Due errori

Il mese scorso ho deciso, incauto, di cimentarmi nella lettura di quello che è ritenuto un classico: “Guerra e Pace” di Tolstoj, del quale mi limito a dire che è il peggior libro che mi sia mai passato per le mani. Al termine di una lettura estenuante, protrattasi per tre settimane, ho pensato di rifugiarmi in un’opera d’evasione, frugando nella mia riserva di libri da leggere in cerca di un romanzo leggero e poco impegnativo.
La scelta è caduta su “I love shopping con mia sorella”, quarto volume della fortunata epopea scritta da Sophie Kinsella e che avevo perfino dimenticato di aver acquistato (mi capita spesso, non fate quelle facce). Dopo tanta pesantezza, non solo verbale, qualcosa di comico e leggero, non solo materialmente, m’è parsa la scelta più adatta.
Non immaginavo, in realtà, di star compiendo il secondo errore consecutivo nella scelta delle letture. Né che, al di là delle apparenze, il volume della Kinsella fosse in realtà un horror.
Spiegazione minima per i non addetti -che invito a rimaner tali- contenente spoiler, quindi se non volete guastarvi la sorpresa interrompete qui.
Ci siete ancora? Bene, dicevamo: approdata da noi insieme a tanti altri romanzi- clone del fortunato ed inarrivabile “Diario di Bridget Jones”, la serie di “I love shopping” narra le (dis)avventure di Rebecca “Becky” Bloomwood, giovane giornalista finanziaria con un’ossessione maniacale per lo shopping. Il suo unico scopo nella vita è, infatti, acquistare scarpe, vestiti, cosmetici e, più in generale, qualsiasi cosa attiri la sua attenzione. Non importa se per farlo è costretta a mentire ad amici e famigliari, oppure indebitarsi fino al collo ed oltre; lo sperperare denaro è una mania a cui Becky non riesce a rinunciare.
Nel corso della saga convolla a giuste nozze, ed è di ritorno dalla luna di miele che la ritroviamo nel quarto volume. Arrivata a casa, Becky scopre di avere una sorella, frutto di una relazione adulterina del padre, che è -come da copione- totalmente diversa da lei: quanto è frivola, superficiale, meschina e spendacciona Becky (tratti che, francamente, la rendono odiosa nel giro di poche pagine, malgrado i tentativi di renderla una simpatica pasticciona), tanto è metodica, precisa, altruista e parsimoniosa la sorella.
A questo punto direte: ma perché Michael ci ammorba, parlando di questa commediola insulsa che ritiene un horror? Perchè il messaggio di fondo, appena sottinteso nei volumi precedenti, qui esplode in tutta la sua violenza aberrante, e ci riguarda da vicino come individui razionali (anche se la serie è rivolta, a questo punto, ad un diverso target).
Nel finale della storia, infatti, dopo aver quasi mandato a monte il suo matrimonio, ridotta sul lastrico ed abbandonata da tutti, Becky raggiunge la sorellastra nell’ameno paesino in cui vive per cercare di ricucire il rapporto, e ne scopre la passione per la geologia e le pietre. A questo punto, con un salto logico da far accapponare la pelle, l’autrice equipara la mania per lo shopping alla passione per la scienza. Concludendo che, in fondo, sono esattamente la stessa cosa, e quindi non c’è assolutamente nulla di male a sperperare il proprio denaro per acquistare ciò che ci piace.
Dal suo punto di vista, è esattamente uguale all’avventurarsi su un impervio sentiero di montagna alla ricerca di pietre rare. E se le cose si mettono male… Basta un po’ di pazienza, e qualcuno verrà a cavarci fuori dai guai. Ma non dobbiamo assolutamente rinunciare alle nostre passioni, ad essere noi stesse solo per accattivarci l’affetto altrui. Chi ci ama, ci deve prendere così come siamo.
Che, per carità, è anche una teoria condivisibile. Almeno finchè la cosa non raggiunge livelli patologici come quelli tanto giustificati dalla Kinsella. E no, non credo affatto che spendere duemila euro per una borsa sia speculare all’acquistare campioni per le proprie ricerce scientifiche; trovo anzi vergognoso equiparare i sacrifici per incrementare il proprio bagaglio culturale a quelli per incrementare il proprio bagaglio a mano. Specialmente in un momento economicamente grave come questo, sdoganare ragionamenti del tipo “spendi e non preoccuparti” con opere solo apparentemente innocue come questa (e, mi dicono, il film che ne è stato tratto) è un’operazione degna del peggior sciacallaggio, un po’ come inviare a milioni di cittadini lettere farlocche sul rimborso dell’IMU. Approfittando della loro ingenuità e della loro inesauribile sindrome adolescenziale (“sono nei guai, ma mamma e papà faranno qualcosa”), si cerca ancora una volta di far passare un messaggio dei più biasimevoli: non serve impegnarsi, crescere, fare sacrifici. Divertiamoci. Ai problemi penseremo poi. Anzi, che ci pensi qualcun altro, perché io non so come uscirne. L’ignoranza come stile di vita non solo accettabile, ma accettato. Che fa commettere, inevitabilmente, errori da cui dovremmo imparare qualcosa.
Io, dai miei, ho tratto qualche insegnamento: mai più Sophie Kinsella. O Tolstoj,
Becky imparerà mai che l’ignoranza e la superficialità non sono pregi, ma difetti?
E non parlo della Becky racchiusa tra le pagine di “I love shopping”, ma di quella in agguato in ognuno. Anche di noi.

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