Diritto del Lavoro, parte 2: chi sono i precari?

Questo articolo è la seconda parte del precedente, ed è sempre opera di Gianluca Ricozzi.

 

Visto l’interesse della materia, ho deciso di scrivere qualcosa sul precariato, sempre dal punto di vista del diritto del lavoro.
Tutti ne hanno sentito parlare, ma penso che pochi sappiano di cosa realmente si tratti.
Vorrei anche sfatare alcuni luoghi comuni.
Prima di tutto, non è vero che il precariato sia venuto alla luce con il Decreto Biagi, in realtà era già stato disciplinato dal cd. Pacchetto Treu e, in verità, rapporti più o meno precari sono sempre esistiti.
Perché li definiamo precari?
A mio parere li definiamo così in quanto accumunati dalla mancanza di stabilità che è tipica del rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Tuttavia, a parte questo elemento che hanno in comune, sono tra loro molto diversi.
Ci sono alcuni casi, come il lavoro in nero o le finte partite iva, in cui si è al limite dello schiavismo, mentre ci sono i casi dei contratti a tempo determinato o di quelli in somministrazione in cui, fatta eccezione per la durata dei rapporti, si hanno tutte le garanzie del rapporto di lavoro standard.
Probabilmente il tipo di contratto più conosciuto, tra quelli precari, è il contratto a progetto. Introdotto dal Decreto Biagi, si tratta di una mera riformulazione delle vecchie collaborazioni coordinate e continuative, con la differenza che dovrebbero essere collegate a un progetto specifico.
Il contratto a progetto è un rapporto di lavoro autonomo, che dovrebbe essere utilizzato da quei professionisti non iscritti a ordini professionali o non dotati di partita iva.
Si potrebbe discutere se possa esistere in natura un professionista del genere.
Il fatto è che il contratto a progetto nasconde sempre un rapporto di lavoro subordinato.
Almeno nella mia esperienza non ho mai visto contratti di tal tipo che si riferissero a veri consulenti.
Quindi si tratta di rapporti che, invece di essere disciplinati da contratti di lavoro subordinato, sicuramente più onerosi per il datore, vengono regolati come se fossero di lavoro autonomo. Va detto che la legge Biagi ha previsto delle tutele, per esempio la trasformazione di diritto del contratto in rapporto di lavoro a tempo determinato, se il progetto sia inesistente. Mi pare del tutto evidente che operatori di call center, magazzinieri o segretarie, assunte con tale tipo di contratto non possano certo essere considerati lavoratori autonomi impegnati a sviluppare dei progetti specifici per conto di un committente. Discorso analogo vale per le partite iva o anche per il lavoro in nero.
Anche prima della Biagi la giurisprudenza e la dottrina avevano individuato i cd. indici indicatori della subordinazione, che alla fine consistono essenzialmente nella sottoposizione del prestatore al potere direttivo sostanziale del datore di lavoro, a prescindere dalla forma assunta dal rapporto.
Non è sempre facile fornire tale dimostrazione, ma tuttavia le sentenze, nel corso degli anni hanno cominciato a moltiplicarsi, e quindi si è consolidato questo filone, relativo alla “qualificazione del rapporto di lavoro”. In quest’ambito la posizione dei lavoratori a progetto è migliore di quelli a partita iva: infatti, in forza della Biagi, a loro basta contestare l’inesistenza del progetto, gravando sul committente-datore di lavoro l’onere di dimostrare che il progetto sia veritiero. Nel caso di partite iva e nero, invece, è il prestatore che deve dimostrare la sussistenza del rapporto subordinato. Non si tratta, comunque, di un’impresa impossibile, visto che poi tali rapporti, nel corso del tempo, producono molte prove che il prestatore potrà utilizzare a proprio vantaggio. Tipiche sono le comunicazioni scritte del datore di lavoro, oppure la tipologia delle retribuzioni, ecc.
Non mi soffermo sul rapporto di lavoro a tempo determinato, perché non lo considero una forma di sfruttamento tanto bieca come quella relativa ai contratti di cui ho appena scritto. In ogni caso, una successione di contratti a tempo determinato, nel corso del tempo, nasconde spesso un rapporto continuativo. Anche qua, se fornisce le prove, il prestatore può ottenere la conversione del rapporto per via giudiziale. Va rilevato che la disciplina speciale per questo tipo di rapporti prevede alcune regole molto rigorose, la cui violazione determina la trasformazione di diritto del rapporto. Un altro contratto molto diffuso, che non costituisce necessariamente una forma di sfruttamento molto bieco, è quello in somministrazione. La particolarità di tale contratto è che presenta tre parti: il prestatore, l’impresa fornitrice e quella utilizzatrice. In pratica l’impresa fornitrice, che deve possedere un’autorizzazione specifica a svolgere tale attività, invia dei lavoratori, per un certo periodo di tempo, presso la sede dell’impresa utilizzatrice. Il contratto resta comunque di lavoro subordinato, con tutte le garanzie previste dalla contrattazione collettiva. La disciplina legislativa è molto rigorosa: le violazioni delle prescrizioni, oltre a sanzioni pecuniarie, comportano spesso la costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con l’impresa utilizzatrice. Al di fuori delle ipotesi previste dalla legge, la somministrazione o appalto di manodopera è illegale, anche se molto diffuso in alcuni settori specifici, come quello informatico. L’appalto illecito di manodopera viene sanzionato con la costituzione di un rapporto a tempo indterminato tanto con la fornitrice quanto con l’utilizzatrice.
