Serenissima – le origini

Nella frammentazione degli stati italiani, la Repubblica di Venezia, concentrata nel commercio, attività malvista dai feudatari del medioevo, fedele alleata all’oriente di Bisanzio fino alla propria completa autonomia, ma soprattutto la sua potenza fondata sull’acqua e non sui possedimenti terrieri di stampo feudale, ne hanno fatto una diversità della sua era. Tanto amata quanto odiata, nei suoi mille anni di storia riuscì a difendersi dalle maggiori potenze italiche ed europee dell’epoca, ma anche dalle popolazioni slave e saracene che la minacciavano costantemente, dalle quali arrivò a tutelarsi tramite la sua ricchezza, la sua potenza marittima e l’architettura di una rete di sedi diplomatiche attuando la politica del “non allineamento” secoli prima del Macchiavelli. Conobbe fasti, agiatezze e infamie  fino a creare un impero, soccombendo a Napoleone in modo confusionario e senza colpo ferire nel 1797, tanto il degrado politico e sociale aveva raggiunto i suoi estremi nella sua fase decadente. Raccontarne la storia in poche righe sarebbe impossibile, ma la peculiarità della Serenissima, una repubblica nel ventre di una Europa feudale, cuscinetto fra il Sacro Romano Impero e l’Impero Bizantino, può estrapolare alcuni originali stralci di storia, che fanno parte del paese in cui ora viviamo, a cominciare dalle sue origini dove anche gli storici faticano a distinguere la leggenda dalla realtà.
 
 
In un giorno qualsiasi dell’anno 302 a.c. una flotta di navi a remi avanzò lentamente lungo le coste dell’alto Adriatico, erano navi greche della Laconia, l’apice del Peloponneso ed erano navi da guerra, in realtà navi corsare e il suo comandante, Cleonimo, figlio di Cleomene II re di Sparta, era a caccia di prede. Entrarono cautamente in quello che sembrava un canale, in mezzo agli stagni e alle secche circondati da campi coltivati e capanne con il tetto di paglia. La costa era formata da lidi sottili al di là dei quali c’erano solo acquitrini, mentre la terra si intravedeva in lontananza. Cleonimo sbarcò in procinto di villaggi numerosi e si avventò sulle capanne, ma gli abitanti, invece che darsi alla fuga, reagirono con tale impetuosità che i greci dovettero battere in ritirata. Cleonimo imbarcò precipitosamente i suoi uomini, ma qualche nave restò nelle mani dei difensori, come trofeo di guerra. Questa storia è stata raccontata da Tito Livio e i vincitori di Cleonimo erano i Veneti, coloro che si vantavano di discendere da uno dei popoli alleati ai troiani, gli Eneti di Paflagonia, leggenda accreditata anche da Virgilio, per i quali quella vittoria sugli spartani fu una specie di rivalsa e le armi con le navi depredate ai greci furono esposte con orgoglio nel tempio padovano di Giunone.

 

 

In realtà l’origine dei Veneti risale più anticamente ai popoli paleolitici degli Euganei, le cui prime tracce sono state trovate sui colli omonimi, sull’altopiano di Asiago, nel veronese, nel vicentino e presso Trieste. La successiva influenza etrusca e le incursioni greche non modificarono il microcosmo veneto, che praticava commerci marittimi e terrestri, parlava una lingua ario-europea e adorava divinità oscure. Un piccolo mondo considerato bucolico e conservatore nell’età romana, anche se la bonarietà rivelò capacità militari proprie, come quando i Galli, all’epoca di Marco Furio Camillo, dopo aver occupato e saccheggiato Roma, dovettero abbandonarla frettolosamente per accorrere in soccorso alla loro patria assalita dai Veneti. Venne quindi la dominazione romana nella quale ai Veneti, alleati contro Annibale, fu estesa la cittadinanza di Roma. In questo periodo sorsero e prosperarono città come Padova (ricca città industriale) Concordia Sagittaria (sede di una grossa fabbrica di armi) Verona, Vicenza, Forum Julii (l’attuale Cividale del Friuli) ma soprattutto Aquileia, importante città dell’Impero, del quale si trovò ad esserne capitale in diverse riprese, e presso la quale morì l’Imperatore Lucio Vero.

