Serenissima – i primi Dogi

Ci siamo lasciati con la conquista longobarda e il Patriarca di Aquileia scappato a Grado, che il 3 novembre 579, nove anni dopo la sua fuga del 568, anno che interpreta secondo gli storici il momento soprattutto spirituale della nascita di Venezia, consacrò solennemente la cattedrale di S. Eufemia, il cui pavimento a mosaico, finanziato dai fedeli, permette tutt’oggi l’evanescente identificazione di qualche nome. Intanto con il passare del tempo il conflitto bizantino-longobardo continuò, sgretolando la terraferma imperiale e assottigliando sempre più il territorio Veneto ridotto alle lagune e al saliente di Oderzo, sede del governatorato bizantino, che fu successivamente distrutta e saccheggiata da Rotari nel 639.

 

Pavimento S. Eufemia - Grado

Pavimento della basilica di S Eufemia a Grado

 

Di conseguenza nel corso dello stesso secolo si compì la costruzione del nucleo di ciò che in futuro sarà la repubblica veneziana. Sotto l’installarsi sempre più minaccioso dei Longobardi, intere famiglie, interi gruppi sociali, autorità civili, militari ed ecclesiastiche, cittadini abbienti e proprietari si insediarono nelle lagune. L’intera società veneta si ricompose al riparo dei canali, delle paludi e delle isole, non solo Grado, Torcello e Chioggia, che già esistevano, ma fondarono nuovi insediamenti come Equilo (Jesolo) Caorle, Malamocco, Albiola, Poveglia, Bibione e Olivolo, un complesso di isole che in seguito a una fortificazione prese il nome di Castello (oggi sestriere di Venezia).

Bisanzio aveva militarizzato tutta la regione, nello stesso modo che aveva fatto per gli avamposti più a rischio in oriente. Ma dopo il ripiegamento nelle lagune l’antica struttura romana lasciò il posto a una nuova compagine dove il popolo si identificava con l’esercito, quindi le isole e i lidi divenuti centri abitati, accentuarono la fisionomia militare, cumulando ai compiti militari, quelli amministrativi e giurisdizionali nelle mani dei majores terrae, ovvero i possidenti, che in seguito, nella generalizzazione ereditaria, crearono una propria categoria nobiliare da cui uscirono i futuri capi militari e civili.

 

 

Dopo la caduta di Oderzo la nuova capitale fu trasferita a Cittanova, chiamata anche, in omaggio all’imperatore di Bisanzio, Eraclea, che dalle cronache vide l’elezione, nel 697, del primo doge a cui la leggenda dà il nome di Paoluccio Anafesto. Come per diverse storie riguardanti Venezia, dove è indispensabile discendere leggenda da realtà, nonostante le narrazioni (tutte postume) gli storici sono sempre stati diffidenti nel reale avvenimento di questa elezione. Gli succedette Marcello Tegalliano, di cui non si sa molto.

Il terzo Doge fu effettivamente eletto dall’esercito (che si identificava con il popolo) fu un venetico-romano autentico chiamato Ursus, Orso e onorato con la dignità bizantina di Ipato (ypathòs) cioè console, che fu ucciso dieci anni dopo per il suo atteggiamento troppo filo-longobardo. L’esistenza dello scontro fra due fazioni, l’una autonomista e filolongobarda, l’altra lealista e filo bizantina influenzarono i successivi governi, anche il successore Teodato venne accecato e in seguito pugnalato, poi ci fu Giovanni Fabriaco che nel 742 fu deposto e accecato, venne sostituito con Deusdedit, figlio di Orso, che trasferì la capitale da Cittanova a Malamocco, regnò tredici anni prima di finire deposto e accecato da un suo fedelissimo di nome Gallia che lo sostituì e governò un anno, prima di essere anche lui deposto e accecato. I contrasti interni perdurarono anche all’elezione successiva di Domenico Monegario, che finì (et evulserunt oculus eius, citano le cronache) manco a dirlo, deposto e accecato. Finalmente nel 765 elessero doge Maurizio Galbaio, nobile proprietario di terre, eraclese e discendente dell’imperatore Galba, da una assemblea nella quale erano rappresentate tutte le comunità.

