Serenissima – la fine

E commedia fu, tragica quanto drammatica. La cessione dei territori veneziani agli Asburgo doveva essere accompagnata da un’apparenza di legittimità, quindi Napoleone aveva bisogno di un governo consenziente o costretto alla transizione. E furono le circostanze a dargliene l’opportunità.

 

La prima il 17 aprile 1797, durante la Pasqua, a Verona la tensione arrivò al culmine con i contadini da una parte e i soldati della Repubblica Cispadana dall’altra. I primi spalleggiati dagli schiavoni, le milizie cittadine e la popolazione continuamente taglieggiata e malmenata dai francesi a cui si aggiunsero truppe austriache chiamate dai manifestanti. Ai cispadani e ai francesi si appoggiarono i giacobini locali. La sera del 17 la popolazione insorse e le cannonate dei francesi peggiorarono la situazione. I rappresentanti veneziani cercarono di mettere pace, ma furono trattati da venduti e costretti a ritirarsi a Vicenza, lasciando la città in balìa di sé stessa con il furore antifrancese elevato all’estremo. In seguito alle direttive del Senato, timoroso della vendetta napoleonica, tornarono a Verona, ma di fronte all’implacabile durezza dei generali francesi ripartirono, lasciando la rivolta domata nel sangue con fucilazioni di massa e la costituzione di una Municipalità provvisoria il 25 aprile, festa di San Marco. I francesi lasciarono circa 500 soldati morti e il doppio feriti, contro un numero imprecisato di caduti fra cittadini, schiavoni, contadini e austriaci.

 

Nel frattempo, il 20 aprile, accadde a Venezia un episodio estremamente grave. Una nave francese, dal nome fatale di “Liberatore d’Italia”, al comando del capitano Laugier, catturò in mare un vecchio pescatore di 70anni (tal Menego Lombardo) e gli impose di pilotare il vascello dentro il porto di Venezia. Nonostante il pover’uomo avesse ricordato che l’ingresso in porto di navi armate era proibito da sempre, imposto anche recentemente alla flotta russa, Laugier affermò che sarebbe entrato con la forza. All’altezza del castello di Lido, il comandante della fortezza ribadì il divieto di entrare. Al rifiuto del comandante francese il forte tuonò il cannone, mentre contemporaneamente il “Liberatore d’Italia” urtò la galeotta di guardia all’imboccatura del porto, il cui equipaggio l’abbordò e lo saccheggiò. Laugier rimase ucciso (e la sua provocazione se l’era andata a cercare).  Ne conseguì un caso capitale. I francesi smantellarono il rapporto del comandante del Lido, accusando i veneziani di attacco premeditato, pretendendo risarcimenti e minacciando ritorsioni.

 

Contemporaneamente a questi fatti, il 18 aprile 1797, a Leoben furono tracciati i preliminari per la pace fra Napoleone Bonaparte e i rappresentanti dell’imperatore Francesco II, definitivamente ratificata nel trattato di Campoformido sei mesi dopo, che contenevano clausole pubbliche e clausole segrete dove Napoleone e l’Austria si sarebbero spartite parte dell’Italia, in prevalenza i territori vaticani e quelli veneziani.

 

Mappa dei Territori integrati dalla Repubblica di Venezia nel corso della sua Storia

Mappa dei Territori integrati dalla Repubblica di Venezia nel corso della sua Storia

 

I due deputati della Serenissima che raggiunsero Graz, quando i preliminari di Leoben erano già stati firmati da una settimana, trovarono il commediante Napoleone rabbioso, minaccioso che chiedeva risarcimenti impossibili e prometteva conseguenze catastrofiche per i fatti di Verona e di Venezia. Contemporaneamente si andò chiarendo ai loro occhi il disegno austro-bonapartesco, del quale ebbero certezza dal luogotenente del Friuli, informando il Senato di quel terrible affaire.

