Caduta di un impero

Brežnev da tempo ammalato era politicamente ininfluente, ma la rete di potere che aveva pazientemente costruito in 18 anni, con un’intricata combinazione di interessi reciproci, considerando quanto fossero pochi coloro che non ne avevano usufruito, divenne talmente forte che il timore di una successione con esito incerto era diventato un fattore di stabilità (tanto che qualche maldicente sussurrava fosse già morto e lo avessero imbalsamato per farlo vedere in televisione).

Ma ci fu certamente consapevolezza delle disastrose condizioni in cui versava il paese dato che alla sua morte, nel novembre del 1982, fu scelto come successore Jurij Vladimirovič Andropov, uomo esterno alla sua cerchia, ma perfettamente al corrente della realtà dell’URSS, provenendo dalla presidenza per la sicurezza dello stato, il KGB gestito da lui nei quindici anni precedenti, il quale nei pochi mesi alla guida del PCUS cercò di sollevare una rivoluzione morale contro la corruzione e l’incompetenza che avevano caratterizzato l’Unione Sovietica degli ultimi anni.

Con la sua morte il partito operò con Konstantin Ustinovič Černenko una temporanea restaurazione brežneviana che durò poco e alla sua dipartita, date le condizioni del paese sempre più disastrose, mettendo da parte gli interessi personali, la scelta ricadde su un uomo giovane ed energico, Michail Gorbačëv.

 

 

L’11 marzo 1985 quando Gorbačëv divenne segretario del PCUS la situazione economica dell’URSS era inquietante; pur essendo riuscita a diventare la seconda potenza industriale del mondo dopo gli Stati Uniti, negli ultimi dieci anni aveva smesso di crescere ed era industrialmente invecchiata. Ai difetti originali come infrastrutture inadeguate, servizi mediocri, gigantismo delle imprese e prevalenza dell’industria pesante, si aggiunsero la vetustà del materiale tecnico e impiantistico che versava in condizioni obsolete e si evidenziarono in numerosi incidenti che hanno contrassegnato gli ultimi anni dell’Unione Sovietica nel campo delle infrastrutture, dei trasporti, dell’edilizia e delle miniere, di cui Černobyl’ fu solo il caso più eclatante.

Gorbačëv, come Andropov, si concentrò subito su una campagna di moralizzazione puntando in primo luogo contro l’alcolismo che aveva raggiunto livelli allarmanti per la produttività, per la condizione delle famiglie e per la salute. Il primo strumento di moralizzazione fu la glasnost’ che consentiva alla pubblica opinione di vigilare sull’attività dell’apparato. Successivamente, dopo aver tracciato un quadro realistico delle condizioni economiche, procedette in una riorganizzazione del settore agricolo, cercando di sfoltire il pesante apparato burocratico creato dietro l’agricoltura sovietica.

La riforma radicale si chiamò perestrojka (ristrutturazione) e si estese al settore industriale con un servizio di ispettori sulla qualità della produzione, una legge sulla formazione di imprese familiari, una legge che imponeva alle imprese di provvedere alla gestione tramite i propri utili, una legge che incoraggiava la nascita di cooperative e disposizioni che permettevano agli agricoltori di affittare appezzamenti di terreno. Fu anche facilitata la creazione di società miste con soci stranieri cercando di potenziare i rapporti commerciali con l’estero al fine di incrementare le riserve di valuta e la conoscenza di nuove tecnologie, ma qui gli enti e i funzionari addetti si arenarono, non avendo alcuna familiarità con problemi di carattere fiscale, valutario e legislativo. L’URSS si stava praticamente inventando una nuova economia, il passaggio da quella comunista a quella di libero mercato che non aveva precedenti nella storia.

 

 

La perestroika incontrò notevoli difficoltà nel suo cammino di cambiamento, le resistenze di chi era spaventato di perdere le posizioni di potere crearono una corrente conservatrice, ma anche le imprese facevano fatica a entrare nella mentalità del calcolo economico, le imprese familiari si scontrarono con la difficoltà di reperimento della materia prima e il servizio di qualità degli ispettori dovette cominciare a chiudere un occhio per non sanzionare industrie che avrebbero potuto mettere sulla strada migliaia di operai. Non ultimo il fatto che molti dei soldi destinati alla modernizzazione, furono indirizzati a coprire i disastri occorsi in quegli anni, come la catastrofe di Černobyl’ e il terremoto in Armenia, che tuttavia confermavano entrambi la necessità del radicale rinnovamento. Infatti molti degli edifici crollati in Armenia non avrebbero dovuto cadere, ma lo hanno fatto perché costruiti in modo mediocre.

