Vladimiro 3

Redistribuzione della proprietà

Con l’arrivo di Putin si è aperta una fase di riorganizzazione e redistribuzione della proprietà in concomitanza con la sua politica di accentramento e rafforzamento del potere statale. Dopo essersi liberato di Eltsin e degli oligarchi che lo avevano sostenuto, mise in campo la limitazione che la proprietà poteva essere mantenuta solo in cambio della fedeltà al potere centrale e con l’astensione da ogni attività politica, sia autonoma che appartenente a forze dell’opposizione. E fin dai primi colpi indotti dai suoi collaboratori in tal senso, diversi importanti oligarchi proprietari televisivi, sono stati costretti ad emigrare, sembra invece che con i proprietari di giornali sia stato più facile.

E mentre i piccoli e i medi imprenditori si assoggettarono subito alle nuove condizioni, i grossi gruppi industriali, più ricchi di mezzi, cercarono di opporsi. La lezione più rilevante è arrivata dalla società petrolifera Yukos, dove il potente proprietario e i dirigenti subirono un processo farsa, scorretto nella procedura anche per essere in Russia e illegale per la maggior parte degli imprenditori, con il quale si è voluto dimostrare chiaramente chi comandava nel paese. La condanna della Yukos e il successivo incameramento di tutti i suoi beni fu solo il segnale d’inizio della redistribuzione della proprietà, proseguito contro altri grossi imprenditori diventati troppo autonomi.

 

Mikhail B. Khodorkovsky a sinistra e Platon A. Lebedev a destra, principali azionisti della Yukos

 

La rapidità con cui Putin ha consolidato il potere è stato determinato da fattori concomitanti e interdipendenti. La guerra cecena in primo luogo, dove Eltsin aveva dimostrato l’inefficienza dell’esercito russo che già in Afghanistan non aveva brillato, fu ripresa da Putin che trasformò una guerra locale in guerra globale, sfruttando le fobie delle masse, gli umori anticeceni, la paura degli attentati terroristici e la diffusa umiliazione per la perdita dell’impero.

La guerra cecena e il terrorismo internazionale sono serviti per reintrodurre la censura, la graduale soppressione del sistema multipartitico, il ritorno di una magistratura dipendente dal potere centrale, la dissoluzione di molte funzioni principali del Parlamento e, come descritto precedentemente, la redistribuzione della proprietà a gruppi fedeli al governo.

In secondo luogo, il boom del prezzo del petrolio ha frenato il processo riformista dando modo alla Russia di risolvere diversi problemi senza adottare alcuna trasformazione. Se le crisi necessitano di riforme, le congiunture favorevoli tendono alle rendite di posizione. L’afflusso di entrate superiori al previsto gli permise di alleggerire notevolmente il debito estero evitando ulteriori cambiamenti strutturali, come la riduzione della spesa pubblica (determinata dal ruolo paternalistico dello stato nella società, di eredità sovietica) riforme in ambito sociale come le pensioni e un ulteriore abbassamento delle tasse per rianimare le piccole imprese.

Invece il periodo favorevole è servito per finanziare la guerra cecena, riattivare settori dell’apparato militare-industriale, e alcune strutture repressive e punitive ereditate dall’URSS, che hanno visto riavviare la macchina ormai obsoleta della repressione, della censura, delle persecuzioni politiche, dei processi per spionaggio verso l’Occidente e delle accuse di tradimento.

 

La nomenklatura

Nonostante tutti gli istituti siano stati decapitati dopo il crollo, la nomenklatura è quello che ha rappresentato la continuità fra il regime sovietico e quello attuale ed è stato un altro dei fattori che hanno rafforzato il potere di Putin. Nel momento più critico della dissoluzione (‘91/’92) entrarono al potere una serie di rappresentanti dell’intellighenzia democratica che avevano sostenuto Eltsin durante il suo scontro con la nomenklatura, quando di fatto aveva cessato di esistere come principio del potere politico, perché il PCUS era stato liquidato.

La debolezza dell’élite democratica incapace di proporre un nuovo modello economico che fosse attraente alle masse, fece sì che i progetti di modernizzazione dall’alto non ottennero alcun appoggio dalla popolazione perché la politica delle riforme, per niente legata agli interessi quotidiani della massa, era poco comprensibile a gente abituata al paternalismo statale. Di conseguenza l’amministrazione di Eltsin preferì non appoggiarsi ai deboli movimenti liberali, ma, come scritto precedentemente parlando della sua successione, preferì utilizzare le risorse delle strutture militari, poliziesche e repressive.

Già negli ultimi anni del governo Eltsin c’è stata una graduale sostituzione delle élite politiche tramite l’allontanamento degli amministratori filo-occidentali con una nuova nomenklatura, conservatrice, proveniente dalla provincia che aveva costituito nel periodo sovietico la seconda o la terza fila di nomenklatura.

