Il gatto quantico

Il paradosso del gatto di Giusti

di Luca Montemagno e Fiorenzo Fogli

“Dottore, dobbiamo andare. ”
“Un minuto Carmine, non vedi che sto disquisendo con queste persone?”
“Si sta facendo tardi.”
“Oh insomma! Devo risolvere il mio problema, e questi signori mi stanno aiutando!”
Carmine, un giovane robusto dai capelli scuri, guardò l’anziano signore seduto
su una panchina e attorniato da un capannello di persone. Incrociò le braccia, sospirò e disse: “Mi metterò là, sotto quella quercia, a fumarmi una sigaretta.
Dopo la sigaretta dobbiamo andare, dottor Giusti, o si farà troppo tardi.”
“Va bene, va bene” disse l’anziano guardando ostentatamente da un’altra parte, mentre Carmine si avviava su uno dei vialetti del parco facendo rumore con gli zoccoli di legno sul selciato.
“Oh, finalmente! Capisco le scadenze e tutto il resto, ma un uomo ha pure il diritto di rendere edotti i suoi amici sui fatti del mondo senza fretta, dico io!”
“Il gatto” disse uno degli astanti, un tizio grasso e con una tuta da ginnastica che gli lasciava scoperto l’ombelico .
“Giusto, il gatto!” disse il Dottore battendo con ritrovata energia su una scatola di latta che aveva in grembo. La latta risuonò, e si sentì qualcosa ballare dentro .
“Sono sempre stato affezionato al mio gatto. I gatti! Esseri meravigliosi, divini!
Ma che dico divini, di più! Felini! Erwin, l’ho chiamato. Mi faceva, e fa tuttora, compagnia, stavamo per ore e ore in salotto ad ascoltare musica insieme, fino a che non mi sono trasferito qui, in questo bellissimo complesso residenziale dove viviamo tutti noi ora. Eh, aveva orecchio, oltre che fiuto! Come me, apprezzava, e apprezza tuttora, la buona musica. Le arie della Callas, che voce che aveva, quella donna! Aretha Franklin, che personalità! Ma non disdegnavamo anche qualcosa di più moderno. Rihanna, ad esempio, che gran paio di…”
“Il gatto” ripeté il tizio grasso, tirandosi su il pantalone della tuta, che intanto gli era sceso ben al di sotto dell’ombelico .
“Ma giusto, giusto, non divaghiamo. Insomma, passavamo dei momenti piacevolissimi insieme. Tuttavia, ad un certo punto venne il momento di trasferirci qui.
Eh, lo sapete come sono i trasferimenti, momenti concitati, valige fatte di corsa, gente che ti trova anche se ti nascondi… insomma, stavo per dimenticarmi Erwin. Lo avrei voluto portare con me, ma non sapevo se in questo résort in cui così comodamente abitiamo ora avrebbero accettato animali.
Non sapevo come fare, ero chiuso in camera mia – sapete, avevo bisogno di un attimo per pensare, anche se, diamine! ancora ricordo il fastidio di tutti quei colpi alla porta per farmi uscire! La privacy di un uomo dovrebbe essere sacra, dico io! Ma sto divagando di nuovo. Insomma, c’era questa scatola di biscotti
di latta, degli ottimi biscotti. Danesi, quelli pieni di burro, una delizia per il palato, ma una vera calamità per le arterie. In un certo senso come le loro donne, che ho avuto la fortuna di incontrare quasi quarant’anni or sono: fuori sembravano di ferro, ma avevano un cuore di burro…”
“Il gatto!”
“Sì. Sì. Dunque. Pensai: lo posso portare con me qui dentro! Così lo presi e lo ficcai nella scatola. Devo dire che inizialmente fece un po’ di storie, ma dopo un paio di giorni si acquietò.”
Un tizio in piedi con delle rimarchevoli occhiaie e parecchi denti mancanti, indicò la scatola di latta sulle gambe del Dottor Giusti e disse: “Ma quindi, in pratica là dentro c’è…”
“Il gatto!” esclamò tutto contento il grassone.
“Ma certamente! Ovvio!” esclamò giulivo il Dottor Giusti.
Dagli astanti si alzò un brusìo di interessamento .
“Solo che Erwin mi è sembrato troppo quieto, e a quel punto ho iniziato ad essere preso dai dubbi, e una domanda si è insinuata nel mio cervello. La domanda, ovvia, che sarebbe venuta a qualsiasi persona sana di mente nella mia situazione. ”
Le persone intorno lo guardavano annuendo.
“E cioè: sarà mica andato in letargo, il gatto?”
Gli astanti si guardarono l’un l’altro, per vedere se qualcuno aveva la risposta.
No, non ce l’aveva nessuno .
“Ma se sta là dentro da così tanto tempo, non è che è… morto?” disse l’uomo con le occhiaie.
“Morto? Ohibò, e perché mai dovrebbe essere morto?” disse il dottor Giusti.
“Beh, sta là dentro da un po’…” disse l’uomo con le occhiaie. Si sentiva a disagio, aveva paura di aver detto una fesseria davanti a tutta quella gente.
“Beh, allora le donne? Stanno in bagno per secoli, ma non è che ogni volta pensiamo che ci sono morte, dentro!”
“Morto…” disse il grassone, tirandosi su lentamente il pantalone con fare mesto. Il tono era così sconfortato che colpì anche il dottor Giusti.
“Beh, non nego che magari, come ipotesi remota… del resto era piuttosto anziano ormai. Magari potrebbe essere morto di vecchiaia, con tutte le emozioni che ha dovuto subire, nonostante io gliele abbia volute evitare isolandolo dal trambusto in questa scatola. Ultimamente era diventato più lento, meno energico. Prima, era un po’ come il suo padrone: riusciva a sentire l’odore di una micetta a chilometri di distanza, e non aveva requie fino a che non la trovava e…”
