Toyota Land Cruiser non è un fuoristrada da città.

In Yemen (non avendo un appalto di lungo periodo) li noleggiavamo con contratti mensili dagli yemeniti locali. Lavoravo ai margini del Rub’ al-Khali (la più grande estensione di sabbia al mondo). In un territorio ostile a uomini e macchine, con temperature massime raggiunte, oltre 50° all’ombra (il record fu 54°, anche se ufficializzano solo la Valle della morte negli USA). Gestivo due cantieri distanti 30 km, uniti da una pista su sabbia. La Toyota Land Cruiser non ha nulla a che fare con i costosissimi 4×4 che sfrecciano nelle nostre città. Lo stesso per gli altri modelli, come la Toyota pick-up che ho usato in Tanzania. Non per nulla Toyota è ai vertici delle vendite mondiali. Uno dei modelli Land Cruiser migliori che ho usato in Yemen è stato un 4,200 litri benzina, otto cilindri, doppio serbatoio da 75 litri l’uno (naturalmente tropicalizzato), gomme extralarge per la sabbia, doppio condizionatore interno (uno per l’aria condizionata, uno per il frigorifero), consumo su sabbia 4 km/litro. Uno sballo guidarlo. Dato che era in affitto per un mese (poi l’avrei cambiato con un altro), l’ho trattato malissimo, ovvero al limite: nessuna vettura europea può arrivare a quei livelli. Neppure la mitica Land Rover, che avevo precedentemente usato in Algeria.

 

Toyota Land Cruiser anni 1980

 

Non vuole essere uno spot pubblicitario, ma è uno dei motivi per cui considero “ridicoli” i vari costosissimi SUV 4×4 Porsche, Bmw, Alfa Romeo, Mercedes … Non reggerebbero minimamente il confronto nel deserto o nella sabbia africana, come resistenza e durata. Anche il Toyota pick-up non è da meno (ti rompi tu, prima che si rompa lui): tanti anni fa importavamo in Tanzania le Campagnole Fiat e i pick-up Toyota. Le Campagnole, al confronto, sembravano giocattoli. I minatori (costruivamo sottoterra, nel granito) quando arrivavano nuove, con il flessibile tagliavano la parte superiore, per poter caricare più facilmente la dinamite. (Un viaggio in galleria su terreno sobbalzante, seduto su una cassa di dinamite, non lo auguro a nessuno). Le Toyota erano particolarmente dure e invecchiarono, mentre le Campagnole venivano acquistate come il pane. Bene ha fatto la Fiat a terminare la produzione.

 

Fiat Campagnola

 

Per questo la Toyota ha conquistato le terre più selvagge, per questo la usano i terroristi, le forze militari, regolari o meno (se lo chiedeva un ingenuo articolo che lessi tempo fa e che incolpava stupidamente la Toyota). I miei pareri non si riferiscono alla comodità o alla dotazione di accessori, secondo i luoghi comuni occidentali, non avendo mai posseduto un costosissimo SUV. Si riferiscono alle esperienze avute in Africa e nei deserti. Dal dopoguerra la Land Rover dominava l’Africa, ora non più. I giapponesi che negli anni 1960/70 venivano in Europa e li deridevamo perché fotografavano tutto, in questo campo ci hanno superato, e di molto, conquistando il mondo con le loro fuoristrada, che in quei luoghi sono più affidabili delle nostre, costruite esclusivamente per i ricchi di città.

Questo articolo l’ho scritto dopo aver letto la presentazione della nuova Toyota Land Cruiser, un mito nei Paesi asiatici-africani, che spero rimanga tale. Anche la tropicalizzazione, che consiste in un costoso lavoro approfondito per proteggere tutti i circuiti elettronici, inserire filtri per la benzina, l’olio, l’acqua e altro ancora. Perché la sabbia rossa africana ha la stessa consistenza della nostra farina 00. Si intrufola dappertutto, e quando arriva nei pistoni o nelle schede elettroniche è finita, provocando il “grippaggio”. La sabbia del deserto è più grossa, ma con il vento entra nel naso, nelle orecchie, ma soprattutto in bocca, dove masticarla da un enorme fastidio. Figuriamoci i danni nei motori.

 

Land Rover serie 2000

 

In Algeria avevo in dotazione la classica Land Rover (il vecchio modello, made in Spagna perché costava meno). Anch’essa un’automobile robusta, ma con molti limiti nonostante la sua fama. Nel nord dell’Algeria pioveva e pioveva spesso con un terreno esclusivamente argilloso. Immerso nel fango le quattro ruote motrici non servirono a nulla, fui “salvato” da un contadino algerino che mi agganciò con il suo trattore cingolato. Nella stessa Algeria combinai un “disastro”: salendo alla cava dopo piovuto, in pendenza, la Land Rover cominciò a slittare e non ci fu modo di muoverla (strada stretta, impossibile tornare indietro). Immobilizzato, feci scendere dalla cava un camion Astra, il migliore camion italiano, anch’esso 4×4, che dopo avermi agganciato, slittò sull’argilla bagnata e si bloccò. Ed era grosso. Così scese la pala meccanica che altrettanto, essendo gommata, slittava sull’argilla bagnata. Ci tolse tutti dai guai (fermando la cava) il Cat D9 trainandoci uno alla volta. Da lì appresi che la Land Rover era ottima, dura e affidabile come fuoristrada, ma inservibile nel terreno bagnato.

