Balle di sapone

Saponi e detersivi, qualche informazione

Il sapone serve per lavar via lo sporco e viene preparato a partire da grassi o da olii, cioé proprio da quello che genericamente chiamiamo unto: in questo modo il problema (la pulizia dall’unto) fornisce esso stesso la soluzione (il sapone) in una brillante dimostrazione di ciò che può produrre l’umano ingegno.
Facendo reagire un grasso o un olio qualsiasi con soda caustica si ottiene il sapone, cioé una molecola molto simile a quella di partenza, e il meccanismo di funzionamento del sapone sfrutta l’affinità con la molecola di partenza per rimuovere lo sporco da pelle e tessuti; in pratica, si sfrutta il principio secondo cui il simile scioglie il simile.

Il problema dei saponi è che rendono basica l’acqua in cui vengono sciolti, e una soluzione basica non rappresenta certo l’ideale per la salute dei tessuti, soprattutto di quelli delicati, né per la salute della pelle, come avrebbero potuto testimoniare le mani delle lavandaie di un tempo, rosse, gonfie e screpolate per l’esposizione prolungata a soluzioni alcaline.
Un problema collaterale è poi costituito dalle acque “dure”, cioé contenenti sali che in ambiente basico diventano insolubili e precipitano fornendo quei caratteristici aloni sul bordo delle vasche da bagno, rovinando i tessuti su cui vanno a depositarsi e rendendo opachi i capelli.

Per ovviare a questi problemi son stati messi a punto i detergenti di sintesi o “detersivi”, che non rendono basico l’ambiente di lavaggio; purtroppo i primi detersivi messi in commercio non erano biodegradabili, cioé non venivano smaltiti dai microorganismi e rimanevano nelle acque inquinandole.
Un altro problema dei detersivi è provocato dall’aggiunta di fosfati come additivi per legare a sé i sali che nelle acque dure potrebbero precipitare, perché i fosfati, una volta che le acque di lavaggio finiscono nei corsi d’acqua, agiscono come fertilizzanti sulle alghe che quindi crescono a dismisura consumando tutto l’ossigeno disponibile e provocando la morte dei pesci (eutrofizzazione).
Per questo motivo i fosfati non vengono più usati come additivi e si è trovato il sistema per rendere biodegradabili i detersivi; in ogni caso, la ricerca scientifica prosegue per mettere a punto soluzioni efficaci ai problemi che via via si presentano.
(A chi fosse interessato ad approfondire maggiormente questi argomenti, che personalmente trovo assai affascinanti,  segnalo questo articolo).

La mia opinione, ovvero: farsi il sapone in casa è da babbei.

E non solo per motivi pratici, eh!
Ma intanto cominciamo con quelli: per preparare il sapone si usa una sostanza irritante, pericolosa e inquinante come la soda caustica, e quindi:
se non si è sufficientemente attenti nel manipolarla ci si può far male
se non si è sufficientemente abili nell’eliminarla dal prodotto ottenuto si finisce col lavarsi la faccia e i vestiti con un sapone alla soda
se non si è sufficientemente accorti da neutralizzare gli scarti di reazione prima di eliminarli si finisce col buttare nello scarico sostanze parecchio inquinanti.

In realtà, i motivi pratici sono già ampiamente bastevoli a sconsigliare la stolta pratica di fabbricarsi il sapone a domicilio, ma la mia principale obiezione è di natura ‘filosofica’, di concezione del mondo e della vita, insomma di Weltanschauung, se m’è lecito applicare sì corposo concetto alle azioni di gente che era in bagno quando han distribuito l’intelligenza.

L’ingegno umano è riuscito a mettere a punto, quasi agli albori della nostra storia, un sistema geniale per risolvere il problema, piccolo finché si vuole ma tutt’altro che trascurabile, della pulizia dall’unto, s’è inventato dei prodotti di sintesi per ovviare agli inconvenienti che il sistema aveva ed è tuttora all’opera per offrire soluzioni sempre più efficaci e sempre meno problematiche, e costoro, in nome di una visione distorta dell’esistenza e per “non farsi fregare dalle multinazionali, brutte, sporche e cattive”, si fanno il sapone in casa, inquinando, facendosi magari male e ottenendo un prodotto che nella migliore delle ipotesi è comunque di suo un composto basico?
Strulli.

