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Il miracolo economico

Ministro dell’economia in carica dal 1949 al 1963, Ludwig Erhard, chiamato successivamente “il padre del miracolo economico”, subito dopo l’insediamento riprese le teorie della “scuola di Friburgo” imponendo un’economia di mercato detta “sociale” (Soziale Martkwirtschaft). Dirigismo e pianificazione furono rifiutati a favore di un liberismo organizzato al fine di promuovere l’iniziativa individuale e la libera concorrenza sotto l’azione di uno Stato orientato a creare una crescita equilibrata.

Pur conservando i principi dell’economia di mercato, Erhard mantenne il controllo del governo su certi prezzi, escluse i prodotti agricoli dalla completa liberalizzazione e incoraggiò l’autofinanziamento delle imprese con sgravi fiscali che coprivano il 70% degli investimenti. Contemporaneamente la politica di austerità del ministro delle finanze Shäffer, tramite il blocco dei salari, la pesante pressione fiscale e una politica creditizia restrittiva, produsse avanzi di bilancio, contenne l’inflazione e assicurò stabilità monetaria.

 

Ludwig Erhard

Ludwig Erhard

 

Dopo varie dispute, Erhard riuscì a far approvare una legge sulle concentrazioni industriali dove in linea di massima i cartelli furono proibiti, passando da diverse eccezioni, mentre i Konzern furono consentiti sotto il controllo di un ente per prevenirne gli abusi. In realtà il Kartellamt, l’ufficio preposto, non riuscì ad imporsi, così cartelli e Konzern si moltiplicarono. Ad esempio basta riportare che le tre banche principali (Dresdner Bank, Deutsche Bank e Commerzbank) controllavano tre quarti del capitale sociale delle 400 più importanti società tedesche, sottolineando i complessi intrecci di interessi e la tradizionale interdipendenza tedesca fra banca e industria. Krupp, oltre al settore estrattivo e siderurgico controllava anche industrie di trasformazione e società di trasporto, Thyssen produceva circa il 20% dell’acciaio e al contempo controllava una cinquantina di società, Mannesmann più di un centinaio. Ma i grandi Konzern siderurgici non erano i soli, Mercedes comprendeva quattordici imprese in Germania e undici all’estero spaziando dai macchinari, ai motori, ai tessuti.

Nel 1950 la RFT si vide restituire dagli Alleati l’eredità nazista di un vasto patrimonio pubblico, un complesso di imprese che produceva un quarto del carbone, più della metà dei minerali di ferro, e poco meno della metà degli autoveicoli. Inizialmente le privatizzazioni avrebbero dovuto favorire la costituzione di un vasto azionariato popolare, in realtà coinvolsero solo tre operazioni importanti con Volkswagen, Preussag (oggi TUI AG) e Veba (più tardi assorbita da E.ON), così che il settore pubblico rimase importante, nonostante i fautori dell’economia di mercato.

L’abbondante manodopera, dovuta all’enorme afflusso di profughi diede il suo importante contributo alla ripresa. Dal 1950 al 1960 la popolazione passò da 47,7 a 55, 4 milioni, ma l’aumento naturale rimase contenuto e l’incremento fu dovuto agli esuli delle regioni orientali che si aggiunsero ai 2.800.000 rifugiati fuggiti dalla DDR. In totale fra rifugiati ed espulsi furono circa 13 mln le persone che si trasferirono nella RFT. Persone desiderose di integrarsi che accettarono la mobilità geografica e professionale garantendo una manodopera flessibile ed efficiente. L’afflusso agì anche da “calmiere” alle rivendicazioni sociali, altresì grazie al sindacato che si dimostrò inizialmente moderato, dato l’imperativo della ricostruzione, mentre la disoccupazione scese dal milione e mezzo del 1950 ai 250.000 del 1960.