La pax romana venne bruscamente interrotta nel 168 d.c. quando genti dai nomi strani quali Quadi, Marcomanni, Sàrmati si affacciarono dalle Alpi orientali, assediarono Aquileia e si spinsero fino a Oderzo. I Sàrmati furono solo l’avanguardia di tribù predatrici che nei secoli successivi avrebbero provocato flagelli nelle terre venete fino a scomparire, mentre i Quadi e i Marcomanni appartenevano a una razza che nei secoli seguenti, fino ai giorni nostri, si sarebbe affacciata più volte e sarebbe rimasta legata ai Veneti e alla loro storia, la razza germanica, irresistibilmente attratta dal mito solare del sud, prima che da ragioni economiche o sociali. Marco Aurelio ripristinò la pace sotto le mura di Aquileia, anche se meno di un secolo dopo si riaffacciarono altre tribù germaniche, gli Alamanni e gli Jutungi. Il periodo successivo fu caratterizzato da una lunga serie di pestilenze durata qualche secolo e da un ciclo climatico umido e freddo che vide l’abbandono delle campagne che rinselvatichirono mentre dal 238 al 388 Aquileia sostenne cinque assedi e ogni campagna militare fu accompagnata da devastazioni. Alarico (re dei Visigoti) continuò le scorribande delle tribù nomadi, fu battuto a Verona nel 402, ma dopo che un’orda di Svevi, Alani e Vandali razziò la penisola, ritornò nel 410 in Italia, puntò su Roma, la conquistò e la saccheggiò, più di mille anni dopo la conquista gallica.

 

Aquileia antica

Ricostruzione dell’antica città di Aquileia

 

Già in quest’epoca di scorribande, molti abitanti delle città veneto-romane vicine alla costa cercarono rifugio nelle lagune, se non nelle isole disabitate, quanto presso i pescatori, i salinai, i gabellieri, originari abitanti dei luoghi. E’ possibile che Torcello avesse già un nucleo abitato, mentre Grado, a pochi chilometri dalla metropoli di Aquileia era già un’isola fortificata. E fu proprio in questi anni che una leggenda colloca le origini di Venezia, il 25 marzo del 421, in isolette sperdute e deserte lungo il corso di un canale profondo, rivus prealtus, rivus altus: Rialto. Di fatto, dopo la bufera gotica, gli abitanti tornarono alle loro origini, ma trent’anni dopo la leggendaria fondazione della città, nel 452, si affacciarono dall’est gli Unni, guidati da Attila, il flagello di Dio, ed è in questo frangente che la tradizione veneziana colloca la gran parte della migrazione nelle lagune e la nascita dell’unità politica veneziana, dopo che gli Unni devastarono Aquileia oltre che Concordia e Altino.

Dopo la fine dell’Impero Romano d’Occidente del 476, quando Teodorico si stabilì a Ravenna, il suo ministro Cassiodoro inviò una lettera ai “tribuni dei marittimi” chiedendo aiuto per il trasporto di derrate alimentari dall’Istria in seguito alle carestie degli anni 535-537, nella quale è preziosa la minuziosa descrizione dell’ambiente, dove i Venetici (così vennero chiamati gli abitanti lagunari) trituravano il sale e lo usavano come moneta di scambio e dove i ricchi e i poveri risiedevano vicini gli uni agli altri e mangiavano lo stesso cibo (peculiarità rimasta per sempre nella Serenissima) con la barca legata all’uscio al posto del cavallo. Successivamente, durante la conquista dell’Italia da parte di Giustiniano, nel 540 il suo generalissimo Belisario prese Ravenna e il suo successore Narsete trovò pieno appoggio presso i Venetici quando, per snidare i Goti che ostruivano la strada da Ravenna ad Aquileia, li attaccò di sorpresa dal mare, seguendo la via dei lidi lagunari, contraccambiando con la costruzione delle chiese di San Teodoro e di San Geminiano così le isole con le lagune entrarono nella giurisdizione del futuro Esarcato di Ravenna.

 

Panrama Matajur

Vista dalla cima del monte Matajur

 

Ma nel 568 una minaccia maggiore fece capolino sulle Alpi orientali: i Longobardi, il cui comandante Alboino, dalla cima del monte Matajur scrutò la sua terra promessa, (ironia della storia, dopo più di 13 secoli, dallo stesso luogo, un altro comandante riconducibile agli stessi progenitori, di nome Erwin Rommel allora giovane capitano, dopo la vittoria di Caporetto scrutava la terra (provvisoria) di conquista). Ma i Longobardi, a differenza delle genti passate, erano decisi a rimanere. Occuparono subito Cividale, Aquileia e Concordia Sagittaria. Poi ripresero ad avanzare conquistando Milano e fissando la loro capitale a Pavia. Il patriarca di Aquileia, Paolino, nel 568 fuggì a Grado portando con sé le reliquie dei santi e dei martiri aquileiesi, compresa la venerazione di S Marco, a cui Aquileia riconduceva la sua fondazione. Con questo, Paolino non portò con sé nelle lagune solo il tesoro di una cattedrale, ma lo spirito stesso della cristianità veneto-romana, minacciata dall’invasore. E da autorevoli autori è stato questo frangente che può essere considerato l’anno natale di Venezia.

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