Farsi il sapone in casa rappresenta un modo d’intendere l’esistenza che non tiene conto di quanto la ricerca scientifica (quella che costoro odiano e temono perché la avvertono come aliena e nemica) abbia fatto e stia facendo per migliorare le condizioni di vita in mille modi a cui non facciamo neppure caso perché sono entrati nell’uso corrente e nell’abitudine.

Per esempio, prima che ci fossero gli shampoo la pulizia dei capelli non doveva essere questione proprio semplicissima, se nei secoli scorsi si faceva così ampio uso di parrucche e di acconciature coi capelli raccolti.
Raccontando la triste storia dell’infelice Tess dei d’Ubervilles, Thomas Hardy scriveva che la poverina, prima d’andare incautamente a trasferirsi in casa di chi doveva condurla su una china senza ritorno, lasciò che la madre avesse cura del suo aspetto lavandole i capelli, e costei “lavò i capelli della figlia con tale cura che una volta asciutti e pettinati sembrarono il doppio del solito”.
Ora, che razza di prodotti dovevano mai esser costretti ad usare alla fine del diciannovesimo secolo, se una cosa abituale come l’ottenimento di una chioma gonfia e voluminosa meritava d’esser menzionata come straordinaria?
E per di più quasi suggerendo che il rigoglio delle chiome della povera Tess avesse in qualche misura contribuito all’eccezionale quantità di sfighe che le dovevano piovere addosso lungo tutto il libro fino all’inevitabile, tragica conclusione.

Ma quelli che si fanno il sapone in casa non ci pensano, non pensano che stanno buttando nel water, assieme ai resti di soda caustica, anche centinaia d’anni di studio e di lavoro per il miglioramento delle condizioni di vita e per il progresso della conoscenza.
No, loro son convinti d’essere furbi e accorti perché gli pare di ribellarsi al “dominio” delle multinazionali (brutte, sporche e cattive, ma s’è già detto) e magari, già che ci sono, si ‘bevono’ pure la palla (è proprio il caso di dirlo) della biowashball, e con quello s’è detto tutto.

E, mentre si congratulano con se stessi perché “non si stanno facendo fregare”, coltivano la pia illusione del ritorno ai “buoni tempi andati” (altrimenti detta la “decrescita felice”), secondo cui torme d’illusi convinti che il passato rappresenti l’età dell’oro vanno in giro facendo più danni di uno sciame di cavallette, senza rendersi conto di tutte le comodità ed i vantaggi che la ricerca scientifica ci ha offerto e ci offre. E non dimentichiamo che se l’umanità avesse deciso di tornare sui propri passi anziché cercare soluzioni migliori ogni volta che una nuova scoperta rivelava qualche aspetto problematico, a quest’ora saremmo ancora a dormire sugli alberi per sfuggire ai predatori e a spidocchiarci vicendevolmente come forma di socializzazione.

A chi dubitasse che l’epoca più confacente a ciascuno è quella in cui si è nati consiglio il godibilissimo “La scelta di Hobson” di Alfred Bester: una lettura che a parer mio dovrebbe essere introdotta nelle scuole dell’obbligo.
Ma che questo prezioso spunto di riflessione sia sfuggito ai saponificatori casalinghi mi pare lampante, altrimenti non andrebbero in giro sospirando ed auspicando il ritorno ad una vita “più semplice e pulita, in cui i cibi erano genuini e non c’erano tutte le porcherie di adesso”.

Sì, vita semplice, eh?
Provate un po’ a farvi il bucato a mano, senza lavatrice e senza detersivi, senza acqua calda e magari senza acqua corrente, eppoi ne riparliamo.
E neppure mi soffermo sul dettaglio dello stiro senza corrente elettrica, altrimenti verrei colta da irrefrenabile ilarità pensando a costoro nel momento in cui realizzano che senza corrente non funzionano neppure moltissime cose a cui siamo tutti talmente abituati da darle per scontate.
E per fare la prova, basta vedere quel che succede quando manca la corrente: a me capita regolarmente d’esser presa in contropiede dall’accensione elettrica del gas del fornello che non funziona più, e una volta in cui ero particolarmente distratta ho temuto che si fosse rotto l’apricancello elettrico, visto che, senza corrente, il cancello non si apriva più.
Come dico sempre: per noi “civiltà” significa luce, acqua e gas.

