Serenissima – Cambrai

Durante lo svolgersi della fine del XV secolo, molte cose accaddero che si ripercossero non solo nei destini di Venezia, ma dell’Italia intera, forgiandola per quella che attualmente viviamo. Nella penisola, fra i litigiosi Stati italiani, ci fu l’ascesa di Ludovico Sforza soprannominato il Moro, duca di Milano e interprete per una ventina d’anni delle vicende italiane. Fu protagonista disastroso che attraverso la sua mente inquieta introdusse ogni giorno un elemento di perturbazione. In lui campeggiava, fra le tante qualità e i tanti vizi, una caratteristica tipicamente italiana: l’incapacità di prevedere a lunga scadenza e di guardare lontano. Passò alla storia come l’uomo del destino nel momento della grande svolta italiana, quella che vide la penisola protagonista e “soggetto” di storia, trasformarsi in “oggetto” passivo di una storia fabbricata fuori dai suoi confini, dopo che Carlo VIII di Francia calò in Italia chiamato dallo stesso Moro, facendo sparire il Regno di Napoli dal novero degli stati indipendenti e da lì a poco seguito dal ducato di Milano, segnando l’inizio delle prepotenze straniere sul suolo italico. Venezia si dichiarò neutrale, non intervenne restando “oziosamente in disparte, mentre avrebbe potuto levare questa calamità d’Italia non rendendosi conto in quella sua tanta cupidità di dominare” (Nicolò Macchiavelli) perché i francesi non si sarebbero accontentati.

 

Ludovico Sforza

Ludovico Sforza

 

Molti altri storici hanno accusato il non interventismo veneziano, definendolo addirittura l’origine di tutti i mali fino al fatidico 1922. Eppure quando Venezia si trovò davanti al turco, fu sempre sola, quando cadde Costantinopoli fu l’unica a difendere la città ed ora veniva accusata di rimanere neutrale nei confronti di coloro che le avevano negato ogni aiuto nei momenti di difficoltà. La politica veneziana aveva sempre cercato la sopravvivenza e non se ne può farle una colpa. Al contrario, da quel momento, come Stato europeo, intervenne sistematicamente nelle azioni di Francia e Spagna in Italia. Ed è questa presenza di uno Stato che volle rimanere e rimase italiano senza dominazioni francesi o spagnole come tutti gli altri Stati italiani, che avrebbe avuto in seguito un grosso significato per la sopravvivenza dell’idea stessa di Italia.

 

Per Venezia l’inizio del declino non fu solo il viaggio di Colombo, ma, fatto assai più importante, Vasco da Gama partito da Lisbona, circumnavigò l’Africa, arrivò a Malabar, fece un carico di spezie e le portò a Lisbona, senza necessità di trasbordi, né di percorsi terrestri e soprattutto senza pagare dazio ad alcuno. La Signoria prese molto sul serio la notizia inviando immediatamente a Lisbona un ambasciatore straordinario. Crebbe la preoccupazione perché il re poteva vendere le spezie a prezzi molto inferiori, e Venezia avrebbe perso il monopolio. La tradizionale ampiezza di vedute nella ricerca di una soluzione confluì nell’ipotesi di costruire un canale che congiungesse i due mari, il Mediterraneo e il mar Rosso. Fu inviato eccezionalmente allo scopo al sultano, Francesco Teldi, ma fu solo per la situazione interna egiziana che il progetto non andò in porto. L’apertura di Suez con tre secoli di anticipo avrebbe probabilmente influito non solo sul futuro di Venezia, ma sulla storia dell’Europa intera.

 

Papa Giulio II

Papa Giulio II

 

Dopo la morte di Carlo VIII, la Repubblica fece un trattato di alleanza con il suo successore Luigi XII che scese in Italia da conquistatore e mentre il Moro si rifugiava in Germania, Venezia ne approfittò per annettere la Ghiaradadda e Cremona. L’avventura politica di Michele Steno e Francesco Foscari, con la conquista territoriale del coprirsi le spalle, aveva trascinato Venezia nel nido di vipere della politica italiana. Un nido di vipere che sarebbe stato calpestato dai grandi Stati nazionali. E soprattutto dopo l’annessione del ducato di Milano, Venezia fu odiata da tutti, tanto che non solo Ludovico il Moro, ma addirittura Papa Sisto IV aveva tentato di scatenargli addosso le forze dei turchi.

 

Saltando altri complotti, altre vicende, altri tradimenti, altre tensioni, pur avvincenti, per mancanza di spazio, arriviamo a Blois, da dove giunse a Venezia l’informazione che fra i rappresentanti del nuovo papa Giulio II (Giuliano della Rovere), del re di Francia e di Massimiliano d’Asburgo era stato raggiunto un accordo il cui oggetto era la spartizione del dominio veneziano. L’accusa formale fu (sempre con le parole del Macchiavelli, che odiava Venezia): i Veneziani “avevansi presupposto nell’animo d’aver a fare una monarchia simile alla romana”. Il Senato non drammatizzò e cercò, come sempre la via della diplomazia per dividere gli avversari.