“Ma come si fa a saperlo ora?” disse l’uomo con le occhiaie, che aveva deciso di non parteggiare più per alcuna ipotesi per evitare altre brutte figure, e fare invece la parte di quello che fa domande ficcanti per sembrare più intelligente.
“Oh, date qua!” disse uno con il faccione quadrato e le mani piccole, che aveva passato tutto il tempo a toccarsi continuamente, la faccia, la cintura, i pantaloni, la giacca.
“Mi ridìa la scatola!” ingiunse il dottor Giusti.
Ma l’uomo non gli diede retta: non gli pareva vero di avere una scusa per toccare qualcosa. Iniziò a scuoterla avvicinandola all’orecchio, mentre il dottor Giusti strepitava. Alla fine, smise di scuoterla e si mise a guardarla.
“Dentro qualcosa c’è” disse l’uomo con le mani piccole, mentre lisciava la scatola tutto contento .
“Ma certo, c’è il mio gatto! Ma dopo tutto questo trambusto magari si è svegliato dal letargo!” sbottò il dottor Giusti.
“I gatti non vanno in letargo!” disse l’uomo con le occhiaie. Questo la sapeva, e si prese il rischio di esporsi.
“Lei che ne sa? Ha mai avuto un gatto?” disse il dottor Giusti.
“Beh, no. ”
“E allora come fa a saperlo?”
“Ma lo sanno tutti che i gatti non vanno in letargo!”
“Mi trovi sull’enciclopedia l’affermazione che i gatti non vanno in letargo!
Scommetto che non la troverà da nessuna parte!”
“Ecco, io…” l’uomo con le occhiaie si sentì preso in contropiede.
“Appunto. E ora, lei, mi ridia la scatola!”
Alla fine il dottor Giusti riuscì a riavere la scatola.
“I gatti sono animali delicati! Non si possono mica sballottare così qua e là!”
L’uomo grasso si allungò e diede una annusata alla scatola, arricciando il naso .
“Puzza!”
“Sciocchezze, i gatti sono animali pulitissimi!”
“Ma si muove?”
“No, non si muove. Ma insomma, avrà anche lui il diritto di riposare!” rispose piccato il dottore.
Il capannello assentì. Sembrava una risposta ragionevole.
“Ma almeno miagola ogni tanto?” insisté l’uomo con la faccia quadrata, mentre si contava le dita avendo finito di toccare tutto il toccabile sulla sua persona.
“No, ma non è che uno deve star sempre a dire qualcosa. Anzi, a volte sarebbe meglio tacere, per evitare di dire scempiaggini!” disse il dottor Giusti.
Sembrava avercela con l’uomo dalle occhiaie, per aver fatto partire questa discussione.
Il capannello smise di fare domande – non ce n’erano molte altre da fare.
Iniziarono a confabulare tra di loro, dividendosi tra chi pensava che il gatto avesse tirato le cuoia e chi pensava che l’animale, appartenente a una genìa notoriamente furba e opportunista, avesse scelto il momento giusto per andare in letargo – che poi, in effetti l’aria iniziava a rinfrescare e l’inverno si
avvicinava.
“Ma quindi, è morto o è vivo?” chiese l’uomo con le occhiaie, saldo nella sua posizione neutrale sull’argomento .
“Beh, alcuni di voi pensano che sia morto, ma io non ne sono convinto assolutamente, anche se tutto questo discutere qualche dubbio me l’ha fatto venire! Diciamo che la questione è dibattuta” disse il dottore diplomaticamente.
“Non potremmo semplicemente aprire la scatola e guardarci dentro?”
“No. No, vi prego . ” Disse il dottor Giusti, rabbuiandosi. “Fino a che non ci guardiamo dentro il gatto può essere vivo o morto. Anzi, visto che io penso che sia vivo e voi che sia morto, è vivo e morto insieme, per non far torto a nessuno . E finché non apro la scatola, c’è una probabilità che sia vivo . E io voglio che il mio gatto sia vivo. Ecco, ho deciso!” disse il dottor Giusti, con gli occhi un po’ velati. “Lo terrò così per sempre, non voglio sapere se è morto o vivo. Per me è vivo, quindi perché dover cambiare idea? In questo modo ho ancora il mio gatto che mi fa compagnia!”
“Tempo scaduto dottor Giusti! È ora di ritornare dentro e prendere le sue medicine. ”Era Carmine, che era tornato dalla sua breve pausa e si aggiustava il cappellino da infermiere.
“Sì. Sì, andiamo” disse il dottore.
“Gennaro! Come va, stai riuscendo a dormire?” disse Carmine all’uomo con le occhiaie, mentre aspettava che il dottor Giusti raccogliesse scatola e giacca dalla panchina.
“Eh, insomma. Con tutta ‘sta gente che litiga qui” disse l’uomo con le occhiaie, picchiandosi un dito sulla tempia.
“ Andiamo!” disse il dottor Giusti. “Signori, è stato un piacere e un onore parlare con voi! Farò tesoro di quanto emerso dalla nostra piccola discussione!”
Mentre i due si avviavano verso il padiglione principale dell’ospedale sui vialetti del parco, Carmine si girò e chiese: “ Allora, me lo dirai prima o poi cosa ci tieni dentro quella scatola?”
“Il mio gatto!”
“Il tuo gatto. Ok, va bene. Vorrà dire che me lo dirai quando ti sentirai pronto .
E poi, se ci fosse il tuo gatto lo dovresti far uscire ogni tanto, soffrirebbe altrimenti.”
“Non può soffrire, è vivo e morto allo stesso tempo!”
“Ah”.

I commenti sono chiusi.