 

Vicenza e Padova vennero “rivoluzionate” staccandole dallo Stato veneziano, lasciando la città lagunare alle sue condizioni originarie, isolata dalla terraferma. E nel precipitare degli eventi, in città riprese peso e autorità la figura del doge. Il doge Manin non era all’altezza dei grandi del passato, ma non lo erano neppure la gran parte dei partecipanti alla Consulta, riunitesi il 30 aprile, in uno scenario non molto dissimile da quello noto a tutti delle giornate di settembre 1943, mentre il 2 maggio Bonaparte pubblicava un manifesto non molto diverso da una dichiarazione di guerra, tronfio di motivazioni, di cui alcune assurde, e di falsi ad uso di propaganda.

 

Il 9 maggio fu convocata nuovamente la “Consulta” a cui venne imposto un perentorio ultimatum propagandistico: liberazione immediata di tre prigionieri politici (di cui si diceva fossero ancora in carcere) apertura al pubblico delle prigioni dei Piombi e dei pozzi (che erano vuote) congedo dei soldati schiavoni, affidamento dell’ordine pubblico a un comitato speciale, innalzamento in Piazza San Marco dell’albero della libertà, amnistia generale, libertà di stampa e istituzione di una Municipalità provvisoria, sotto la quale erano invitate le città della terraferma, dell’Istria, della Dalmazia e delle isole Ioniche, presieduta dal doge Manin (che con senso di dignità e d’orgoglio, rifiutò) sotto una nuova forma di governo.

 

Il 12 maggio ci fu l’ultimo atto del dramma. Fu recapitato da un privato cittadino, simpatizzante giacobino, un documento privato al doge, in cui veniva imposto, da parte del Bonaparte, l’abdicazione sua e di tutti i componenti del Maggior Consiglio, unito al consenso di quest’ultimo all’occupazione di Venezia da parte dell’esercito francese. Il Maggior Consiglio si radunò per l’ultima volta dopo sette secoli e mentre all’esterno tuonavano le salve di saluto degli schiavoni, imbarcati per tornare nelle loro terre, l’imposizione fu approvata con 512 voti, trenta contrari e cinque astenuti.

 

Fuori il popolo intero si era radunato attonito, in silenzio, non capendo cosa stesse accadendo. Al grido di: “Viva la libertà!” di un giacobino, risuonò un “Viva San Marco!” e la folla tuonò con: “Viva la Repubblica!” poi esplose la rivolta. Uscirono le bandiere con il leone marciano e la folla assalì e depredò tutte le case dei giacobini e dei simpatizzanti francesi, tanto che il console di Francia si dovette rifugiare presso l’ambasciata spagnola. Alla sera la rivolta fu domata, la paura delle rappresaglie francesi aveva sopravalso.

 

L'Arsenale

L’Arsenale

 

La nuova Municipalità provvisoria nacque con molti difetti di fondo. Anzitutto non fu un governo rappresentativo, ma imposto da un generale francese, nel quale molti cittadini avevano la sgradevole sensazione che le cose erano mutate solo di facciata. Ma soprattutto la città era stata “rivoluzionata” con lo stesso schema di governo locale delle altre nell’entroterra. In pratica fu “democratizzata una città senza tenere conto che si sarebbe dovuto “democratizzare” uno Stato. Stato che sfuggì subito di mano alla sua Capitale. Il 16 maggio 1797 il generale Bonaparte firmò un trattato di pace con la Repubblica di Venezia, che non esisteva più, restava solo un governo municipale, come nel caotico universo veneto e lombardo.

 

Un trattato umiliante che imponeva il versamento di tre milioni di lire tornesi in contanti nelle casse dell’armata d’Italia. ordinava la consegna di canapi, cordami e altri attrezzi da marina dell’Arsenale (che rimaneva ancora uno dei cantieri navali migliori d’Europa) per altri tre milioni, il conferimento di tre vascelli e due fregate in perfetto allestimento. E con la consegna di venti quadri e cinquecento manoscritti, si diede il via alla spoliazione dei beni artistici di Venezia e di tutto il Veneto. La commedia napoleonica continuò quando il generale prometteva che Venezia avrebbe riavuto i suoi territori, anche se sotto un’altra forma di governo e contemporaneamente suggeriva segretamente agli austriaci di occupare i possedimenti veneziani dell’Istria e della Dalmazia.

