Serenissima – l’entroterra

Il XIV° secolo segnò, l’inizio dell’interventismo veneziano nei complicatissimi, caotici eventi degli Stati italiani. Fino allora Venezia aveva sempre rivolto lo sguardo a oriente, cercando, tramite la diplomazia, che nel 1300 aveva già raggiunto uno stato avanzato, di difendersi dall’entroterra, i cui confini da 600 anni non arrivavano oltre Mestre, tramando costantemente contro la creazione di qualsiasi Stato potente alle sue spalle che potesse mettere in pericolo la propria stabilità. Ma in quegli anni di inizi del trecento Cangrande della Scala, signore di Verona (amico e protettore di Dante) cominciò le sue mire espansionistiche, si impadronì di Feltre, Belluno, Padova e installò le sue dogane a Mestre, sui confini della Repubblica. Il figlio Mastino allargò il dominio annettendosi Parma e Brescia, attraversò l’Appennino e si prese Lucca, facendo degli Scaligeri una potenza italiana.

Venezia non si era mai fatta coinvolgere dalle complesse vicende italiane, ma l’incremento della potenza degli Scaligeri la mise in allarme, come suscitò le ire di Firenze dopo l’occupazione di Lucca. Nonostante fossero numerose le voci a favore del non interventismo, la maggioranza del Gran Consiglio optò per agire. Marsilio da Carrara, figlio di Jacopo, signore di Padova, si offrì a Venezia contro Mastino della Scala e la contemporanea alleanza con Firenze permise di sconfiggere gli Scaligeri. I Carrara guadagnarono Padova, a Venezia fu affidato Treviso e la Marca trevigiana (il primo insediamento veneziano nell’entroterra) mentre Firenze, fra tutte le conquiste assegnate, mancò Lucca, il principale motivo per cui aveva speso fior di fiorini nella guerra, il risultato fu una forte avversione dei fiorentini nei confronti dei veneziani, che avrebbe avuto conseguenze dolorose per l’Italia nelle vicende future.

 

 

Ma Venezia nel 1339, con gli Statuti di Treviso, si era insediata nella terraferma, padrona della città e della sua Marca, facendo grande scalpore, essendo una nuova potenza che si affacciava al travagliatissimo mondo italiano. Il secolo attraversò il flagello della peste nera, che colpì l’Europa intera, dove un terzo della popolazione veneziana fu falcidiata, oltre ai maremoti e i terremoti che la salassarono. Ma una nuova guerra contro Genova si profilò all’orizzonte, per la quale i genovesi dedicarono la loro devozione ai Visconti di Milano pur di ottenere la distruzione di Venezia. I Visconti erano potenti, più degli Scaligeri, ma Giovanni Visconti cercò inizialmente, attraverso il Petrarca, amatissimo da Venezia, una mediazione. Contemporaneamente il re d’Ungheria, che simpatizzava per Genova, colse al volo le sue pretese sulla Dalmazia, Il Patriarca d’Aquileia ambiva all’Istria e simpatizzava per le ribellioni triestine, lo stesso duca d’Austria e il conte di Gorizia si erano alleati contro la Serenissima. Venezia cercò alleati, ma oltre al decadente imperatore bizantino e il re d’Aragona, non trovò altro.

 

Tralasciando le vicende interne sul doge Marino Falier, che nella sala del Gran Consiglio, dove sono esposti i ritratti del Tiziano di tutti i dogi Veneziani, il suo è rappresentato da un drappo nero, avendo tradito la Repubblica, fu il periodo in cui Venezia fu sull’orlo dell’annientamento soccombendo al nemico. Gli Ungheresi la assediarono a Mestre, Treviso fu invasa dagli austriaci e i Genovesi si stavano appropriando delle lagune, arrivando fino alla conquista di Chioggia. Assediata da tutti i lati, fu convocato l’Arengo, l’antica assemblea popolare dove tutti i cittadini rifiutarono la resa e da dove uscì un notevole sforzo finanziario che cambiò successivamente in modo radicale gli ordinamenti sociali della città, alla fine l’orgoglio prevalse.

Alcuni storici ritengono che la longevità della Repubblica fu dovuta in parte alla fortuna, resta il fatto che anche in questo caso, l’unità dei cittadini, l’orgoglio e l’innata aspirazione alla libertà (la Repubblica di Venezia è stato l’unico Stato italiano che per dieci secoli non ha mai subito invasioni straniere) nella guerra di Chioggia riuscirono a trasformare i nemici da predatori in selvaggina, grazie anche e soprattutto ai suoi capitani da mar. Purtroppo non c’è spazio per i dettagli, ma Pietro Doria fu ucciso, gli ungheresi respinti, gli austriaci, in cambio di Treviso, passarono dalla parte dei veneziani e la guerra terminò con la pace di Torino, tramite la mediazione di Amedeo di Savoia, dove Venezia fu costretta a rinunciare alla Dalmazia a favore dell’Ungheria e confermata la perdita di Treviso in favore dell’Austria, ma la Repubblica era salva e a differenza di Genova, che cominciò il suo declino, Venezia dopo pochi decenni si era già risollevata, grazie soprattutto alla sua unità interna.

