Serenissima – serrata del Maggior Consiglio

Le cronache pervenute in occasione dei festeggiamenti per il dogato di Lorenzo Tiepolo nel 1268, dimostrano l’assenza delle tensioni registrate in passato. La costituzione veneziana continuò a evolversi verso uno Stato parlamentare e magistratuale dove dalla cronaca stessa non si riscontra alcun contrasto fra le classi sociali. L’aristocrazia si impose leggi con severe limitazioni alle contese fra le famiglie nobili, ragioni di tristi vicende in tante altre città italiane. Alla morte del Tiepolo si aggiunsero altre limitazioni intese a impedire un eccessivo rafforzamento dei poteri del doge e dei suoi familiari. Assieme a queste fu approvata anche una disposizione, da sottolineare particolarmente, perché impegnava il doge a vigilare affinché tutti i detenuti fossero giudicati entro un mese massimo dall’arresto. Simile norma onora la giustizia veneziana dell’epoca, quando nel 1275, anno in cui fu emanata, gli usi del tempo erano quelli di dimenticare in cella i prigionieri, ma anche in rapporto ai tempi odierni dove un detenuto in attesa di giudizio trascorre mesi se non anni rinchiuso in prigione. La funzione del doge divenne quindi sempre più quella di primo magistrato.

 

Ma non tutto filò liscio, l’elezione di Pietro Gradenigo si intoppò con la volontà popolare che aveva fatto la sua scelta nella figura di Jacopo Tiepolo che venne acclamato a furor di popolo, in barba alla complessa legge elettorale. E Jacopo Tiepolo, figlio del doge Lorenzo, nipote del doge Jacopo poteva rappresentare l’instaurazione di una Signoria, sempre invisa dalla politica lagunare. A dimostrazione di quanto fosse radicato negli uomini politici veneziani il senso dello Stato, Jacopo partì da Venezia, invitando i suoi sostenitori a desistere.

 

Durante il dogato di Pietro Gradenigo, si riaccesero le tensioni con il potente patriarca di Aquileia che sobillava le città istriane e la stessa Trieste, città di marinai disposta a tutto per la propria autonomia, da cui ne derivò una guerra che durò due anni. Lo stesso avvenne dall’altro versante con la città di Ancona, che finì con la capitolazione completa degli anconetani. Allo stesso tempo Venezia pensò al Levante in funzione di crociata e di conquista accordandosi con Carlo d’Angiò per la riconquista latina di Costantinopoli, ma i Vespri Siciliani del 1282 scoppiarono tempestivamente per mandare a monte tutto. Michele VIII Paleologo, informato dai genovesi dei piani veneziani, appoggiò i siciliani ghibellini, il re d’Aragona e gettò contro Venezia un’insurrezione a Creta che durò diciotto anni.

 

Fu così che gli eventi fecero modo di correre verso una violentissima rottura fra Venezia e Genova che nel frattempo aveva consolidato sempre più la propria egemonia nell’impero bizantino. Nel 1284 ottantotto galere comandate da Oberto Doria inflissero una definitiva sconfitta alle centotre galere di Pisa che avevano come comandante un Morosini, veneziano, ex podestà di Costantinopoli. Sette anni dopo il sultano d’Egitto conquistò San Giovanni d’Acri e successivamente tutte le altre roccaforti cristiane della Siria, che ebbe l’effetto di concentrare tutti gli interessi economici di Genova e Venezia su Costantinopoli.

 

Stemma dei Doria

 

Nel 1293, al largo di Corone quattro galere veneziane intimarono il fermo a un convoglio mercantile genovese. I genovesi rifiutarono, i veneziani attaccarono ed ebbero la peggio. Da questo episodio iniziò lo scontro fra le due potenze marinare. Navi veneziane assaltarono le colonie genovesi di Cipro, mentre sulle coste della Cilicia i genovesi vinsero l’armata navale veneziana, ma non in modo definitivo. Mentre i genovesi devastarono Canea, i veneziani saccheggiarono Caffa, Focea e depredarono il quartiere genovese di Costantinopoli, intanto che la flotta veneziana gettò minacciosamente l’ancora nel Corno d’Oro, davanti al palazzo imperiale. Greci e genovesi risposero devastando il quartiere veneziano massacrando mercanti e artigiani. Ma Genova aveva ambizioni più vaste, ottantacinque galere al comando di Lamba Doria si inoltrarono nel golfo di Venezia, dove nel canale di Curzola affrontarono la flotta veneziana, forte di novantacinque galere, che subì una poderosa disfatta.

