Vladimiro 2

Il consolidamento economico

Con le riforme attuate nel periodo seguente il crollo dell’URSS l’economia russa ha cominciato ad adattarsi al mercato, soprattutto per la contrazione del settore statale, particolarmente quella industriale. Cominciarono a formarsi delle vere classi imprenditoriali, frutto anche della liberalizzazione del mercato del lavoro, del capitale, del cambio estero e il cambio flessibile sul rublo. Durante tutto questo periodo la Russia si trovava economicamente in piena fase discendente che ebbe il suo fondo nella seconda metà del 1998 quando si registrarono i valori più bassi degli indicatori economici dall’inizio della transizione. I consumatori vedevano diminuire il proprio potere d’acquisto con la caduta del valore del rublo e si ampliava il numero dei poveri.

Tuttavia la svalutazione cominciò a dare una notevole spinta all’industria russa e dal 1999 l’economia cominciò a risalire con un tasso di crescita del 6/7% annuo (fino alla crisi del 2008) l’iperinflazione rallentò attestandosi sui livelli del 10/13% e la disoccupazione cominciò a scendere, quindi anche la transizione russa aveva raggiunto il suo punto di svolta cominciando a mostrare le dinamiche già registrate negli altri paesi di area ex-sovietica.

La stabilizzazione economica fu accompagnata dalla stabilizzazione politica, inscindibilmente legata al repentino avvento di Vladimir Putin, un ex ufficiale del KGB sconosciuto a tutto il paese, la cui ascesa al potere coincise con l’inizio della seconda fase, quella ascensionale, della transizione russa.

 

 

La scelta del successore di Eltsin fra gli esponenti dell’apparato alla sicurezza fu comprensibile e quasi obbligato. Dopo lo scontro avuto nel 1993 tra Eltsin e il Soviet supremo con lo scioglimento forzato del Parlamento, le prime elezioni avutesi con la nuova costituzione che ebbero un risultato inaspettato e spiacevole per Eltsin quando il vero vincitore che ne uscì fu l’estremista, nazional-populista Zhirinovskij. Fu ancora più difficile per lui nel 1995 quando alle elezioni parlamentari si erano affermati i neocomunisti, rinati dopo la messa al bando del PCUS.

In questo quadro i partiti liberaldemocratici avevano dubbi nell’appoggiarlo per continuare le riforme, con lo scontento sociale che dilagava e l’impopolarità della guerra in Cecenia. Quindi Eltsin si trovò di fronte alla scelta di continuare a fare riferimento a diversi piccoli partiti spesso in conflitto fra loro, o farsi appoggiare dai servizi di sicurezza e dai militari che in quel momento potevano assicurare un appoggio di tipo tradizionale, più comprensibile al popolo. Scelse la seconda opzione, i siloviki, i vertici del KGB (ribattezzato FSB) e altri servizi di sicurezza legati agli addetti della sua difesa.

Il candidato ottimale doveva provenire dalla polizia politica, inserito nelle nuove strutture economiche–finanziarie del paese tanto quanto nelle risorse amministrative degli apparati regionali e federali e a conoscenza della struttura del libero mercato. Un uomo che potesse garantire la proprietà durante la transizione che con una rete di relazioni dell’economia “informale” e il potere repressivo del nuovo KGB potesse compensare l’inefficienza del sistema giudiziario e dello Stato.

 

L’ascesa di Putin

Putin è stato scelto come successore durante un accordo segreto fra Eltsin, i collaboratori più vicini a lui, e gli oligarchi di prima generazione attraverso i quali Eltsin ha potuto disporre di risorse, non soggette al controllo del Parlamento e di dubbia provenienza, per finanziare e vincere le elezioni a presidente nel 1996.

Scelse Putin definitivamente come suo successore nel 1999 in quanto apparentemente non serbava alcuna ambizione politica, era devoto al suo capo e dotato di esperienza di coordinamento fra i ministeri, tutte caratteristiche che diedero a Eltsin l’illusione di poterlo manovrare.

Ma avendo puntato tutto sulla polizia politica, con il tempo Eltsin, debole fisicamente e politicamente, ne divenne ostaggio, costretto ad accettare sempre più compromessi per una restaurazione del precedente sistema di potere centralizzato.

Grazie ad un vertiginoso aumento del prezzo del petrolio e del gas con cui il governo non solo ha potuto ridurre il debito estero, ma anche versare ai lavoratori gli stipendi arretrati e interrompere la pratica di ritardare i pagamenti agli statali, alle elezioni presidenziali del 2000 Putin ebbe un consenso plebiscitario e il suo grado di popolarità nei primi anni del suo mandato non è mai sceso sotto il 70%.