Gorbačëv fu anche occupato dall’apparato politico, sostituendo lentamente gli uomini che rappresentavano il potere fallimentare precedente e mentre era facile farlo con i membri del governo era estremamente più difficoltoso rimpiazzare i membri del politbjuro e del comitato centrale di cui, con non poche difficoltà, riuscì a sostituirne la gran parte dei componenti, pur restando sua intenzione finale quella di volerne cambiare funzioni e struttura.

Il partito doveva spogliarsi degli importanti compiti amministrativi che lo avevano appesantito rallentando allo stesso tempo la crescita e ritrovare una funzione di orientamento. Al governo avrebbero dovuto provvedere i soviet, le assemblee elettive volute da Lenin, in pratica gli elettori che avrebbero potuto scegliere fra candidature alternative.

 

 

I primi contrasti furono evidenti con il processo a Eltsin, nominato segretario del PCUS di Mosca, che adottò, nella città sede della nomenklatura sovietica, un atteggiamento puritano, e con una certa demagogia applicò provvedimenti moralizzatori, come chiudere i negozi speciali per gli alti membri del partito. Eltsin rappresentava dentro la perestroika una corrente ugualitaria e radicale e dopo i contrasti diretti contro i conservatori fu estromesso dal politbjuro e sostituito con il segretario di Leningrado.

Nel frattempo cominciarono i primi movimenti indipendentisti e autonomisti. Nel 1987 a Mosca ci fu la prima manifestazione dei tatari che erano stati deportati da Stalin con l’accusa di collaborazionismo con i tedeschi e che volevano tornare in Crimea, seguite dalle rivendicazioni autonomiste delle repubbliche baltiche e mentre queste restarono nei limiti della legalità, nel Caucaso la situazione divenne preoccupante. Agli inizi del 1988 gli armeni rivendicarono il loro territorio a cui seguirono violenti scontri e dulcis in fundo alla fine dello stesso anno un disastroso terremoto portò distruzione nel paese. Seguì la Georgia dove i locali volevano cacciare le minoranze turche deportate nello stato da Stalin, e a ruota altre rivendicazioni provennero da Ucraina, Bielorussia e la Moldavia che voleva adottare l’alfabeto latino sostituendo quello cirillico.

Nonostante la dura reazione ai movimenti più radicali, si mise in moto un piano di ristrutturazione rendendosi conto che tutti i movimenti erano frutto della negligenza e dell’arroganza del regime da Stalin in poi, ma in nessun momento fu mai messa in discussione l’unità dell’Unione Sovietica.

 

 

Le elezioni del 1989 furono una svolta democratica e per la prima volta dal 1918 il paese poteva dar sfogo ai suoi malumori. Mancavano completamente norme e strumenti democratici di confronto, ma c’era una notevole libertà di espressione. Le spinte decisive più riformatrici arrivarono però dall’esterno dell’URSS. Prima ci furono le elezioni in Polonia dove si affermò il partito di Solidarność, l’Ungheria e infine la Germania Orientale. Quest’ultima fu il colpo più doloroso inferto al regime sovietico perché la Germania rappresentava il simbolo del comunismo, oltre che essere la patria del suo fondatore. L’unificazione tedesca fu l’evento più clamoroso, che i vincitori della II guerra mondiale avallarono a Mosca e la totale assenza di una reazione da parte sovietica ebbe una parte determinante nella caduta dei regimi comunisti periferici che in pochi mesi fece perdere all’URSS la sua cintura di sicurezza, uscendo quindi sconfitta dalla guerra fredda.

Mentre Gorbačëv pensò di sostituire gli equilibri della guerra fredda con un assetto atto al mantenimento della pace rinunciando alle ideologie e alle ambizioni egemoniche, ricavando come vantaggio le simpatie, la collaborazione finanziaria dell’occidente e il riconoscimento delle frontiere, con gli incontri di Malta, il trattato di Washington, l’incontro di Helsinki e la “Carta di Parigi”, la politica estera del leader sovietico ebbe molta popolarità in occidente, tanto da fargli conseguire il nobel per la pace.

