Serenissima – regina dell’Adriatico

Come precedentemente scritto, dopo vent’anni di governo Orso Badoer si ritirò in convento e diventò Beato, secondo la tradizione veneziana. Ritornarono al comando i Candiano, il primo fu Pietro Candiano I che per la confusione degli storici fu seguito da altri tre omonimi. Di lui si è già parlato nel precedente articolo, l’ultimo, Pietro Candiano IV, spregiudicato, arrogante e vanitoso, dopo aver ripudiato la prima moglie, sposato una marchesa toscana che gli portò in dote un’enorme quantità di terre, inebriato dai successi e illuso di essere onnipotente, volle che i soldati veneziani difendessero i suoi personali interessi, si titolò “Signore dei Venetici”, si circondò (cosa mai vista a Venezia) di guardie del corpo mercenarie straniere, continuò con i soprusi fino a che scoppiò l’inevitabile insurrezione e i rivoltosi non esitarono a incendiare le case attorno al palazzo ducale, pur di snidarlo. L’incendio si propagò immediatamente assumendo proporzioni catastrofiche divorando più di trecento case e investendo la stessa basilica di S Marco. Uscito in mezzo alle fiamme con il figlioletto e la moglie, il “signore” dei Venetici implorò pietà, ma la rabbia fu tale che venne trafitto da una spada e con lui anche il piccolo erede. Si salvò la dogaressa che trovò rifugio presso l’imperatore Ottone di Sassonia.

 

Eccidio dei Candiano

Giuseppe Gatteri – L’eccidio dei Candiano

 

Era il 976 e nella città devastata venne eletto Doge dall’assemblea Pietro Orseolo I, uomo pio che si prodigò subito per riappacificare gli animi tentando anche di riannodare i rapporti con la corte di Ottone, dove ribolliva lo sdegno, compromesso dall’eccidio dei Candiano. Rinnovò gli accordi con Capodistria per continuare la politica di espansione e con riluttanza impose la tassa patrimoniale come il suo odiato predecessore, ma per far vedere la sua buona fede donò gran parte del suo denaro alla ricostruzione della basilica marciana, iniziò il primo nucleo della Pala d’Oro, fondò un ospedale e un ospizio dei pellegrini. Ma del processo agli assassini dei Candiano non se ne parlò più e gli oppositori prepararono la sua soppressione.

 

Poi un giorno si sparse la voce che durante la notte il doge era partito di nascosto con l’abate del monastero di San Michele di Cuxa, nei Pirenei, si fece tonsurare e a cavallo raggiunse la Francia per una vita di penitenza e preghiera lasciando esterrefatti la dogaressa, i figli e tutti i veneziani. Fu quella la seconda visita di nascosto dell’abate, dove Pietro veniva invitato a lasciare il dogato e probabilmente la più perentoria. Il messaggio proveniva dalla corte di Ottone II e l’avvertimento dal partito dei Candiano che aveva tutto l’appoggio dell’imperatore. Nella solitudine dei Pirenei visse assieme a San Romualdo la durissima vita dei primi eremiti dell’ordine Camaldolese, così facendo risparmiò alla sua città pericoli, ostilità, lotte intestine e attacchi esterni. Fu canonizzato e rimase l’unico Doge a diventare Santo.

 

Il sacrificio dell’Orseolo fu la rivincita degli avversari e Vitale Candiano venne eletto doge. Preso fra gli opposti partiti, quattordici mesi dopo anche lui si scoprì un’improvvisa vocazione monastica e si ritirò nell’abazia di Sant’Ilario. Lo seguì Tribunio Menio sposato con una Candiano che aveva ricevuto in dote quasi tutte le ricchezze di famiglia. I tempi erano cambiati e ai vecchi contrasti politici ne subentrarono di nuovi, ai quali il doge, troppo debole e poco autoritario per troncarle, se ne lasciò coinvolgere, il che gli permise di governare 13 anni, ma a scapito dell’indebolimento del suo prestigio e quello del dogato. Un alterco fra la famiglia Coloprini simpatizzante per l’imperatore germanico e i Morosini sostenitore di Bisanzio portò ad un’ennesima disputa annegata nel sangue dalla quale Stefano Coloprini fuggì presso la corte di Ottone II proponendogli di aiutarlo a conquistare Venezia e l’imperatore accettò. Ma come in altre occasioni, la fortuna volse dalla parte dei veneziani. Mentre organizzavano l’invasione, il traditore Coloprini morì di mal sottile e nel 983 si spense a 28 anni anche Ottone II a causa di una massiccia dose di lassativo, mentre il doge accusato di aver fomentato la faida fu deposto e costretto a farsi monaco nel convento di San Zaccaria.

