Architettura e società

PREMESSA

su questo argomento esistono libri di centinaia di pagine su ogni punti toccato. Per forza di cose nell’articolo ci sono numerose semplificazioni, spero vogliate perdonarmi, anche per l’uso di vocaboli non sempre corretti ma di più facile comprensione per i non addetti ai lavori.

MALEDETTI ARCHITETTI

La frase “gli architetti del giorno d’oggi non sanno progettare” è un lietmotiv con cui, chiunque è del settore è destinato a scontrarsi. Però stranamente non si hanno notizie di analoghi giudizi su architetti dagli albori del mondo fino al ‘700 (compreso). Improvvisamente è scomparso il gene della buona architettura? La grafite prima e i computer dopo sono impazziti modificando, di notte, i progetti fatti di giorno? Ovviamente no, non sono cambiati gli architetti ma il mondo intorno a loro ponendoli in una situazione molto più difficile rispetto ai loro predecessori.

Giusto per la cronaca: l’architetto, come oggi lo intendiamo, nasce con il rinascimento quando le singole botteghe artigiane devono cedere la loro creatività in favore di una visione uniforme dell’architettura che non lascia spazio a personalismi che non siano quelli dell’architetto e della sua idea dell’architettura. Emblematica, in questo senso, è la leggenda secondo la quale Brunelleschi girasse per i cantieri con un mazzo di cipolle da intagliare per spiegare esattamente cosa voleva alle maestranze.

 UN’OCCHIATA AL PASSATO

Fin dagli albori del tempo l’architettura, seppur viziata rispetto a delle forme d’arte più pura (scultura, pittura, letteratura…) da esigenze pratiche e dall’impiego di risorse notevoli, è stata, come tutte le arti, uno degli specchi della società. Ci può essere il singolo artista che precorre i tempi, dimostrando una sensibilità fuori dal comune, un esempio che viene poi seguito ma sempre in parallelo con gli sviluppi della società.

Alberti e Brunelleschi, ad esempio, sono considerati i padri indiscussi del rinascimento ma se fossero vissuti due secoli prima, sarebbero stati considerati dei pazzi visionari o meglio,  avrebbero portato avanti progetti diversi. Allo stesso modo il porticato di Palazzo Piccolomini a Pienza, aperto sulla vista di una natura ormai ampiamente antropizzata sarebbe stato inconcepibile ai tempi di Dante quando la natura (la “selva oscura”) era un nemico con cui fare i conti. Successivamente il barocco non sarebbe mai nato senza la Riforma prima e la controriforma dopo.

Riassumendo: l’architettura si è evoluta parallelamente alla società e la società sapeva bene quello che era bello e quello che era brutto. Concetto banale ma che spiega perché nessuno abbia fatto un “comitato del no” per la costruzione degli Uffizi, un’opera al tempo ultramoderna, realizzata a stretto contatto con piazza della Signoria e Palazzo Vecchio, simboli del potere e dell’orgoglio cittadino a Firenze.

Se questo è il quadro che ha accompagnato l’architettura fino al ‘700 cosa è successo dopo?

 LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

E’ successo che c’è stata la rivoluzione industriale che ha sconquassato tutto.

In un arco di tempo tutto sommato ristretto la società si è trovata sotto l’impulso di nuove tecnologie, nuovi materiali, tutto si evolve rapidamente senza decantare, spazzando via valori, come quello dell’artigianato molto velocemente. Che valore ha un oggetto finemente lavorato se è il frutto di un procedimento industriale? Questo oggetto ha lo stesso “peso” di uno, identico, finemente cesellato a mano da un artigiano?

Serve una prova per verificare che è ora che le cose si complicano? Bene: prendete un libro di storia dell’architettura e guardate, mano mano che sfogliate le pagine, le date riportate. Fino alla rivoluzione industriale sono strettamente in ordine cronologico, un qualunque stile inizia, si sviluppa, e lascia posto al successivo. Dopo la rivoluzione industriale invece tutto si accavalla, si complica, ognuno inizia a dare le “sue” risposte visto che la società pare non essere più in grado di darle.