 

 

Al contrario in Russia gli effetti furono sconvolgenti perché dopo la caduta dei regimi comunisti in Europa centrale, gli autonomisti divennero sempre più radicali in particolare in Estonia, Lettonia e Lituania, ma si estesero in tutte le repubbliche sovietiche. Il 9 marzo 1990 la Georgia proclamò la sua indipendenza, e la Lituania si accodò l’11 marzo. Seguirono a ruota altre repubbliche che alla fine del 1990 avevano proclamato in un modo o nell’altro la propria sovranità.

Contemporaneamente Gorbačëv cessò di essere il presidente del Presidium del Soviet Supremo e divenne presidente dell’Unione, facendo dell’URSS una repubblica presidenziale, anche se purtroppo il disegno politico-istituzionale del leader sovietico fu messo a dura prova dalle spinte autonomiste provenienti da tutte le periferie dell’impero.

Il 5 marzo 1990 si tennero le elezioni per i parlamenti repubblicani e Boris Eltsin fu eletto trionfalmente, divenendo presidente del soviet supremo della repubblica russa. Proclamò la sovranità della repubblica russa e la supremazia delle leggi repubblicane su quelle dell’Unione. Proclamando la sovranità russa Eltsin non intendeva staccarsi dall’Unione Sovietica, le due entità non erano politicamente divisibili, ma voleva svuotarla da ogni contenuto ed ereditarne i poteri. Cominciò cercando di annullare i contratti di esportazione dell’Unione per riversarli nei bilanci repubblicani, poi diede inizio a contatti con le repubbliche vicine che avevano delle minoranze russe, come l’Ucraina, la Bielorussia e il Kazachstan per ricostruire una nuova unione. Lo Stato che Eltsin voleva smantellare era uno stato-partito ed era il partito, e non Gorbačëv, il principale avversario di Eltsin.

 

 

Il XXVIII congresso del Pcus nel luglio del 1990 confermò la formazione all’interno di un’ala conservatrice fortemente preoccupata delle riforme fallite, della situazione economica, sull’integrità dello stato e sul prestigio della potenza sovietica nel mondo. In quel congresso fu combattuta una doppia battaglia, quella di Gorbačëv contro i conservatori e quella di Eltsin contro il partito intero. Mentre il primo riuscì a mantenere la carica di segretario generale, il secondo rimase all’interno del Pcus allo scopo di aiutare Gorbačëv, per poi scaricarlo clamorosamente nei giorni successivi la fine del congresso così da accentuare le contraddizioni e indebolire le autorità del paese.

Ottenne risultati contradditori, da un lato evidenziò la crisi del partito, dall’altro rafforzò i conservatori che cercarono di isolare gli esponenti del movimento riformatore e influirono decisamente su Gorbačëv che accantonò il piano dei 500 giorni per il passaggio dall’economia comunista a quella di mercato, sostituì il ministro degli interni con uno dei maggiori esponenti del KGB, nominò vicepresidente un membro dell’apparato del partito, sostituì il primo ministro con un economista conservatore e costituì nel 1991 il Consiglio Nazionale della Sicurezza dove presero posto i maggiori esponenti conservatori al vertice dello stato.

Il fatto più significativo che diede all’opinione pubblica mondiale la convinzione della svolta autoritaria del 1991, furono le dimissioni del ministro degli esteri Shevardnadze che al Congresso dei deputati del popolo denunciò il rischio di un colpo di stato e si accorse di essere diventato il bersaglio dell’offensiva conservatrice che lo accusava dell’unificazione tedesca e di aver assecondato la politica americana dopo l’invasione del Kuwait, deludendo le attese degli alleati arabi di Mosca.

Inoltre gli accordi presi da Shevardnadze sulla riduzione degli armamenti convenzionali dette un duro colpo ad un sistema che si basava sulla fornitura di armi a tutti gli amici dell’URSS nel mondo, considerando che l’industria bellica era diventata un centro di potere e un asse che conferiva lavoro, sicurezza e prestigio. Shevardnadze, agli occhi dei conservatori, era responsabile di andare d’accordo con gli USA piuttosto che tutelare gli interessi dell’URSS e dei suoi amici nel mondo, a maggior ragione gli fecero pesare il ritiro delle truppe sovietiche dai paesi dell’Europa orientale.

