Paraventi

Inizio subito con un OT, nel quale voglio esprimere totale solidarietà e vicinanza a Patrizia Moretti.
Le vere battaglie per onorare una nazione, per quanto disastrata come la nostra, non dovrebbero concentrarsi nel riportare a casa due tizi dal sudest asiatico, ma nell’assicurarsi che certi elementi (per pochi che possano essere) vengano messi in condizione di non nuocere una volta appurato quanto potenti si sentono appena indossata la divisa. Ciò detto, veniamo al punto.

Nelle ultime settimane, i miei interlocutori mi rivolgono essenzialmente queste domande:

-perché ce l’hai tanto con grillo?
-e ora, cosa pensi che succederà?
-una volta eri un fan sfegatato di Di Pietro, perché adesso lo critichi?

Alle prime due ho rinunciato a rispondere; la terza offre già spunti più interessanti.
Potrei discettare a lungo sull’essenza stessa della domanda: perché la gente trova così sconvolgente cambiare la propria opinione, rivalutare alcune cose, mettersi in discussione?
Per i più, pare sia qualcosa di traumatico anche solo pensarci. Per me è prassi normale. Specialmente quando dall’ideale passo al reale.
Resto convintio che il modo migliore per nausearsi di qualcosa sia calarcisi dentro, viverlo per ciò che è realmente. M’è capitato col sindacato, è successo di nuovo quando ho deciso di fare il salto della quaglia impegnandomi, in prima pesona e col poco tempo disponibile che avevo, con una sezione locale del partito capitanato da Di Pietro. Ricordo che l’atmosfera, all’inizio, era molto promettente: ragazzi giovani, alcuni nemmeno maggiorenni, con tanta voglia di mettersi in gioco, proporre, costruire qualcosa di alternativo e coinvolgente.
In un clima disteso ci si confrontava e si proponevano iniziative, soprattutto per la prima festa dell’IDV che si sarebbe dovuta tenere di lì a qualche mese.
La sintesi di quel brain storming fu la decisione di organizzare qualcosa rivolto unicamente al sociale, con tavole rotonde su lavoro (si era all’inizio della crisi), la giustizia, la sanità e via dicendo, condotte da gente estranea all’IDV.
Eravamo tutti concordi, infatti, nel far apparire il meno possibile il simbolo dell’arcobaleno.
Non volevamo che questa iniziativa fosse percepita come la solita messa in scena senza contenuti tesa solo a promuovere le solite due o tre facce in cerca di voti e facili consensi, accaparrabili con la retorica un tanto al chilo.
A questo punto prese la parola il rappresentante di zona dei Giovani IDV e, senza inflessione, disse:
“Lo scopo di queste manifestazioni è procurare voti. Il sociale è solo un paravento. Se non avete capito questo, non avete capito niente e stiamo solo perdendo tempo.”
Nel locale dov’eravamo soliti trovarci (gentilmente offerta dal capolista locale) scese il gelo, seguito da una salva di imprecazioni che non scossero minimamente il piccolo funzionario.
Tutto questo avveniva a ridosso delle vacanze estive, al rientro dalle quali ricontattai il capolista locale, sul suo numero di servizio, per informarmi circa la ripresa delle attività.
Immaginate la sorpresa quando mi rispose una voce giovane e distaccata. Senza scomporsi mi informò che la gestione della sezione locale era passata a lui e tutte le attività in cantiere erano state cancellate. E no, non so quando ci sarà la prossima riunione. Ti chiamo io. Click.
Ecco: quando mi si chiede “ma come mai Di Pietro non ti piace più?”, racconto sempre questo episodio. Cercando di spiegare, al contempo, che non era Di Pietro a piacermi, ma ciò che il suo partito rappresentava, o si illudeva di voler rappresentare. O mi illudevo volesse rappresentare.
Molti obiettano che avrei dovuto capirlo subito, Di Pietro era entrato in politica solo per sfuggire ai suoi guai giudiziari e/ o per manie di protagonismo. Al che cerco di spiegare nuovamente che a me non interessava Di Pietro in quanto tale, ma le battaglie di cui lui ed il suo partito si facevano alfieri, in quello che sembrava essere uno dei momenti più cupi della nostra storia recente (e che, paragonato a quello attuale, mi sembrano i classici “bei vecchi tempi”).
Vorrei inoltre far comprendere all’interlocutore che, al di là delle solite panzane su Mercedes e scatole da scarpe piene di soldi, secondo me Di Pietro aveva accettato l’invito ad entrare in politica offertogli da Prodi (e prima ancora da Berlusconi) perché davvero credeva di poter fare qualcosa di buono, e differenza di Ingroia, che in politica ci è entrato già roso dal protagonismo vendicativo, si è rovinato col tempo.
Imprigionatosi nel personaggio di quello “contro”, prima ancora che in quello dell’eroe integerrimo che combatte da solo un nemico potentissimo, Di Pietro non è stato più capace di uscirne quando il suo avversario storico ha, neanche tanto improvvisamente, capitolato.
E, nella foga di trovare un nuovo avversario contro cui scagliarsi, ha sparato a mitraglia contro tutti, finendo per colpire se stesso.
Penso infatti che lo “scandalo Report” sia stato non il più duro, ma l’ultimo e (paradossalmente) meno letale colpo alla credibilità di un leader capace, come e più della sua storica nemesi, di dire tutto ed il contrario di tutto nel giro di poche ore.
Dal votare la fiducia al governo Monti all’attaccarlo quotidianamente come esecutivo “non eletto da nessuno”, dalle aggressioni feroci al PD alla riproposta della “foto di Vasto” dopo aver preso la porta in faccia da Grillo, senza contare gli scontri frontali con De Magistris ed altri oppositori; questi, ad avviso di chi scrive, sono state le vere bucce di banana su cui è scivolato l’ex simbolo di Mani Pulite.
La cui parabola discendente s’è conclusa ieri, quando è stato annunciato lo scioglimento dell’ IDV dalla cui poltiglia nascerà, dopo Pasqua, un nuovo soggetto politico.
Il quale, sebbene ancora nell’utero, ha già imparato a pronunciare le sue prime, fondamentali parole: “primarie”, “democrazia”, “cittadini”.
Tutte espressioni bellissime. Ma, chissà perché, ho la sensazione che siano solo un paravento.
Che lo scopo sia un altro.
Sì, forse c’è voluto del tempo ed un bel po’ di delusione.
Ma, alla fine, qualcosa ho imparato.

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