 

Caterpillar D9

 

Però nel “campo” fuoristrada, non posso dimenticare la piccola Lada Niva di fabbricazione sovietica, perché come l’orologio fermo ecc. anche i russi in quell’automobile hanno azzeccato estetica e affidibilità. E le società non comperano automobili a vanvera, ma sempre con il principio costo/affidabilità. La Lada Niva l’ebbi in dotazione ad Aruba (Antille olandesi) prodotta a Panama (non chiedetemi i meccanismi), poi in Turkmenistan, infine a San Pietroburgo. Arrivava dappertutto, piccola e bella da affezionarsi, perché non ho mai avuto problemi. Naturalmente c’è lo zampino italiano: montava il motore della vecchia Fiat 124, anche se la carrozzeria era tutta russa. E’ ancora in produzione: l’unica automobile che sia stata esportata dall’URSS prima e dalla Russia attuale. Naturalmente chi ricorda la Fiat 124, sa che consumava moltissimo.

 

Lada Niva

 

Termino questo sorvolo afro-asiatico, con una conquista nazionale: per decenni, anche dopo fine produzione, il camion Fiat 682 ebbe una storia da record. Prodotto dal 1952 al 1988, è passato alla Storia come il camion più affidabile e robusto in tutto il continente africano (all’epoca anche in Europa). Ma restando in Africa, il Fiat 682 aveva una meccanica semplice, per questo facilmente riparabile in quei luoghi. L’autista stesso, fermandosi in piena savana, da solo poteva sostituire la frizione, i freni, anche riparare il motore con gli attrezzi adatti. Per questo ebbe molto successo in quei Paesi, e non dubito ne girino ancora dopo 40/50 anni. Ne vidi moltissimi in Africa, tanto da essere considerato il tipico camion africano.

 

Fiat 682, il leone d’Africa.

 

P.S. O.T. Mi allargo dal tema: spesso racconto ad amici diverse avventure africane, vissute tanti anni fa. Qualcuno mi ha detto: “scrivile”, ma l’Africa è cambiata, si è modernizzata, non capisco il senso di ricordarla com’era allora, senza un raffronto di come è oggi: vissi quattro anni a Kigali, in Rwanda (poi in Tanzania) che all’epoca aveva 100.000 abitanti. (Quando feci arrivare mia mamma, andai a prenderla in macchina ai piedi della scaletta dell’aereo). Era tutto molto semplice e familiare allora. Il Presidente della Repubblica Habyarimana, girava in città guidando il suo “maggiolino”, incontravo i ministri come incontrare un assessore di Udine, tutti conoscevano tutti, ogni cosa si risolveva personalmente, per questo ne ho un bel ricordo dal punto di vista umano, comunemente chiamato: “mal d’Africa”, del quale ne soffro ancora a distanza di anni, come chiunque abbia trascorso lunghi periodi in quel continente.

Oggi Kigali ha un milione di abitanti ed è diventata una metropoli. Uno sviluppo enorme in 40anni e non la riconosco più (neppure su Google Maps). Ho raccontato il genocidio, ma non sono in grado di scriverne la successiva evoluzione. Per fare ciò, dovrei tornare laggiù, dove ho ancora amici. Ma anche la Tanzania, il Burundi, la RDC che ho conosciuto come Zaire, sono cambiati notevolmente. A me restano solo i ricordi di allora, il periodo transitorio nel quale un’Africa vergine stava diventando “moderna”. L’estinzione dei grandi carnivori (7.000 ghepardi rimasti in tutto il continente africano) e dei grandi erbivori (giraffe ed elefanti) ne sono la prova indiscutibile.

 

Immagine della bellezza di Sana’a, prima dei bombardamenti sauditi.

 

Ma anche lo splendido Yemen rimane solo un ricordo. La capitale Sana’a, patrimonio Unesco, set cinematografico di: “Il fiore delle Mille e una notte” di P. P. Pasolini nel 1974, è stata distrutta dai bombardamenti sauditi. Non conosco le condizioni di Marib, città millenaria, capitale del regno di Saba, con la sua regina citata nella Bibbia a fianco di re Salomone. Anch’essa patrimonio Unesco e forse rasa al suolo, sempre dai sauditi. Felice, ma anche triste, di aver potuto conoscere la fauna, i reperti storici persi, e quelle automobili che tutt’ora sono partecipi della storia di questi Paesi.

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