 

Ma questa volta per la ferrea volontà di papa Giulio II che organizzò le invidie degli Stati minori italiani, nonché l’appetito di quelli transalpini, quello Stato ricco, indipendente e disposto a difendersi rappresentava un elemento di disturbo. Fu così che a Cambrai, su iniziativa dell’imperatore Massimiliano, i plenipotenziari del re di Francia, del re di Spagna e dello stesso imperatore a cui si aggiunse il duca di Mantova, fu firmato un accordo che avrebbe decretato la fine della Serenissima e la spartizione dei suoi territori. Il papa fu l’indubbio ispiratore della lega, anche se non firmò il trattato. La congiura si basava interamente sull’effetto sorpresa, nulla doveva trapelare, tanto era il timore della diplomazia veneziana (dal quattrocento in poi era nata la figura dell’ambasciatore, proprio ad opera di Venezia) che fu talmente efficiente da scoprire l’arcano della lega e far fallire l’elemento sorpresa. Non avendo il papa firmato l’accordo, Venezia gli inviò l’impassibile Giorgio Pisani per tentare una mediazione, fra i quali corsero parole di fuoco. Se l’uno minacciò di rifare di Venezia un porto di pescatori, l’altro rispose che Venezia avrebbe rifatto prima lui un curatello, un piccolo parroco qualsiasi. Dopo questo colloquio anche Giulio II aderì alla lega di Cambrai.

 

Venezia durante la guerra di Cambrai

Venezia durante la guerra di Cambrai

 

Il 17 aprile 1509 il primo araldo di Francia gettò ai piedi del doge Leonardo Loredan il guanto di sfida, il cui discorso fu interrotto dal doge chiamando in causa direttamente il papa, che entrò in campo pochi giorni dopo con le solite armi della scomunica, maledizioni e interdetti, respinti immediatamente dalla Repubblica come illegittimi e affliggendo, come sempre, le proprie ragioni sulle porte di S Pietro a Roma, costringendo frati e preti, pena l’espulsione, a non tenerne conto. Contemporaneamente furono mobilitate le truppe albanesi, greche, dalmate e italiane con a capo due capitani noti per i loro sentimenti “italiani”, che non parteggiavano né per la Francia, tantomeno per la Spagna o l’imperatore e alle truppe in campo venne assegnato il grido di guerra che può far riflettere dove fossero i valori e gli interessi della nostra sfortunata penisola: “Italia! Libertà!”

 

Nel fulmineo dissolversi della terraferma, si aggiunse il rancore della nobiltà locale che, come già illustrato, non aveva mai potuto accedere al potere centrale. Ma ci fu il popolo, per usare ancora le parole di Macchiavelli: ”i gentiluomini non amano Venezia, inclinano agli alleati, ma il popolo, la plebe, i contadini sono tutti marciani”. Nel momento in cui il dominio di terraferma sembrava irrimediabilmente perduto, all’infuori di Treviso e Udine, con la carestia e i profughi, ci fu la riscossa. I contadini e i popolani qua e là insorsero dappertutto, la diplomazia veneziana lavorò febbrilmente per convincere il papa a cambiare il campo e Padova fu fulmineamente ripresa. La guerra costava seicentomila ducati al mese, ma a Massimiliano molto di più, e riprendersi Padova fu un suo punto d’onore, contro la quale guidò personalmente 30mila uomini. Le parole di un diplomatico francese riassumono tutt’oggi gli avvenimenti: “l’ardimento di aspettare in campo aperto i quattro prìncipi più potenti della cristianità, e, spiegate le bandiere, combatterli in guerra aperta” bisognava proprio riconoscere che questi dannati veneziani “andavano stimati e giudicati uomini potentissimi”.

 

Patrizi, popolani, artigiani, mercanti si misero in marcia per difendere la città e Massimiliano fu costretto a liberare l’assedio. Contemporaneamente la diplomazia veneziana aveva ottenuto un abile negoziato con il turco che avrebbe boicottato Firenze, Ragusa e Genova dai proventi con cui finanziavano la guerra contro Venezia e soprattutto calmarono gli animi del re d’Ungheria con sovvenzioni annuali che Massimiliano non avrebbe mai potuto permettersi. Allo stesso tempo i diplomatici veneziani premettero su papa Giulio II, che accortosi quanto Venezia fosse un osso troppo duro da rodere, in cambio di un conto salatissimo, cambiò subito casacca e rivolse le sue mire contro il duca di Ferrara protetto dal re di Francia, tirando dalla propria parte gli spagnoli. La Lega scricchiolava, ma la guerra continuava e la pace non si vedeva ancora.

 

Fine della guerra di Cambrai

Fine della guerra di Cambrai

 

Ci furono altre azioni eroiche, come quella dei sessanta abitanti di Venzone che affrontarono e cacciarono un contingente austriaco di un migliaio di uomini, mostrando chiaramente di non apprezzare la presenza di truppe germaniche. E fra le sconfitte, le perdite di territori, le riconquiste di cui non c’è spazio di elencare, in cui tutto poteva accadere, accadde che ventimila svizzeri scesero in Italia a fianco delle truppe veneziane. I Francesi dovettero mollare le conquistate Bologna e la Romagna, e poco dopo, anche Milano, la Lombardia e Genova, mentre l’Europa assistette all’inatteso trionfo di Giulio II, celebrato nelle stanze del Vaticano da Raffaello. La lega andò in frantumi, ma Brescia, Verona e Vicenza erano ancora in mano asburgica. E mentre papa Giulio II premette ancora contro la Repubblica, Luigi XII offrì il suo appoggio ai veneziani per ristabilire i confini precedenti, in cambio di Milano. Alla fine Venezia firmò a Blois un trattato di alleanza con i francesi, dopo che il papa, poco prima di morire, emise un monito contro la Repubblica, con sanzioni spirituali, se non avesse ceduto Verona e Vicenza agli Asburgo.

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