RNA, l’RNA transfer che decifra il codice genetico. Però il legame dell’aminoacido avviene sull’ultimo ribosio al 3′ della molecola, per cui sono liberi entrambi gli OH, 3′ e 2′. L’OH in 2′ viene talvolta usato per creare ramificazioni, come durante il processo di rimozione degli introni dai geni.
    Infine: gli enantiomeri “sbagliati” del glucosio, non digeribili dalle nostre cellule, sono dolci? In tal caso potrebbero essere usati come dolcificanti 0 calorie.
    Alla prossima, ciao :))

    #14724
    Beelato
    Partecipante

    Adesso vorrei rispondere a Capricorno e a Contezero che mi avevano chiesto dei meccanismi di difesa dei vegetali.
    Allora, intanto: non sapevo dell’esistenza di queste ‘antivitamine’ che alcune piante producono, ma la cosa è plausibilissima, dopotutto il rendersi poco appetibile o poco nutriente per i predatori è un ottimo meccanismo di difesa.
    Le piante che sono arrivate fino ai giorni nostri hanno tutte un buon sistema per riprodursi e per difendersi, altrimenti si sarebbero estinte: se ci fate caso, le piante che hanno fiori insignificanti per forma, dimensioni o colori hanno qualcos’altro che attira gli impollinatori (un caso classico è quello dell’olea fragrans: fiori insignificanti e un profumo da stordire), se non è il profumo è la forma del fiore che richiama quella di un insetto, oppure il fiore ha delle ‘barbe’ come quelle delle iris che fanno sì che il polline ci si depositi, oppure la pianta ha dei tralci appiccicosi come quelli delle plumbago…
    Eppoi ci sono le difese, che a volte funzionano come un’arma a doppio taglio (come nei peperoni che sintetizzano il ‘piccante’ per dissuadere i predatori, ma poi trovano un predatore a cui il piccante piace) ma va bene lo stesso, ché il predatore appassionato del piccante si farà carico della difesa della pianta dagli altri predatori e provvederà a propagarla e a crearne nuove varietà.
    Insomma, quello che le piante fanno ed il modo in cui evolvono ha lo scopo di permetterne la sopravvivenza e la propagazione e, come dico sempre, dopotutto le piante non fanno i fiori per far piacere a noi e i frutti perché noi ci si possa fare la macedonia, ma hanno i loro buoni motivi per fare così.

    #14725
    Beelato
    Partecipante

    Rieccomi, Capretta :o)
    E allora: non ho la minima idea se il discorso della racemizzazione post mortem sia vero o meno, non l’avevo mai sentito…
    Per il discorso dell’uso dell’OH in 2′, non ero stata sufficientemente accurata, grazie della precisazione; invece, una cosa che mi son sempre chiesta e a cui non ho mai saputo rispondere (sono un chimico, non un biologo, e molte cose non le so): perché nel DNA c’è la timina e invece nell’RNA c’è l’uracile?
    La differenza tra le due basi azotate è piccola e non influisce sulla possibilità di formare ponti ad idrogeno, ma perché in un caso c’è una e nell’altro c’è l’altra?
    Non so se l’L glucosio sia dolce o meno, così a naso credo di no perché la sensazione dolce si ottiene quando la molecola entra nei recettori del sapore dolce che abbiamo in bocca (è così che funzionano i dolcificanti ipocalorici, che hanno una forma adatta ad entrare in questi recettori ma non sono coinvolti nei processi che producono energia), e se la molecola è l’immagine speculare di quella giusta non entra, sarebbe come cercare di mettere la mano destra nel guanto sinistro.

    #14726
    Capretta Amaltea
    Partecipante

    Grazie, in effetti la tua osservazione sui recettori di gusto è giustissima, non ci avevo pensato!
    Perché nel DNA c’è la timina e non l’uracile è una delle piccole grandi meraviglie della biologia molecolare. È vero che la timina è 5-metil-uracile e che ha le stesse capacità di formare legami idrogeno. Ma l’uracile si forma anche facilmente per deaminazione spontanea della citosina. La C fa legame idrogeno con la G, se alla C sostituisci la U questa farà legame con A e avrai una mutazione di coppia di Basi al round di replicazione successivo. Le cellule hanno dei sistemi enzimatici di sorveglianza dell’integrità del DNA, fra i quali c’è anche quello che identifica le U e le rimuove sostituendole con le T.

    #14727
    Beelato
    Partecipante

    Bellissimo!
    Quindi non si usa l’uracile nel DNA per evitare di non riuscire a distinguere tra U ‘nativo’ e U proveniente da C: se l’enzima ‘vede’ un U nel DNA ‘sa’ che non dovrebbe esserci e lo sostituisce con C :o)
    A questo punto ovviamente mi scappa di chiederti perché non si usa direttamente T anche nell’RNA… ;o)

    #14728
    Capretta Amaltea
    Partecipante

    Non lo so esattamente, ma con tutta probabilità le ragioni sono evolutive. L’RNA ha preceduto il DNA come materiale genetico nell’evoluzione delle prime cellule; addirittura si pensa che abbia anche preceduto le proteine, dato che l’RNA è capace di limitate funzioni enzimatiche avendo, come le proteine, un folding tridimensionale ben definito. Il DNA è venuto dopo, e nell’evoluzione del DNA la timina si è sostituita all’uracile appunto per evitare confusione con la U derivante da deaminazione della C. Credo che tuttora la T venga sintetizzata nelle cellule per metilazione della U:

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