Adam Smith era socialista! La strana storia di una parola.

QUESTO ARTICOLO E’ DI MARINO_BIB

(attenzione: le citazioni di Gramsci e di Venturi dovrei controllarle, ho scritto l’articolo a memoria)

1754: un polemista e predicatore domenicano particolarmente rigorista e antigesuita, Daniele Concina (avete presente l’inquistore Bernardo Gui del Nome della Rosa? ecco, quelli lì), scrive un poderoso trattato Della religione rivelata, contra gli ateisti, deisti, materialisti, indifferentisti, che negano la verità de’ misteri libri cinque.

Il buon Concina si era anche interessato di economia e aveva già sostenuto che qualunque prestito ad interesse, a qualunque tasso e per qualunque impiego, fosse usura, e aveva polemizzato in proposito con l’illuminista Scipione Maffei. Aggiungiamoci che nei suoi scritti contrappone una mitica cristianità primitiva, tutta sacrifici, eroismi e martiri, alla corrotta cristianità contemporanea, tutta agi, corruzione e dissipazione, e che fu anche un nemico accanito degli spettacoli teatrali, sostenendone la radicale immoralità, e abbiamo una personalità che se fosse nato più o meno negli stessi anni invece che a Udine in Arabia, sarebbe stato un perfetto wahabita.

1759: Adam Smith pubblica la sua Theory of Moral Sentiments, che continuerà a rielaborare continuamente.

Nella Theory, Smith formula la sua teoria della natura umana e della società, che è il fondamento della sua teoria economica successiva. Contrariamente agli economisti dell’Ottocento influenzati dal darwinismo sociale, in cui la concorrenza si basa sulla sopravvivenza del più adatto e chi non è adatto è bene che crepi, per Smith la natura profonda della società e dell’individuo è cooperativa e socievole:

l’ha spiegato meglio di me Luciano Canova su Oilproject:

http://www.oilproject.org/lezi…
Adam Smith non utilizza la parola self-interest, ma self-love (amore di sé).
E che cos’è questo amore di sé, fondato sulla sympathy?
Non si tratta, come vorrebbe qualcuno, di un egoismo auto-interessato. Smith parla infatti di uno spettatore imparziale, una sorta di arbitro immaginario dalla cui approvazione dipenderebbe, in ogni contesto, la scelta della nostra condotta e che ispirerebbe, concretamente, le nostre azioni. Chi è questo spettatore imparziale? È un altro generico, probabilmente identificabile con la capacità umana di esprimere un giudizio su di sé. (
Attraverso un altro illuminista scozzese, David Hume, questo concetto finisce nella teoria della morale di Kant, di cui tutto si può dire meno che sia basata sull’egoismo predatorio _Marino_ )
L’uomo, infatti, non agisce per essere apprezzato dagli altri, ma in primo luogo per essere apprezzato da se stesso.
In questo Adam Smith si sgancia dal pensiero di Mandeville, autore della Favola delle Api ed esemplificato dal motto: “vizi privati e pubbliche virtù”.
L’azione cooperativa o disinteressata, solidale, non nasce da una vanità o dal giudizio che ci aspettiamo dagli altri. Nasce piuttosto dal giudizio che noi abbiamo di noi stessi, specchiandoci negli occhi altrui per trovare, nel loro sguardo, il nostro io interiore.
Questa è la sympathy, anche denominata fellow-feeling. Il sentire comune, insomma, che porta l’uomo naturalmente a vivere in società.
Si tratta di una visione radicalmente opposta a quella dello Hobbes di homo homini lupus, un’antropologia pessimista ribaltata invece da Smith in una prospettiva di socialità positiva.
L’uomo “desidera naturalmente non solo di essere amato, ma di essere amabile; ossia di essere quella cosa che è il naturale e appropriato oggetto d’amore. Teme naturalmente non solo di essere odiato, ma di essere odioso; ossia di essere quella cosa che è il naturale e appropriato oggetto di odio”.
La società, per Smith, nasce dunque come continuo processo di aggiustamento (accomodation), un’operazione continua di misura volta, appunto, al raggiungimento di un equilibrio. Il filosofo scozzese usa un’immagine bellissima e lirica a un tempo: la comunità umana è come un’orchestra che, continuamente, tenta di accordarsi. Non è il concerto che conta ma, piuttosto, la ricerca dell’accordo attraverso la simpatia.”

Anni ’30: Gramsci in carcere trova nella biblioteca del carcere una copia del volume di Concina ( o ne legge qualcosa in proposito in un’altra sede) e trova la menzione della parola “socialista”; commenta nei Quaderni che il termine gli suona strano in quella data, visto che compare nel dibattito politico intorno agli anni ’30 dell’Ottocento.

Qualche decennio dopo, senza citare Gramsci, risolve il mistero Franco Venturi, il grande storico dell’Illuminismo, autore di Settecento Riformatore, che si va a leggere il trattato di Concina (mi pare che ne dica “sarebbe una miniera di argomenti per delle tesi di laurea” sugli autori contestati dal Concina e sulla loro ricezione nella cultura dell’epoca. Per capirsi, econdo Concina Montesquieu era un pericoloso sovversivo e lo Spirito delle Leggi uno “scandaloso libro seminato di massime empie”…) e incappa nel brano sui “socialisti”, che sarebbero poi quegli autori illuministi che ritenevano che l’uomo fosse naturalmente un essere sociale capce di regolare autonomamente la propria convivenza senza il ricorso a leggi sanzionate da Dio: Concina mi pare che citasse i fratelli Verri e Beccaria. Ma vista la Theory, Smith rientrebbe perfettamente nella categoria dei “socialisti”!

Non a caso David Brin, l’ex astrofisico diventato scrittore di fantascienza (ma anche autore di uno dei primi studi sulla rete, la trasparenza e la privacy, la Società trasparente, del 1998) sul suo blog Contrary Brin
http://davidbrin.blogspot.it/
è un accanito sostenitore di Smith, ma non contro i democratici “socialisteggianti”, quanto piuttosto contro la degenerazione oligarchica del capitalismo, di cui i Repubblicani USA si sono fatti braccio politico, e contro i Libertarian seguaci di Rand e Rothbart piuttosto che di Smith, ossessionati dal culto della proprietà e dell’egoismo individuale , che privilegiano a fronte della concorrenza, vista da Brin come strumento di cooperazione per il mutuo beneficio, che a sua volta richiede l’intervento pubblico per garantire che il mercato sia “fair”, equo e onesto, e aperto e competitivo. Certe volte i “nemici” come Concina vedono meglio degli “amici” che hanno fatto del liberalismo una variante del darwinismo sociale.

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