Finanziamento Privato ai Partiti?

In Italia il finanziamento delle campagne elettorali avviene tramite i fondi dello Stato (o di enti locali, ma sempre pubblici).
Il partito, la lista, il movimento, spende una certa cifra per propagandare il proprio programma, i propri candidati, per attaccare manifesti, eccetera, e alla fine i fondi pubblici copriranno le spese, calcolando l’ammontare dovuto secondo un sistema che è in buona parte proporzionale al numero di voti ottenuti.

Non in tutto il mondo è così, e c’è da decenni dibattito in Italia riguardo alla possibilità di abolire i contributi pubblici e costringere ogni soggetto politico ad utilizzare solo donazioni private.

“E volontariato”, aggiungerebbe un grillino. Ma di questo parleremo alla fine.

Per capire esattamente di cosa si parla osserviamo uno Stato, democratico e avanzato, dove esistono sia contributi pubblici che privati: gli Stati Uniti. Per parlarne ci appoggiamo a un sito apolitico che spiega dettagliatamente, corredato di fonti, il funzionamento di questo meccanismo.

Negli USA ogni candidato ha una scelta da operare all’inizio della propria campagna: utilizzare i fondi pubblici o trovarsene di propri.
L’ammontare dei fondi pubblici a disposizione è 20 milioni di dollari, più un bonus di 50.000$ che il candidato può mettere di tasca propria.
Per fare un confronto, John Kerry e George W. Bush, per le elezioni del 2004, hanno speso un totale di un miliardo di dollari.
Capite quindi perchè i candidati rifiutano i soldi pubblici e utilizzano la raccolta privata per finanziarsi. Gli analisi infatti stimano che, per avere una possibilità di diventare presidente, bisogna spendere almeno mezzo miliardo di dollari.
La cosa divertente è che la motivazione con cui li rifiutano, solitamente, è “noi non vogliamo usare i soldi dei cittadini per le campagne elettorali: sono fatti nostri e noi ce le paghiamo da soli senza sprecare soldi utili per altre cose”. Vi ricorda qualcuno?

La campagna americana è piuttosto subdola, perchè esistono diversi tipi di gruppi di raccolta fondi, anche collaterali e “camuffati”, come accade a volte ai gruppi 527: ad esempio un “gruppo di veterani per la verità” può contestare la carriera militare di un candidato per danneggiare la sua reputazione.
Inoltre le compagnie private possono fare attivamente campagna elettorale, anche appena prima delle elezioni. Possono comprare spot in TV, ma a patto che i loro messaggi elettorali non siano troppo platealmente pro o contro un candidato. Insomma, possono influenzare e orientare l’opinione, a patto di non gridare.
Addirittura la Suprema Corte ha protetto questo “diritto” delle compagnie contro chi tentava di limitarlo.

La disparità di mezzi tra un “candidato privato” e un “candidato pubblico” è quindi immensa.
Se utilizzerete i fondi pubblici non solo spenderete venti volte meno, ma vi perderete anche i comitati “camuffati” e le industrie che mandano spot in TV per orientare l’opinione pubblica a vostro favore.
Vi starete chiedendo se è allora almeno possibile limitare la spesa privata: la risposta è no.
La Suprema Corte è infatti intervenuta su questo caso, nel 1976 Buckey v. Valeo, in cui ha stabilito che “limitare la spesa di un candidato limita la quantità e l’approfondimento dei temi trattati, pertanto è una violazione del diritto di parola”.

Vi starete allora chiedendo se spendere tutti questi soldi conti qualcosa, se non conti invece il cuore, le idee, internet.
E la risposta è sì, conta, ma non solo “qualcosa”. L’associazione Open Secrets, impegnata nella sorveglianza della politica per garantirne l’onestà, calcola che nel 2004 il 95% dei Deputati e il 91% dei Senatori eletti sono stati quelli che hanno speso di più per la propria campagna elettorale.

Alla luce di tutto questo, le conclusioni sono ovvie: il finanziamento privato risulta sempre vincente in una campagna elettorale Americana, perchè l’ammontare di denaro raccolto è enormemente superiore al fondo pubblico messo a disposizione. Non esiste limitazione di spesa ed è diritto del candidato farsi aiutare da chiunque, all’interno delle poche regole esistenti.
Le industrie e i privati possono aiutare il candidato con i mezzi a loro disposizione, comprese associazioni “camuffate” per veicolare messaggi particolari.
Ovviamente tutto questo ha un prezzo: la lealtà del candidato al proprio finanziatore. Se spera di essere rieletto, il candidato dovrà aiutare i propri “benefattori” e magari ingraziarsene di nuovi durante il suo ufficio, con leggi e provvedimenti ad hoc. Infatti sempre Open Secrets ci dice che è molto più facile rimanere in carica, piuttosto che conquistarne una, proprio per i benefici derivanti dall’essere “incumbent”: nel 2004 quasi due terzi delle elezioni avvenute erano appunto riconferme.

“Ma in Italia Beppe Grillo ha ottenuto un successo alle elezioni senza soldi”, verrebbe naturale obiettare.

Senza soldi?
Sicuri?

Giusto per chiedere, ma quanto è il cachet di Beppe Grillo? Sì, perchè il “semplice megafono” ha girato l’Italia, montato palchi, volantinato, fatto spettacoli, gestito siti internet e una web-tv.
Tutto gratis? Ovviamente no. In parte si è utilizzato il mezzo milione di Euro delle donazioni via internet, in parte si è utilizzato il volontariato, sia degli attivisti che degli stessi Grillo e Casaleggio. Essi hanno messo a disposizione uno i propri soldi e capacità artistiche e l’altro la propria azienda di comunicazione per conseguire l’obiettivo.
Per non parlare di tutte le sedi locali per riunioni e attività, solitamente messe a disposizione da volontari. Ma il volontariato è esso stesso un contributo privato.

Quanto sarebbe costato a un partito normale tutto questo?

In realtà, a conti fatti, si può dire che la campagna del Movimento 5 Stelle sia stata una campagna a finanziamento privato, e anche piuttosto consistente.
Se tutti i partiti utilizzassero lo stesso metodo rientreremmo in un caso simile a quello Americano, con tutte le conseguenze che abbiamo visto.

E finiremmo anche qui con il 95% dei deputati eletti perchè hanno speso di più in campagna elettorale.

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