 

Dopo aver battuto Pisa e Venezia, Genova era all’apogeo della potenza militare, ma mentre Pisa, distrutta dalle fazioni interne non si sarebbe più risollevata, Venezia non era ancora morta. La realtà fra le due rivali era completamente diversa. Genova disponeva di un territorio che andava da Nizza a Portovenere, i suoi armatori spaziavano dal mar Nero all’alto Atlantico, da Focea a Bruges, ma la sua grandezza si appoggiava esclusivamente sulle capacità individuali senza essere sostenuta da adeguate istituzioni o da un profondo sentimento civico. Un individualismo che invece di rafforzare il Comune, talvolta ne minacciava l’istituzione. Un’anarchia che sarebbe stata determinante nella futura perdita dell’indipendenza. Al contrario a Venezia, proprio in quegli anni le istituzioni si solidificarono. La pace fra le due città fu negoziata da Matteo Visconti nel 1299 che affacciò su Genova l’ombra minacciosa della famiglia milanese, avida di allargare il proprio potere, tanto che Venezia, pur sconfitta, ottenne parità di condizioni, soprattutto la libertà di commercio nel mar Nero e la salvaguardia dei diritti nell’Adriatico.

 

Ma mentre si svolgevano questi conflitti sui mari, a Venezia maturò la svolta costituzionale conosciuta come “serrata del Maggior Consiglio”, riforma estremamente importante nella storia veneziana che si colloca nel 1297, esattamente a cinquecento anni dalla sua caduta e cinquecento anni dall’elezione del primo doge. Per comprendere questa importante riforma si deve attingere a un sunto dell’evoluzione costituzionale veneziana, la quale, anche se può apparire noiosa e contorta, per la sua epoca composta da signorie e feudi, era all’avanguardia. Nel 1143 comparve la prima assemblea, il Consiglio dei Savi, e all’assemblea popolare, l’Arengo, rimase il compito di ratificarne le decisioni, oltre all’elezione del doge. Nel 1172 apparve il consilium ducis, i consiglieri ducali formarono il Minor Consiglio, quello dei savi il Maggior Consiglio. L’elezione del doge venne sottratta all’Arengo che doveva solo ratificarla. Nel 1207 il Maggior Consiglio comprendeva trentatré membri, precedentemente eletti da un’assemblea popolare, poi da un collegio elettorale di tre membri, incaricati di eleggere anche gli altri pubblici ufficiali, a loro volta eletti a turno da tre delle trentacìe in cui era divisa la popolazione. Poi nacque la Quarantia, successivamente nel 1255 il Consiglio dei Rogati (Pregàdi) di sessanta membri.

 

Maggior Consiglio

Il Maggior Consiglio

 

Maggior Consiglio, Consiglio dei Pregàdi, Quarantia e Minor Consiglio deliberavano congiuntamente. I membri del Maggior Consiglio passarono da trentacinque a cento, il collegio elettorale da tre a quattro poi a sei. Tutte queste sostituzioni fecero sì che nel 1261, per mantenere occupati i cento seggi del Maggior Consiglio, vennero elette quattrocentotrenta persone. Alla fine del duecento l’assemblea popolare fu già privata dei poteri decisionali, soprattutto l’elezione del doge, il doge fu privato delle sue prerogative sovrane diventando un magistrato, ma il potere confluì in un gruppo troppo ristretto, in pratica una quarantina di persone che preoccupava, come sempre, l’instaurazione di una dittatura o di una signoria. Da prima fu proposto che venisse riconosciuta l’eleggibilità ai discendenti di coloro che avevano già fatto parte del Maggior Consiglio, ma fu rifiutata dai conservatori.

 

Nel 1297 il doge Pietro Gradenigo propose come esperimento, per sei mesi rinnovabili, che fossero ammessi al Maggior Consiglio, previo voto della Quarantia, coloro che ne avevano fatto parte dal quadriennio in addietro e i discendenti di coloro che ne erano stati membri fino al 1172 potevano essere eletti da un collegio di tre elettori. Ugualmente coloro che avevano perso l’elezione per essersi allontanati da Venezia. La serrata quindi non fu altro che il tentativo di allargare la partecipazione politica e come tale fu un tentativo riuscito. Da cento membri effettivi, più il doge, la Quarantia, il Pregàdi, il Minor Consiglio e i titolari delle magistrature che portarono a 586 votanti l’approvazione della riforma, il nuovo Maggior Consiglio arrivò a 900 membri. Nel 1311 a 1.017, nel 1340 ne ebbe 1.212. In pratica un cittadino ogni 82,5 abitanti, che nel 1500 arrivò a 2095 membri. Quindi i ricchi non furono la maggioranza, fra gli eletti ci furono anche i meno abbienti senza contare i nobili poveri, che fu una delle piaghe politiche e sociali di Venezia.

 

Nacque così un “patriziato”, ovvero una classe di governanti con assoluta uguaglianza fra i componenti in quanto membri alla pari di un’assemblea politica, oltre ad avere un complesso di doveri che scaturivano da quella appartenenza a cui, chi veniva chiamato, non poteva sottrarsi. La proposta semestrale del Gradenigo venne promulgata in modo definitivo l’anno seguente.

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