Fu questa che nei primi anni di riforme, privati di potere e autorità, si erano legati alle principali istituzioni conservatrici e repressive come l’esercito o il KGB, e si rese conto che nelle nuove condizioni ci sarebbe stato bisogno di una redistribuzione della proprietà per poter mantenere i propri interessi, che né l’ideologia totalitaria, né lo status di nomenklatura potevano assicurare. E questa redistribuzione doveva essere fatta a spese di quegli imprenditori con idee riformatrici che avevano compreso i vantaggi dell’economia aperta. (Già a metà degli anni ’90 ci fu un primo tentativo di mettere le mani sull’export delle materie prime da parte dei servizi segreti).

Quindi la redistribuzione della proprietà ha avuto un’accelerazione con l’arrivo al potere di Putin. I principali obiettivi della redistribuzione forzata furono le aziende destinate all’esportazione di materie prime e quelle di importazione di prodotti tecnologici.

Fin dall’inizio Putin vide nei quadri dei servizi di sicurezza una riserva di personale per restaurare il potere centralizzato, di conseguenza rieditò la nomenklatura utilizzando i medi e gli alti gradi dei servizi speciali collocandoli in tutte le posizioni di un certo rilievo.

Ci sono stati due processi che hanno influenzato il forte aumento di ufficiali e sottoufficiali dell’esercito e dei servizi nell’élite economica e politica russa. Il primo è stato dopo il crollo, quando il KGB fu ridimensionato, trasformato nell’FSB, 300.000 agenti furono licenziati e successivamente riassorbiti in altri ruoli tramite le strutture statali nella nuova Federazione Russa. Il secondo, con il rafforzamento della centralizzazione del potere nella fase ascendente, un numero sempre maggiore di militari ha occupato cariche economiche e politiche sotto l’ordine del Cremlino.

 

Emblema del FSB

 

Per citare alcuni numeri il 25% dell’entourage di Putin è costituito da gente proveniente dall’esercito o dai servizi di sicurezza (contro l’11% di Eltsin). Nelle regioni e nelle province le persone di alto livello con un passato nell’esercito, nella polizia o nei servizi costituisce il 30/35%. Nell’amministrazione regionale la quota è del 45/50% mentre nelle regioni di confine del sud supera il 50%. Su sette rappresentanti del presidente nelle province federali, cinque sono generali del servizio di sicurezza erede del KGB. *

Si è trattato di un intenso processo di migrazione di militari e ufficiali dei servizi di sicurezza, dell’esercito e della polizia negli organi amministrativi e nei consigli di amministrazione delle aziende, soprattutto quelle cruciali e strategiche.

Inoltre è stato anche rispolverato un vecchio status sovietico, quello di “ufficiale della riserva attiva”. Quando un alto ufficiale dell’esercito o dei servizi diventa amministratore di una grande azienda non va in pensione, ma rimane in servizio attivo, percependo non solo lo stipendio di amministratore, ma anche quello dell’apparato militare di appartenenza a cui deve l’obbligo della presentazione di rapporti mensili.

Il numero così elevato di ex agenti dei servizi e di ufficiali e sottoufficiali dell’esercito nell’amministrazione pubblica e nelle strutture del potere, del Parlamento, della finanza, della scienza e dell’istruzione è un chiaro segno che questi ambiti, dopo essersi liberati per un breve momento dal giogo e/o dalla tutela dello Stato, sono tornati sotto il suo controllo.

 

I risultati

Conseguentemente c’è una mancanza di professionalità nella burocrazia e un aumento di incompetenza ai vertici del potere, come era accaduto nel periodo tardo sovietico, a cui è stato posto rimedio aumentando il numero dei funzionari, degli esecutivi e della burocrazia. Nonostante ciò l’inefficienza dello Stato diventa sempre più evidente e frequentemente soggetta a critiche.

La specificità della transizione russa, in confronto alle altre repubbliche ex socialiste, è stata quindi quella di aver favorito i grossi gruppi aziendali (che legati all’export di materie prime restano pur sempre dipendenti dalla congiuntura estera) mentre le medie e le piccole imprese non sono in grado di esercitare alcuna influenza sull’apparato quando quelle grandi sono state costrette a fondersi con le strutture del potere creando quello che in Russia si chiama “capitalismo di nomenklatura”.

La produzione nazionale resta arretrata e le importazioni crescono con il ritmo del 20% annuo, il mercato interno rimane debole perché non riesce a svilupparsi proprio a causa delle piccole e le medie imprese che non posseggono risorse per ammodernarsi, né per difendersi dalla burocrazia, dall’arroganza dell’amministrazione, né dalla corruzione del potere giudiziario.

Alla fine del secondo mandato l’amministrazione di Putin è riuscita a eliminare ogni dissenso al potere presidenziale, i primi oligarchi sono stati sostituiti con quelli leali al regime e il risultato che si presenta è che la Russia ha il sistema politico più unidimensionale e più centralizzato d’Europa, formando un potere politico monopolistico e centralistico chiamato dalla stampa filogovernativa “democrazia gestita”, un eufemismo per definire con più correttezza un “autoritarismo burocratico”. **

 

 

Dati pubblicati da Olga Kryshtanovskaya dell’Istituto di sociologia dell’Accademia delle scienze russa, che si occupa dello studio delle élites russe.
 **  Jurnal of Democracy, n. 3, 2004

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