 

Territorio di Venezia nel 1381

 

Nella seconda metà del secolo saliva all’apice la stella dei Visconti di Milano, Giangaleazzo, cinico, crudele, ambizioso che aveva unificato tutta la Lombardia e le sue ambizioni cercarono sfogo altrove incombendo minacciose su Bologna e Firenze. Contemporaneamente, dalla più vicina Padova, l’ambizione di Francesco da Carrara bramava uno Stato che doveva diventare egemone nell’area orientale del nord Italia. Forte delle sue risorse economiche si comperò Treviso dall’Austria, oltre che Feltre e Belluno e mirava al Friuli, il secondo feudo ecclesiastico italiano per grandezza dopo lo Stato della Chiesa, approfittando delle guerre civili interne che gli dettero l’occasione per intromettersi. Fu l’ennesimo pericolo di accerchiamento per Venezia che intervenne prendendo le parti di Udine (che per la classica logica italiana parteggiava per Venezia solo perché Cividale appoggiava il patriarca) e di tutti i feudatari friulani che si opponevano al patriarca. Il Carrara fece lega con Galeazzo per spartirsi i domini degli Scaligeri, ma Galeazzo lo tradì, si annesse Verona e Vicenza, si alleò con Venezia invadendo le terre carraresi, annettendosi Padova e restituendo Treviso, Conegliano e Castelfranco ai Veneziani.

 

Espansione dei Visconti nell’era di Giangaleazzo

 

A questo punto per Venezia, la potenza viscontea era diventata un pericolo maggiore dei Carraresi, come pure per Bologna e Firenze, ma le sorti cambiarono quando Francesco Novello Carrara, figlio di Francesco, evaso dalla prigione viscontea, si riprese Padova. Come suo padre ebbe in origine il supporto della Repubblica per poi tradirla alla prima convenienza. Così si fece strada a Venezia l’idea, dopo la morte di Galeazzo (1402) che invece di cercare di controllare i confini a nord di Mestre, quei confini sarebbe stato meglio allontanarli. L’occasione si offrì quando il Novello, dopo aver preso Verona, cercò di conquistare Vicenza e i vicentini si offersero a Venezia che accettò. Il carrarese a questo punto attaccava un territorio della Serenissima, avversario di statura più elevata che la cittadina veneta, e fu guerra. Dopo due anni, mentre Venezia conquistava una ad una tutte le città carraresi, costui si rinchiuse nella sua Padova che nel 1405 fu espugnata e la Repubblica divenne padrona di tutto il Veneto, concludendo in questo modo un ciclo iniziato 900 anni prima con la calata dei Longobardi in Italia, quando i veneti dovettero riparare nelle lagune. Non fu una dominazione coloniale, gli statuti garantirono ampia autonomia e protezione e, come a Venezia, furono considerate con giusta severità le esigenze della giustizia, ma in ogni luogo ai vertici delle amministrazioni locali furono posti rettori, podestà, e capitani eletti dal Maggior Consiglio fra i propri membri, responsabili solo di fronte al senato di Venezia.

 

Territorio di Venezia nel 1420

 

Nell’est, in Friuli, già dal 1385 si creò una lega contro il Patriarca Philippe d’Alençon e il carrarese suo alleato, formata da una buona maggioranza dei nobili friulani, (i Savorgnan di Udine, i Maniago, Spilimbergo, Venzone, Sacile, Marano) che ebbe l’appoggio di Venezia rafforzandola, tanto che la guerra per la conquista del Friuli (1418-1420) trovò appoggi e amicizie in seno alla Patria del Friuli. In contemporanea anche buona parte della Dalmazia, persa dopo la pace di Torino in favore del re d’Ungheria, tornò in mani veneziane (ma questa è un’altra storia). Nel 1421 il doge Tommaso Mocenigo elencava in cifre la grandezza della città: 195.000 abitanti, dieci milioni di ducati fornivano interessi annuali per quattro milioni, 3.000 navi con 20.000 marinai solcavano i mari e 16.000 operai nei laboratori veneziani producevano di tutto trasformando materie prime, che consentirono alla Repubblica una nuova rinascita.

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