Ovviamente il primo passo è il rifiuto: movimenti come “arts and Crafts” si affrettano ad auspicare il ritorno alle origini, nasce l’eclettismo (gothic revival, neo classico…) nel quale si cerca la sicurezza nel passato, fino a che non compare Victor Horta che sistema tutto (o quasi)

 LE RISPOSTE

Con l’Hotel Tassel (1892-1893) nasce lo stile Liberty, l’ultimo vero stile della storia dell’architettura ma nasce in maniera particolare: nessuno sviluppo, nessun preavviso, nasce completo in tutti i suoi aspetti, senza nulla da dover aggiungere. Le opere che seguono sono una conferma e non una evoluzione e la vita di questo nuovo stile è tutto sommato breve.

 

Ci sono altre strade che vengono percorse. In Germania viene fondata la bauhaus (1919-1933) con il duplice scopo di difendere le arti tradizionali e, al tempo stesso, trovare nuove soluzioni che si adeguino ai tempi (vengono progettate, tra le altre cose, le prime sedie con struttura tubolare). Gropius prima e Mies Van Der Rohe poi devono però fare i conti con in ambiente oltremodo scomodo con gli studenti che guardano al comunismo mentre le autorità hanno preso ben altra direzione e anche questo esperimento è destinato a non poter dare risposte durature.

 

Nasce anche i movimento moderno che cerca, a grandi linee, di definire dei punti fermi, nuove regole di riferimento, ma anche qui la strada è in salita: il movimento moderno si pone come uno star sistem dove pochi “eletti” indicano la strada che spesso viene seguita in maniera acritica. Le Courbusier non si farà problemi a rinnegare i suoi 5 punti per realizzare la cappella di Ronchamp (1954-1955) gettando nel panico molti suoi estimatori. Inoltre inizia a farsi strada l’idea che l’architettura possa/debba influenzare la società creando un ulteriore scollamento tra l’architettura e la società che, sempre più, si mostra perplesse davanti alle nuove opere.

 

A rendere ancora più complessa la situazione ci pensano le avanguardie che decidono di abbandonare i guanti bianchi e di prendere posizioni drastiche (principalmente si sviluppano a cavallo delle due guerre anche se, a volte, la nascita è antecedente).

Ogni singola avanguardia si pone dei valori non negoziabili. Avanguardie russe, De Stijil, Futurismo…

Ognuno ha la sua soluzione per l’arte nel suo complesso, punti cardinali validi per la poesia, per la pittura, la scultura e l’architettura. Per più motivi l’architettura è quella dove le avanguardie hanno più difficoltà anche se non mancano esempi molto interessanti.

 

Una menzione speciale la merita il tentativo, tutto italiano, di progettare consapevoli del contesto con l’obbiettivo di creare architetture nuove, palesemente moderne che si integrino però con ciò che le circonda, quella che viene definita architettura contestuale che ha i suoi più famosi esponenti nella scuola Toscana di Michelucci, nata prima della II guerra (vedi la stazione si S.M. Novella di Firenze del 1934) e che tutt’ora è uno dei punti di riferimento per molti architetti.

 

Volutamente non cito F.L. Wright, uno dei grandi dell’architettura, in quanto si pone come una geniale eccezione, non assimilabile ad un movimento condiviso da altri . C’era lui e quelli che cercavano di seguirlo. Wright non fa parte di nulla, Wright è Wright.

CONCLUSIONE

Ecco, siamo arrivati alla seconda guerra mondiale (anche oltre) in un quadro ampiamente confusionario che tutt’ora persiste semmai maggiormente complicato da una evoluzione ancora più veloce unita ad una legislazione molto stringente e limitativa (almeno in Italia).

Per concludere: se da un lato è vero che, spesso, l’architetto (quello famoso come quello sconosciuto) si pone oltre il suo ruolo ed è convinto di essere bravo a prescindere, peccando in maniera imperdonabile di immodestia e con risultati spesso discutibili, dall’altro mancano valori condivisi che permettano una architettura oggettivamente valida.

A questo va aggiunto un ulteriore aspetto: l’architettura costa e non è l’architetto a realizzare l’opera ma il committente (pubblico o privato che sia). La mancanza di riferimenti ritenuti oggettivi è vera per il primo così come per il secondo. Se esiste il committente che sceglie l’architetto perché si fida delle sue capacità e ne rispetta lo “stile”, esiste anche quello che vuole imporre la sua idea progettuale, spesso ignorando gli aspetti normativi, strutturali e compositivi che stanno alla base di un progetto creando numerose difficoltà per un opera che sia perlomeno coerente.

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