 

 

Nelle precedenti elezioni della Duma del dicembre 1999, dai programmi elettorali dei grandi partiti, si assodò che nessuno rifiutava più la proprietà privata come base della vita economica, nessuno difendeva il finanziamento del deficit statale tramite l’inflazione come mezzo per raggiungere la giustizia sociale, tutti concordavano sulla necessità di riformare il sistema di tassazione. Inoltre la maggioranza, precedentemente composta dai comunisti, aveva cambiato faccia. Tre nuovi partiti sostenitori di Putin, avevano ottenuto il 55% dei seggi che gli avrebbero permesso di formare un governo di sua fiducia.

Putin ha saputo cavalcare l’insoddisfazione della gente e la frustrazione popolare per il calo del tenore di vita culminata nel crollo del rublo del 1998, per la perdita dello status di superpotenza, sfruttando anche le paure sulla dissoluzione della stessa Russia. In più ha sfruttato gli sbagli delle forze liberaldemocratiche e la loro incapacità di guidare il processo di transizione, di limitare gli eccessi di privatizzazione e di non controllare la corruzione e la criminalità organizzata.

 

L’autarchia

Nella prima parte della transizione postcomunista le trasformazioni apparivano poco promettenti per il popolo russo, si assistevano a scene di litigi continui fra partiti, fra parlamento e governo, fra governo e regioni senza che si arrivasse a un dunque, mentre i russi erano sempre più frustrati per l’abbassamento del tenore di vita, per l’instabilità continua e l’assenza di garanzie sociali. In questo contesto l’idea democratica fu molto svalutata e prese piede l’idea più conosciuta di un potere forte, al punto di auspicare al modello precedente, l’unico comprensibile, l’unico conosciuto.

Tuttavia nel ritorno al passato si frapponevano da una parte i media, non più soggetti al controllo statale e i governatori regionali che avevano avuto una legittimazione politica e autonoma nuova. A questi si aggiungevano i grossi gruppi industriali e finanzieri (gli oligarchi).

Putin ebbe l’appoggio dei vecchi reduci sovietici e di tutti coloro che non avevano potuto godere dei benefici delle riforme economiche e non si sentivano a proprio agio nelle nuove condizioni di mercato post sovietico, pertanto il consolidamento del suo regime doveva passare attraverso il controllo dei media (in particolare i maggiori canali televisivi) la subordinazione delle autorità regionali a quella federale e l’indipendenza del potere politico da quelli economici che lo avevano portato al potere.

 

 

La prima metà del suo mandato si contraddistinse per un forte attivismo preoccupandosi in primo luogo di fissare un maggior controllo del potere esecutivo su quello politico, modificando molte norme che avevano cominciato a nascere negli anni ’90 sulla divisione dei poteri. Lentamente sotto il suo regime le repubbliche autonome cominciarono a perdere tutti i privilegi che avevano acquisito durante l’era Eltsin.

La sua politica riuscì già dal primo mandato a raggiungere gli obbiettivi che si era prefissato: decretare e consolidare il controllo sul potere giudiziario e il Parlamento. (Quando il Consiglio della Federazione, la camera alta, venne nominata dal presidente, il potere giudiziario e la Corte Costituzionale non hanno osato contraddire il governo e l’ufficio del procuratore generale, anch’esso nominato dal presidente, ha fra i suoi ruoli la persecuzione  degli oppositori politici.) Inoltre i cambiamenti della legge elettorale, la regolamentazione dei partiti, e il controllo dei media hanno portato alla quasi scomparsa del pluralismo politico.

La manifestazione di ciò, si vede nel ruolo acquisito dal partito del presidente, Russia unita, creato con un massiccio investimento di denaro statale, che domina gli organi del potere esecutivo a tutti i livelli, spingendo ai margini l’opposizione di destra e sinistra. Dalle elezioni del 2003 il partito del presidente controlla entrambe le camere con una maggioranza dei due terzi.

Per raggiungere lo scopo rivide le privatizzazioni delle proprietà statali fatte negli anni ’90 a cominciare dai media, operazione non difficile considerando l’opinione del popolo nei confronti degli oligarchi. L’avvio fu indotto spingendo gli organi giudiziari ad accertare le violazioni della legalità avvenute nel corso delle privatizzazioni, l’evasione fiscale, violazioni di leggi di tutela ambientale e altre norme giuridiche per colpire gli oligarchi invisi al regime. La rinazionalizzazione non era atta solo per limitare le influenze politiche di certi oligarchi, ma soprattutto a redistribuire la proprietà ai gruppi che offrivano fedeltà al potere centrale.

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