Nel 2010, il governo di allora ottenne l’approvazione in parlamento del cd. Collegato Lavoro, che mirava a ostacolare le controversie di qualificazione del rapporto. Infatti fino a quel momento valeva la regola della prescrizione di cinque anni, termine entro il quale il precario poteva impugnare il rapporto di lavoro irregolare. Anche se lungo tale termine consentiva al prestatore di continuare a svolgere la propria attività, tra un rinnovo e un altro, potendo impugnare il rapporto quando esso era ormai definitivamente cessato. Il Collegato, invece, estendeva alle controversie di qualificazione lo stesso termine di decadenza previsto per il licenziamento: sessanta giorni dalla conclusione dell’ultimo contratto, costringendo così molti precari a rinunciare alle azioni giudiziali per timore di perdere un possibile rinnovo. Fortunatamente tale termine, nel 2012, è stato portato a centoventi giorni dalla riforma Fornero.
L’impugnativa può essere stragiudiziale, ma, come per il licenziamento, il giudizio deve essere introdotto entro i successivi sei mesi.
Cosa accade quando si vince una causa di qualificazione del rapporto? Non solo s’instaura un rapporto a tempo indeterminato in capo al datore di lavoro imbroglione, ma si ha diritto a percepire tutte le differenze retributiva fin dall’inizio del rapporto di lavoro, perché il rapporto si considera, sin dall’inizio, a tempo intederminato.
Quindi la violazione delle disposizioni in materia di contratti di lavoro possono essere anche contestate dagli ispettori del lavoro, che, oltre a irrogare sanzioni pecuniarie e a presentare esposti alla procura della repubblica, possono, anche ordinare la regolarizzazione del contratto.
Cosa accadrà ai precari con il nuovo decreto? Per i precari “di lusso” poco, sono state abrogate alcune disposizioni che rendevano più difficile il ricorso a tali tipologie contrattuali. Peggiorata la posizione dei lavoratori? Secondo alcuni si, secondo altri no. Vedremo con il tempo. Il decreto ha comunque sfoltito il numero dei contratti di lavoro. Almeno nelle intenzioni, tutti quei contratti non previsti dal testo legislativo dovrebbero essere risultare soppessi, tuttavia bisognerà poi vedere, in pratica, quale sarà l’effetto abrogativo in concorrenza con le altre norme. Eventuali difetti potranno sempre essere corretti.
Il grande cambiamento dovrebbe invece avvenire per gli altri rapporti precari.
I contratti a progetto, un po’ il simbolo dello sfruttamento di una generazione, se mi consentite questo giudizio di valore, dovrebbero essere superati. Comunque non potranno più esistere dopo il 31 dicembre, come tutte le altre forme di collaborazione che presentino i parametri che, secondo il decreto, indicano la presenza di un rapporto di lavoro subordinato: tali sono le “prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative, di contenuto ripetitivo e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”.
Dopo il 31 dicembre tutti coloro che si trovino in tale situazione potranno richiedere la qualificazione del rapporto di lavoro, con tutte le differenze retributive fin dall’inizio del rapporto e, ovviamente, con i relativi contributi previdenziali.
Se il datore di lavoro, prima del 31 dicembre, vorrà regolarizzarli, potrà beneficiare di una sostanziale sanatoria sulle sanzioni amministrative e, purchè vi sia esplicita rinuncia in tal senso da parte del lavoratore in sede conciliativa, anche essere esentato dal pagamento delle differenze retributive e contributive previdenziali, a condizione che non licenzi il prestatore di lavoro nei successivi dodici mesi per motivi economici.
In pratica, un lavoratore a progetto o finta partita iva, che dovrebbe fare, una volta che il decreto sarà ufficialmente legge dello Stato?
Se il datore di lavoro vuole approfittare della sanatoria e regolarizzare subito, converrebbe accettare, anche se questo comporta la rinuncia alle differenze pregresse, ma se la priorità è la stabilizzazione del rapporto mi sembra la decisione più saggia.
Negli altri casi meglio aspettare la conclusione naturale del rapporto o la scadenza del 31 dicembre e richiedere la qualificazione del rapporto al datore: se questi sarà disponibile, accettare comunque un compromesso sulle differenze pregresse, altrimenti impugnare il rapporto e chiedere tutto.

 

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