L’industria nel 1960 contribuiva per oltre il 50% alla formazione del PIL impiegando il 48% della popolazione lavorativa. L’estrazione del carbone toccò il suo apice nel 1957 con 150 mln di tonnellate, poi vide il declino, nel frattempo la RFT incrementò notevolmente le raffinerie che agli inizi degli anni sessanta producevano oltre 30 mln di tonnellate in idrocarburi. La siderurgia si sviluppò in modo straordinario con una produzione di acciaio che nel 1953 era di 15 mln di tonnellate, cinque anni più tardi arrivò a 23 mln. Anche l’industria chimica riprese il posto che le spettava rappresentando il 9% del fatturato dell’industria, mentre quella farmaceutica riconquistò il primato mondiale. I macchinari elettrici raggiunsero il 10% del fatturato industriale con AEG e Siemens che dominavano, ma soprattutto l’industria meccanica e automobilistica risentirono del forte rilancio. Nel 1950 furono prodotte 200.000 vetture, otto anni più tardi un milione e mezzo.

Senza cospicui capitali tutto questo non sarebbe stato possibile e l’aiuto finanziario americano ebbe un ruolo di primo piano nella ripresa e nel miracolo economico tedesco. Dopo l’immissione di dollari con il programma GARIOA e il piano Marshall ci fu un notevole apporto di capitali privati per la maggior parte dagli USA. 40 miliardi di marchi fra il 1953 e il 1962, e in soli cinque anni, dal 1958 al 1963 gli investimenti degli Stati Uniti nella RFT furono più di 5 miliardi di dollari. Nel contempo la Germania beneficiò di un alleggerimento del suo debito e di una riduzione dei costi dell’occupazione, disponendo in tal modo di ampi mezzi che le consentirono anche di onorare gli indennizzi alle vittime del nazismo e i versamenti a favore di Israele che ammontavano a 5,2 miliardi di marchi.

Anche l’agricoltura conobbe un periodo di investimenti, soprattutto grazie alle leggi varate per razionalizzarla e favorirne gli accorpamenti, ma soprattutto tramite agevolazioni fiscali, finanziamenti a tasso ridotto e sovvenzioni. Anche se non raggiunse gli obiettivi prefissati, permise un forte aumento nelle rese dei cereali, barbabietole, foraggio e vigneti. Tra il 1950 e il 1960 gli agricoltori investirono più di nove miliardi di marchi in materiale impiegando un milione di trattori e 50.000 mietitrebbiatrici. Nonostante ciò l’incidenza dell’agricoltura nel PIL diminuì passando dal 10% del 1950 al 6% nel 1960 a causa dell’esodo dalle campagne nelle città.

La crescita industriale comportò il rilancio del commercio estero con l’equazione (sotto certi aspetti simile a quella italiana) di importare petrolio, materie prime e derrate alimentari i cui costi dovevano essere finanziati dall’esportazione di prodotti finiti. La politica di Adenauer e la particolare situazione in cui si trovava la RFT favorirono la ripresa dell’espansione commerciale. Essendo dispensata dal partecipare alla difesa del mondo, se non con i soli costi dell’occupazione, si lanciò alla conquista dei mercati esteri. L’ingresso nella CECA e successivamente nel MEC aprirono gli orizzonti europei, senza far dimenticare una politica libero-scambista spalancata al mondo intero. Il commercio tedesco riscoprì i metodi che lo avevano portato al successo dalla fine del XIX secolo: ricerca sistematica della clientela, prezzi favorevoli, facilitazioni di pagamento e rapidità nelle consegne. Rispetto alla situazione prebellica, la struttura degli scambi si modificò. Nelle importazioni la parte delle derrate alimentari calò, mentre quella dei prodotti finiti aumentò e nelle esportazioni la quota delle materie prime continuò a diminuire, mentre aumentarono i prodotti finiti.

Tra il 1951 e il 1963 le esportazioni quadruplicarono, raggiungendo un valore di 58,3 miliardi di marchi, portando la bilancia dei pagamenti largamente in attivo. Nel 1963 i due terzi delle esportazioni erano destinate in Europa, ma anche la quota destinata agli Stati Uniti, se nel 1950 era del 5,2% nel 1960 era al 7,9%. Gli scambi con il Terzo Mondo rappresentavano il 20% del commercio estero, quota destinata a calare con i primi anni sessanta, mentre gli investimenti all’estero cominciarono ad aumentare nel 1952 fino a raggiungere il miliardo di dollari nel 1961.

Questo complesso di fattori trasformò rapidamente la Germania nella terza potenza economica mondiale, dietro Stati Uniti e URSS e seconda potenza commerciale dietro gli USA, con una quota nel commercio mondiale pari al 10%. Potenza che cominciò a impressionare il mondo.

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