Attraverso uno specchio oscuro

Grazie a Baskerville, senza il quale non avrei mai scoperto questa chicca. E tante altre.

A volte ti chiedi come mai certe serie televisive da noi arrivano in maniera quasi clandestina.
Poi riesci a buttarci un occhio, e capisci il perché.
Temi troppo forti o complessi da dare in pasto al teleutente svezzato a tette, urla da mercato del pesce o, nei momenti di massima ispirazione, polizieschi sempre identici a se stessi.
Le serie inglesi in particolare, da noi, non godono il favore del grande pubblico; solo qualche emittente tematico e/ o particolarmente coraggioso scommette su quelli che, normalmente, sono dei veri e propri gioiellini da piccolo schermo. L’ultimo dei quali è “Black Mirror”.
Strutturata in due stagioni da tre episodi, ciascuno dei quali della durata di circa 45 minuti (fa eccezione solo il secondo episodio della prima serie, “Quindici Milioni di Celebrità”, che dura un’ora e su cui tornerò tra poco), “Black Mirror” esplora, attraverso storie paradossali ed autoconclusive – il cui unico trait d’union è il notiziario trasmesso dall’emittente UKN- l’interazione di una società non troppo futuribile con la tecnologia.
Quanto essa sia parte integrante del quotidiano, aiuti la gente e, non di rado, la condizioni.
Con esiti quasi sempre drammatici.
Delle sei vicende narrate, trasmesse qualche tempo fa da Sky, la metà sono interessanti ma poco coinvolgenti, almeno secondo il mio modesto parere.
La restante terna, invece, è estremamente disturbante. E meriterebbe non solo un passaggio televisivo su scala nazionale, ma di essere oggetto di analisi e dibattiti.
Specialmente l’episodio conclusivo della seconda stagione.
Analizziamo brevemente queste tre vicende.

Il già citato “Quindici milioni di celebrità” (stagione 1, episodio 2), ci porta in un mondo i cui abitanti vivono in minuscole celle, le cui pareti sono costituite da enormi televisori interattivi, capaci di riprodurre qualsiasi scenario. Ogni cosa, qui, è a pagamento, dalle trasmissioni televisive che ciascuno è obbligato a guardare (letteralmente) al dentifricio per lavarsi i denti. Tuttavia, la moneta non esiste: si possono accumulare crediti virtuali pedalando per intere giornate su cyclette ammassate in un’enorme sala comune, unico momento in cui gli abitanti di questo mondo, pardon “livello”, hanno possibilità di interagire tra loro. E’ durante una di queste interminabili, monotone giornate che il protagonista si invaghisce di una ragazza, il cui sogno è quello di ascendere al livello 1 e partecipare a “Hot Shot”, un reality che fa apparire misericordioso il nostrano “Amici”. Per partecipare, però, occorrono ben quindici milioni di crediti…
Ovviamente non vi svelo di più, per non guastarvi la sorpresa; mi permetto giusto di dire che il discorso del protagonista davanti ad una platea di avatar virtuali (!) è un pugno nello stomaco, così come il trattamento inflitto alle persone sovrappeso, condannate ad una vita da schiavi al servizio degli apollinei ciclisti.

Veniamo poi ad “Orso Bianco” (stagione 2, episodio 1), nel quale una giovane donna si risveglia in una casa sconosciuta. Non ricorda chi è, dove sia o perché si trovi lì. Le uniche, confuse immagini che tornano spesso alla sua mente sono quelle di un uomo e di una bambina, di cui trova delle foto nel soggiorno della casa. Avventuratasi all’esterno, comincia ad essere braccata da uomini e donne che, imbambolati, non fanno altro che filmarla col telefonino. Di lì a poco, altri individui ben più inquietanti, con indosso delle maschere, cercano di ucciderla, e solo l’interveto provvidenziale di una ragazza le permette di sopravvivere. Questa le spiega che, qualche giorno prima, un misterioso filmato apparso su tutti gli schermi di TV e cellulari ha fatto impazzire la gente, che ora pensa solo a filmare qualunque cosa si muova, oppure è caduta vittima di pulsioni omicide. L’unico modo per fermare questa follia è abbattere “orso bianco”, un ripetitore che si trova a poche miglia da quella cittadina da incubo. Ma arrivarci non sarà facile. E quando la nostra smemorata eroina ci arriverà, si pentirà di averlo fatto.
In questo caso è la ferocia e la morbosità della gente ad essere passata al microscopio; nel vedere l’episodio, mi è tornato in mente un classico episodio di “Ai Confini della Realtà” (di cui per tematiche e visioni “Black Mirror” è degno nipotino), dal titolo “Mostri in Maple Street”. Dove i mostri in questione non sono gli alieni che, si suppone, si annidino tra i pacifici abitanti di un’amena stradina americana.

Per concludere, in tutti i sensi, abbiamo un episodio il cui titolo già dice tutto: “vota Waldo!” (stagione 2, episodio 3). Chi è Waldo? Per dirla con le sue stesse parole, un orsetto con un enorme cazzo azzurro. Nonchè stella indiscussa di un programma di satira. Ogni settimana, Waldo invita nella sua tana rosa un politico, e grazie all’istronico talento del suo animatore Jamie lo massacra di insulti e domande scomode. Il pubblico applaude, si diverte, così un po’ per gioco, un po’ per non morire, i produttori decidono di rischiare… Candidando Waldo alle elezioni. Un cartone animato sboccato ed irriverente contro dei politici veri: quante speranze può avere, si chiede lo stesso Jamie? La risposta non gli piacerà. E non è piaciuta neanche a me.
Forse perché, da un paio di mesi a questa parte, è diventata fin troppo realistica.
Difficile pensare che gli sceneggiatori non abbiano buttato un occhio al di qua della Manica.
Difficile non notare parallelismi e similitudini.
Difficile capire da quale parte dello specchio siamo.
E quale dei due lati sia il più oscuro.

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