 

Pietro Orseolo II

Pietro Orseolo II

 

Fu il ritorno degli Orseolo e il figlio di Pietro I fu acclamato Doge dai popoli venetici. Dall’ambiguità del precedente, con Pietro Orseolo II si passò a una volontà ferma e decisa. Fu grande statista, diplomatico e stratega. Quietò le fazioni, nelle piccole beghe impose ai contendenti il giuramento, dentro al palazzo ducale, di non provocare sturmi, vietò a tutti di presentarsi armati nell’assemblea e chi disobbediva poteva scegliere fra il pagamento di 20 libbre d’oro e la morte. Diplomaticamente ristabilì l’equidistanza (vitale a Venezia per la sua attività mercantile) fra l’impero germanico e quello bizantino riscuotendo diversi successi. Nel 992 fu emanata dall’imperatore bizantino una “bolla d’oro” che garantiva ai mercanti veneziani un netto vantaggio sui concorrenti (Amalfitani, Longobardi di Puglia ed Ebrei) in cambio dell’appoggio militare contro gli Arabi. E nello stesso anno l’imperatore Ottone III gli confermava i tradizionali privilegi veneziani nel regno d’Italia.

 

Nell’anno 1000 la flotta veneziana comandata personalmente dal Doge accolse un disperato aiuto dalle città romane della Dalmazia minacciate dagli slavi. A Parenzo e Pola fu omaggiato dagli istriani, A Ossero e a Zara, presenti anche i rappresentanti di Arbe e di Veglia, fu firmato un atto formale di sottomissione, respinse le offerte di pace del re di Croazia, annientò i terribili predoni Narentani, conquistò le isole Curzola e Lagosta, sottomise Traù e Ragusa, tornando a Venezia con il titolo di duca dei Venetici e dei Dalmati, sancendo così una nuova realtà nell’Adriatico. Per simboleggiare il dominio marittimo di Venezia instituì la cerimonia dello sposalizio del mare. Conosciuto e apprezzato non solo nelle lagune, fu in quel periodo l’uomo forte del Mediterraneo e del mondo Occidentale.

 

Le conquiste di Pietro Orseolo II

L’espansione di Pietro Orseolo II

 

Respinse le fantasiose avances dell’imperatore Ottone III che voleva realizzare una monarchia universale con tedeschi, italiani e slavi, confermando in questo modo la sua fedeltà a Venezia e l’equidistanza dai due imperi, completando così l’autonomia dei Venetici. Fra il 1002 e il 1003 ottenne altri successi navali scacciando i Saraceni dalla Puglia a tutela della rotta del traffico veneziano verso oriente. Ma morì nel dolore: dopo aver visto il primogenito sposo alla nipote dell’imperatore bizantino, accolti a Venezia con una grande festa (la prima citata dalle cronache) e la successiva nascita di un bambino, uccisi in pochi giorni dalla peste che soppresse un terzo della popolazione, chiamò ad associarsi nel governo il terzo figlio Ottone (il secondogenito Orso era Patriarca di Grado) con l’approvazione dell’assemblea popolare e si rinchiuse vivendo monasticamente nel suo palazzo fino alla morte.

 

Seguì un periodo di confusione dove Ottone fu Doge, deposto da un’insurrezione, fuggì in Istria con il fratello Orso. Ne approfittò Poppone di Carinzia (al secolo Wolfgang von Treffen) Patriarca di Aquileia, per assalire Grado. I Veneziani sdegnati richiamarono il patriarca Orso dall’esilio, scacciarono Poppone che ricevette il torto anche da un sinodo organizzato a Roma e si vide il ritorno del doge Ottone. Nel frattempo sul trono germanico salì Corrado di Franconia, (probabilmente) zio di Poppone, che rifiutò di rinnovare i tradizionali accordi con i Venetici. Nel 1026 Ottone Orseolo fuggì ancora mentre il capo dell’opposizione, Domenico Flabianico, fece mettere al governo Pietro Barbolano Centranico di scarsa personalità, ma molto ricco, il cui mutamento non fece cambiare atteggiamento a Corrado che pretese dal Papa un altro sinodo per riesaminare le richieste di Poppone.

 

Sotto la pressione delle truppe imperiali a Roma, Orso veniva spogliato della dignità patriarcale e Grado declassata a semplice pieve della diocesi di Aquileia, ma l’esecuzione del decreto comportava un’altra invasione che l’imperatore non attuò, probabilmente per non irritare i Bizantini. Ma i Venetici sopraffatti reagirono, Orso riunì i sostenitori degli Orseolo, prese il potere e cacciò in Grecia il doge Pietro Barbolano, che si distinse per la sua inerzia, dopo averlo fatto tonsurare e vestire con un saio da monaco. Richiamò in patria il fratello Ottone che molto ammalato, morì durante il viaggio da Bisanzio. Nella confusione un Domenico Orseolo, lontano parente, si impossessò del dogato e durò un giorno e una notte prima di fuggire a Ravenna. L’epoca degli Orseolo era definitivamente chiusa e Domenico Flabianico, capo dell’opposizione, fu eletto doge.

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