Autodistruzione tra 10,9,8,6…


“Che è successo al sette?!!”
“Scherzavo”, ammicca la voce robotica dell’astronave nel finale di “Balle Spaziali” (ogni riferimento è puramente casuale. O forse no). Scherzavo, già. Immagino che anche il megafono vorrebbe poter dire qualcosa di simile. Ma in una società dove ciò che conta è la videocrazia, l’apparire in luogo dell’essere, come puoi liquidare con una sola parola tutte le tue battaglie, i tuoi comizi, le tue prese di posizione al limite del messianico? Certo, puoi farlo utilizzando un’altra parola: “complotto”. Ma non “scherzavo”. Vado troppo di corsa? Pardon. Un passo indietro. Nel momento più cupo della storia democratica del nostro paese, un vasto fronte di dissenso scelse di coagularsi attorno a delle figure considerate, fino a quel momento, ininfluenti: gli artisti satirici, che non risparmiavano bordate alla classe politica di destra e di sinistra. Gli spettacoli di Daniele Luttazzi, Sabina Guzzanti e Beppe Grillo, improvvisamente, cominciarono ad essere presi per puro vangelo da una sempre più vasta platea che si sentiva vessata dalla “kasta”. Ci trovammo così nella curiosa situazione in cui, anzichè ai principali esponenti dello schieramento a loro avverso, i politici dovevano far quadrato contro gli artisti che li accusavano di nefandezze assortite, e gli spettatori che li seguivano. Luttazzi e i Guzzanti, però, hanno sempre sottolineato che il loro ruolo non era salvare il popolo, semmai sensibilizzarlo ad informarsi e formarsi da sè un’opinione critica sui fatti dandogli, tra una risata e l’altra, qualche spunto di riflessione. Ed è stato questo il loro “errore” (si noti il virgolettato). Perchè qualcun altro ha invece -ben- pensato che tutto quel potenziale di giusta esasperazione contro tutto e tutti non andava sprecato. Molto più utile sarebbe stato fare ciò che i colleghi si rifiutavano anche solo di prendere in considerazione, ovvero coagulare quel dissenso attorno a sè. Dargli forma, struttura ed organizzazione. Aggiungete davanti a tutto questo un “non”, lasciate cuocere a fuoco lento per mesi, aggiungete un pizzico di deterioramento ulteriore della situazione politica e sociale, la provvidenziale caduta in disgrazia dei colleghi (Luttazzi accusato di plagio, la Guzzanti tacciata di aver “tradito la causa” per aver affidato i propri risparmi al “Madoff dei parioli”), chiedete supporto a qualche altro alfiere della libertà (Travaglio, Di Pietro, Piero Ricca) et voilà: potete servire in tavola il successo strepitoso del mo-vi-mento 5 stelle. Con un bel contorno di paroloni altisonanti, che ci piacciono tanto, tipo “democrazia dal basso”, “unovaleuno” e via dicendo. Non sono un’esperto, ma credo che nel marketing questa strategia si chiami “differenziare l’offerta”, nella speranza che il cliente abbocchi e si affezioni. Ha funzionato. Secondo molti, anche al di là delle più rosee aspettative. Concordo anche io con questa tesi. Ma dissento sull’ipotesi che vorrebbe le scenate di questi giorni, tra epurazioni e proclami al limite del delirio eversivo, frutto di nervosismo. Pur condividendo alcune delle basi su cui poggia il mo-vi-mento, detesto Grillo, il suo modo di porsi, il codazzo di iPicchiatori che istiga ad imperversare nel web alla ricerca instancabile di dissidenti da randellare. Ma non credo sia uno stupido, o che lo sia Casaleggio. Credo semmai che, sugli stupidi o meglio sugli ingenui, abbiano prosperato, catalizzando un successo che, adesso, diventa paradossalmente pericoloso, perchè li costringerebbe, in caso di arrivo in parlamento, a svelarsi per quello che sono, col rischio di sparire nel nulla dopo pochi mesi, trascinando a picco il loro megafono. Quindi questo consenso deve essere ridimensionato dal guru stesso con una campagna che faccia scappare a gambe levate i cuori candidi, lasciando intatta quella base di fedelissimi a cui, tra qualche mese, si potrà ancora propinare la favola secondo cui il mo-vi-mento non è potuto entrare a Montecitorio a causa di un “gombloddoh”. E di chi, naturalmente, ha remato contro. Perchè la responsabilità delle perdite di consenso, naturalmente, sarà di Favia, della Salsi, di Biolè. Non certo dei diktat, della mancanza di trasparenza, di un programma vago che troppo spesso ha strizzato l’occhio a chi, soprattutto orfano del centrodestra, ha bisogno non solo di “credere, obbedire, combattere”, ma anche e soprattutto di essere visibile. Credo che la premiata ditta g&g abbia trovato una “exit strategy” estremamente furba per autodistruggere la loro creatura senza ammazzarla del tutto, come sarebbe accaduto inevitabilmente dopo un paio di sedute alla camera organizzate apposta per spiegare cos’è un “ordine del giuorno”. Non si manda mai in soffitta una buona idea; nel momento più opportuno, un sequel o un remake di qualche vecchio successo fa sempre presa. Anche se inferiore all’originale, che già non era granchè. E, naturalmente, anche stavolta il timer si fermerà quando sul quadrante lampeggerà il fatidico “01”.

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