 

Maurizio Galbaio

Maurizio Galbaio

 

Nel frattempo i destini italiani cambiarono quando il Papa chiamò nella penisola i Franchi ricevendone in cambio nel 766 le terre già appartenenti all’impero bizantino, compresa la Venezia marittima. Il dono non ebbe alcun risvolto pratico, ma permise al Papa di esercitare sul territorio lagunare una sovranità sempre contestata da Venezia, probabilmente l’origine della tradizionale diffidenza veneziana verso la politica temporale dei papi. I Franchi, più potenti e meglio organizzati dei Longobardi ebbero un influsso notevole nelle lagune. Gli antichi contrasti vennero sostituiti con altri nuovi. Cittanova rimase la roccaforte dei fedeli a Bisanzio mentre Malamocco divenne la sede di coloro che avrebbero voluto entrare nell’orbita dei Franchi e cominciò il conflitto intestino fra le fazioni. Nell’805 il doge Obelerio, che aveva sostituito i Galbai con una sommossa popolare, ricevette in Aquisgrana da Carlo Magno un’”ordinazione” che, pur non essendo un riconoscimento formale sulla dominazione delle sue terre, fu un ripudio alla sovranità bizantina.

La risposta di Bisanzio non si fece attendere, la squadra navale bizantina dapprima ristabilì senza grosse difficoltà il suo predominio nella Dalmazia, poi raggiunse le lagune e mise l’ancora al largo di Malamocco. Obelerio capitolò subito mentre Carlo Magno non fu in grado di intervenire e preferì negoziare un accordo dove i Venetici avrebbero dovuto riconoscere la sovranità bizantina. Sembrò un capitolo chiuso, invece non era che l’inizio di nuove dispute. Cittanova venne presa d’assalto e distrutta, seguirono violenze di marinai bizantini a Comacchio, in territorio Franco, con reazioni più violente dei Franchi, e conseguente fuga delle navi bizantine nelle lagune, da cui dovettero fuggire per l’ostilità dovuta agli intrighi dei capi Venetici, la cui versatilità politica gli si rivoltò contro al punto da essere chiamata “perfidia” sia dai Franchi che dai Bizantini. Alla partenza dei Bizantini, invocarono l’appoggio dei Franchi, ma questi, che nel frattempo avevano messo assieme una squadra navale a questo punto avevano altri piani, essendo intenzionati a occupare militarmente le lagune.

Fu questo il momento in cui si decise il destino e il futuro di Venezia. La flotta dei Franchi era comandata personalmente dal re Pipino, figlio di Carlo Magno e le cronache della battaglia attraversano molteplici versioni dove, come sempre, la fantasia e la realtà possono essere indissolubili. La tradizione veneziana racconta che alla notizia delle intenzioni franche nell’809 l’intera provincia insorse, mentre l’armata di Pipino, dopo aver devastato il litorale si addentrò nella laguna i difensori ripiegarono sulle isole realtine, l’attuale Venezia. Quando la bassa marea bloccò le navi nemiche, i Venetici li assalirono con imbarcazioni a fondo piatto e ne fecero una strage. Le cronache Franche scrissero che conquistarono le lagune e sottomisero i Venetici, ma al sopraggiungere delle navi bizantine furono costretti a fuggire. Un’altra pittoresca versione racconta che Obelerio invocò l’aiuto di Pipino, ma i Venetici, deposto Obelerio, affidarono le truppe ad Agnello Partecipazio. Pipino occupò Chioggia e Pellestrina pensando che lo sbarco a Malamocco sarebbe stata una passeggiata, ma Agnello seminò la laguna di pali e lance protettive bloccando la cavalleria avversaria. Respinti gli invasori le scaramucce durarono sei mesi al punto che Pipino avvertì gli assediati che sarebbero stati presi per fame, prima di ricevere come risposta una scarica di pagnotte di pane.

Qualunque sia la versione, la battaglia contro i Franchi ebbe l’esito di riunire in un sol popolo le varie fazioni, che fino allora avevano dissanguato i Venetici, riunendoli in un’unica gente. Tutta la provincia sfuggì definitivamente al dominio Franco e di conseguenza ad un futuro agricolo e feudale trovando nel mare la propria area di espansione dei propri rapporti economici e politici, soprattutto con l’Oriente, separandosi dal resto dell’Italia e d’Europa, mettendosi così al riparo dalle infinite e snervanti guerre fra guelfi e ghibellini. Fu proprio in questo frangente che le isole che attualmente compongono il centro storico di Venezia divennero la sede definitiva del governo. Agnello Partecipazio fu nominato Doge impegnandosi a stimolare le quattro indiscusse virtù dei veneziani: l’architettura, il commercio, l’arte della navigazione e il furto dei Santi.

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