Quanto alla pulizia della vita di un tempo, direi che ne ho parlato a sufficienza, ma, in caso servisse qualche dettaglio in più, basta pensare alla comodità degli attuali prodotti da applicare direttamente sulle macchie ‘difficili’, che sostituiscono efficacemente il vecchio sistema di trattare la macchia a secco con sapone di Marsiglia, sputarci sopra e strofinare.

Ma i cibi genuini e senza porcherie? Quelli una volta c’erano, diranno i nostri Vispiteresi.
Ma io, che Vispateresa non sono affatto (anzi, il più delle volte la visione di svolazzanti farfalle mi richiama alla mente i figlioletti di cotanta beltà, quei fetentissimi bruchi che sovente amano pasteggiare con le mie dilette rose), non posso fare a meno di pensare che la natura umana sia sempre la stessa, e quindi che la sofisticazione alimentare, ch’è il secondo mestiere più antico del mondo, sia sempre esistita.
Ma adesso, rispetto ad un tempo, ci sono fior di tecniche analitiche per rilevarla, perciò il rischio di mangiare pane fatto con farina contenente polvere di gesso, o cioccolata addizionata di polvere di mattone, oppure qualche altra “ricetta” partorita dalla fertile mente umana, è decisamente assai più basso di un tempo.
Quel che serve non è demonizzare il cibo che si trova al supermercato, ma una maggior conoscenza e anche un po’ di fiducia nelle tecniche analitiche che sono a disposizione adesso, così per esempio si potrebbe sensibilizzare un po’ l’opinione pubblica in modo da cercare di contrastare la scriteriata opera di smantellamento delle ARPA (Agenzie Regionali Prevenzione e Protezione Ambientale) ch’è attualmente in corso.

E d’altro canto le schermaglie tra chi fa il furbo e chi si difende son sempre esistite: testimonianza ne è che il termine “infinocchiare” deriva dall’antica abitudine dei venditori di vino di qualità discutibile di offrire alla clientela dei semi di finocchio, che falsa la percezione dei sapori, da sgranocchiare mentre bevevano.
Ma dagli imbroglioni non ci si difende illudendosi di tornare ad una mitica età dell’oro che esiste solo nella mente di chi si fa infinocchiare da idee che falsano la percezione della realtà, ma piuttosto informandosi e usando il buonsenso.
E questo è il motivo per cui io, che m’infurio come un puma a cui abbiano pestato la coda mentre era intento alla pennichella pomeridiana quando sento assurdità come quella di farsi il sapone in casa, dopo aver profusamente inveito contro la vita, l’universo, tutto quanto e soprattutto la stupidità umana, prendo carta e penna e mi metto a scrivere.

E, alla fine di tutti questi discorsi, non posso fare a meno di rimanere sbalordita dinanzi alle prodigiose capacità della mente umana, vero “monstrum” (nel senso di “cosa che incute meraviglia”), in grado d’inventarsi un sistema di pulizia geniale nella sua semplicità come il sapone, basato sul principio che “il simile scioglie il simile”, e poi di migliorarlo con i detersivi e di migliorarlo ancora con i detersivi biodegradabili, e che d’altro canto arriva fino a partorire un’assurdità come l’omeopatia, basata sulla teoria che “il simile cura il simile”, e poi riesce addirittura a peggiorarla con la storia della memoria dell’acqua, e a peggiorarla ancora con l’invio di ‘sta memoria via e-mail per guarigioni a distanza.

Per commentare un tale “monstrum” niente mi pare più adatto delle parole di Blaise Pascal quando scrive:
“Tutta la dignità dell’uomo è nel pensiero. Ma che cos’è questo pensiero? Quanto è sciocco!
Il pensiero è dunque una cosa ammirevole e incomparabile per sua natura. Bisognava che avesse ben strani difetti per riuscire disprezzabile. Ma ne ha effettivamente tali, che nulla è più ridicolo.
Quanto è grande per sua natura! Quanto è basso per i suoi difetti!”

G.D.E.

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