 

A ciò si aggiunsero le spese per il mantenimento del contingente francese di cinquemila uomini, poi raddoppiato, le requisizioni, le contribuzioni ed altre angherie. Napoleone voleva consegnare all’Austria un cadavere spolpato di tutto, tanto che prima della sua cessione, il territorio della Repubblica fu depredato e saccheggiato, le navi dell’Arsenale vennero affondate, mentre quelle negli scali demolite con l’accetta, compreso il Bucintoro. Tutto ciò che era trasportabile fu trafugato e trasportato in territori controllati dalla Francia, del resto fu fatto scempio con feroce vandalismo.

 

Evoluzione Territoriale della Repubblica di Venezia negli anni tra il 421 e il 1797

Evoluzione Territoriale della Repubblica di Venezia negli anni tra il 421 e il 1797

 

Il Direttorio aveva mal digerito le iniziative di Napoleone, tanto che il 19 agosto gli ordinò di fare qualunque cosa per allontanare dall’Italia l’impero asburgico e di lasciarlo allargarsi in Germania. E a Talleyrand, neo ministro degli esteri, fu ben chiaro il pasticcio che sarebbe derivato dall’allargamento dei domini austriaci in Italia (groviglio che sarebbe successivamente sfociato nelle tre guerre d’indipendenza italiane e nella guerra italo-austriaca del 1915/18) tanto da ordinare a Napoleone, l’8 ottobre, di interrompere ogni accordo e riprendere le operazioni militari se gli austriaci non avessero rinunciato a Venezia. Ma Bonaparte, il futuro Napoleone I, aveva altre ambizioni.

 

Durante questo periodo, i delegati veneziani continuarono ad avere ingenue speranze per la salvezza della Repubblica. Dalle missioni diplomatiche a Parigi, dove trovarono nel ministro Talleyrand un interlocutore consapevole, per chiedere di essere annessi alla neonata Repubblica Cisalpina, alle continue ricerche di mediazione con il Bonaparte, che continuava a giocare con la Repubblica come il gatto con il topo. L’invito alle città dell’entroterra a una riunione dove trovare un accordo, mentre le stesse Municipalità di terraferma, nel loro rancore, indivano il 27 luglio un congresso a Bassano del Grappa in funzione anti-veneziana. Speranze che si protrassero fino a Passariano, ma tutto fu invano perché tutto era già stato deciso e il 17 ottobre 1797, nella villa del doge Manin, il trattato fu firmato con tutto ciò che era stato pattuito e anche qualcosa in più: L’Istria e la Dalmazia all’Austria, le isole Ionie alla Francia. La Repubblica di Venezia, dopo più di un millennio di indipendenza e 120 dogi, aveva definitivamente cessato di esistere.

 

P.S. Avevo letto nel precedente articolo un commento riguardo le navi veneziane, per cui riporto le forze della flotta della Repubblica, di stanza a Corfù, alla sua caduta:

11 vascelli di linea da 70 cannoni;
10 vascelli di linea da 66 cannoni;
1 vascello di linea da 56 cannoni;
13 fregate da 42 a 44 cannoni;
2 fregate da 32 cannoni;
3 brigantini da 16 a 18 cannoni;
1 goletta da 16 cannoni;
2 cutter da 10 cannoni;
23 galee sottili;
7 galeotte;
7 sciabecchi;
5 feluche;

 

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Il declino
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Riferimenti:
La Repubblica del Leone – Alvise Zorzi, 1979
Storia della Repubblica di Venezia – Roberto Cessi, 1944-1946

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