 

Manifestanti davanti al Cremlino, 1991

 

Per frenare la marea secessionista il 17 marzo i conservatori indissero un referendum (boicottato da Paesi Baltici, Armenia, Georgia e Moldavia) a cui Eltsin impose un ulteriore quesito sull’elezione popolare del loro presidente. Ne uscirono due vittorie contraddittorie, l’affermazione dell’unità di un URSS riformata e l’elezione del presidente della repubblica di cui Eltsin approfittò subito indicendo immediatamente le votazioni per la presidenza dello stato russo e presentando la propria candidatura con una grande manifestazione a Mosca dimostrò il suo enorme seguito, sfidando pubblicamente i conservatori, che lo portò ad essere eletto presidente della Repubblica Russa, sconfiggendo Gorbačëv.

A questo punto Gorbačëv, dopo aver assecondato la politica restauratrice, passò nel campo dei riformatori dove negoziò con nove repubbliche un patto che garantiva maggiori autonomie. Probabilmente pensava con il suo oscillare fra destra e sinistra, come aveva fatto in passato, di poter fare la parte del conciliatore al fine di tenere unito il paese, ma questa volta non capì che il divario fra le due fazioni ormai si era fatto più largo e la sua apertura a sinistra fu concepita dall’altra parte come un tradimento.

Nei mesi seguenti la vita politica divenne solo conflitto fra campi contrapposti tra i conservatori arroccati, ma incapaci di affermare la loro autorità e Eltsin assieme al quale stavano tutti coloro che volevano distruggere il potere sovietico. Autoritari contro democratici, unitari contro confederati, fautori dell’economia statale programmata contro economia di mercato. Ma erano divisi soprattutto sullo stato-partito e la sua incapacità di far fronte al bisogno di modernizzazione e come sempre in questi casi vecchie nomenclature che volevano conservare il potere contro forze nuove alla ricerca di maggiori spazi. Restavano fuori dal conflitto le repubbliche che intendevano staccarsi dall’Unione e si accentuarono i contrasti tra gruppi etnici e religiosi che la storia sovietica aveva costretto a vivere insieme nelle stesse repubbliche.

 

 

L’apice del conflitto sfociò in una prova di forza nell’agosto 1991, dopo aver inutilmente tentato di incriminare Eltsin e di togliere i poteri presidenziali a Gorbačëv, i conservatori, approfittando dell’assenza di quest’ultimo, proclamarono un comitato di emergenza per assumere il controllo dell’URSS. Vi parteciparono le più alte cariche dello stato, compreso il presidente del KGB, per questo l’espressione “colpo di stato” è stata data in modo improprio, in effetti si è trattato di una prova di forza che in maniera autoritaria cercò di risolvere il conflitto che aveva paralizzato i vertici dell’URSS. I cosiddetti “putschisti” non cercarono di conquistare il potere, ma di esercitare il potere di cui erano già titolati, infatti non isolarono l’opposizione, ma si limitarono ad impartire ordini da eseguire.

Non seppero, però, misurare le condizioni del paese e lo stato di disorientamento e d’incertezza che viveva l’apparato burocratico sovietico il quale in quel momento ebbe la sensazione che a Mosca vi fossero due poteri, i membri del comitato di emergenza e Boris Eltsin, presidente della repubblica russa che esortava il popolo alla resistenza. In altre circostanze la nomenclatura avrebbe ubbidito immediatamente agli ordini del potere centrale, ma qui preferì attendere con prudenza, rinforzata anche dall’assenza di Gorbačëv. E fu quest’attesa, contrariamente a ciò che si pensa, a provocare il fallimento della manovra autoritaria, più che le manifestazioni di piazza del popolo.

 

 

Eltsin sfruttò immediatamente la vittoria, sospese le attività del Pcus, ne fece chiudere le sedi in tutto il territorio della repubblica russa e costrinse Gorbačëv a dimettersi dalla carica di segretario generale. Se in URSS il partito era lo stato, la morte del partito avrebbe disgregato rapidamente lo stato e quindi la morte dell’URSS può essere fatta coincidere con il giorno in cui Eltsin soppresse il Partito Comunista dell’Unione Sovietica. Dopo la Lituania e la Georgia che avevano già proclamato l’indipendenza nel 1990, si staccarono l’Estonia il 20 agosto, la Lettonia il 21, L’Ucraina il 24, la Bielorussia il 25, la Moldavia il 27, l’Azerbaigian il 30 e l’Armenia il 22 settembre che vennero subito riconosciute a livello internazionale.

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