Will McAvoy asfalta Tze Tze

Lo scorso 14 Dicembre HBO ha trasmesso la puntata conclusiva di The Newsroom.

The Newsroom, per chi non la conoscesse, è una serie televisiva che segue la vita professionale e privata della redazione del telegiornale serale di ACN, un immaginario canale All News sullo stile della CNN. La particolarità di questo show scritto da Aaron Sorkin è stato il seguire a qualche anno di distanza dei reali fatti di cronaca come l’incidente della Deepwater Horizon, l’attentato alla maratona di Boston, la sparatoria dove la deputata Gabrielle Giffords è rimasta coinvolta, e l’uccisione di Bin Laden.

Aaron Sorkin (The Social Network, The West Wing, Codice D’onore) è specializzato nel raccontare i dietro le quinte: in West Wing abbiamo seguito lo staff e il presidente degli Stari Uniti, in Studio 60 il cast e gli autori di uno spettacolo ispirato a Saturday Night Live, in Sport Night la redazione di un programma sportivo. Il taglio di Sorkin è sempre molto simile, e lo stile è talmente marcato che esiste il termine “Sorkinisms” per definire alcune situazioni, alcune idee comuni, e alcune figure retoriche nei suoi lavori.

Sorkin è elitario, e questo si traduce nell’idea che esista una elite dei media che dovrebbe essere l’unica realmente deputata a riportare le notizie; allo stesso modo Sorkin ha sempre avuto idee molto radicali su internet e i suoi utenti, dipinti da lui come delle persone in pigiama, o dei basset hound.

Come potrete intuire l’ultima stagione è stato un susseguirsi di bordate dirette contro il cosiddetto “giornalismo partecipativo” e soprattutto contro i siti di gossip mascherati da siti di notizie in controtendenza. In pratica se la son presi con Tze Tze.

The Newsroom non è certamente il lavoro migliore di Sorkin, e anzi la retorica un po’ troppo spinta tipo “ecco Sorkin che ci spiega il bene e il male” e l’effetto telenovela con le vicende sentimentali dei personaggi che occupano – a differenza di west wing – una buona fetta della trama, ma nonostante questo vi invito a recuperarla perché in questi 25 episodi possiamo vedere quello che idealmente potrebbe essere un giornalismo non sensazionalista ma neppure neutro, che stimola e provoca piuttosto che coccolare gli spettatori, un giornalismo come non esiste più e come forse non è mai esistito.

Perché il problema delle notizie sensazionalistiche su internet scritte nell’ottica di ricevere click, commenti, e condivisioni è solo l’ultimo stadio di un processo di “mercificazione” delle notizie che è cominciato, non solo in Italia, almeno dagli anni ’80. Le notizie sono diventate spettacolo, intrattenimento; i programmi di dibattito politico sono diventate simili agli incontri di wrestling e altrettanto preparate a tavolino; le notizie importanti sono stati rimpiazzate con le notizie che fanno indignare e quelle che fanno commuovere; da Vermicino in avanti i grandi drammi di nera sono diventati una occasione per mettere in scena un reality show.

Internet per me quindi non ha delle terrificanti colpe, è solo arrivata dopo, è più aggressiva e a metriche diverse e più immediate che garantiscono al responsabile del webmarketing – che ha sostituito il caporedattore – un feedback molto rapido su cosa funziona e cosa no, ed è per questa ragione che non si arresterà la spirale dei lanci tipo “La gelatina viene ottenuta per estrazione dai tessuti connettivi di…” o dei titoli tipo “Papa Francesco all’Angelus: “Sia un Natale libero dalla…” con i puntini di sospensione che giocano sull’istinto umano di scoprire la fine di una frase regalando un click.

L’unico strumento che rimane a chi vuole evitare di rimanere sommerso in questo meccanismo è il trovare un proprio modo di informarsi: andare alle fonti, magari leggendo le agenzie di stampa, in particolare quelle legate alla finanza o ad altri settori professionali, che quindi non hanno la necessità di sensazionalizzare, ma se mai il contrario. Leggere un lancio e cercare una fonte, se si parla di uno studio scientifico, cercare lo studio scientifico, se non si è in grado di capire cercare un esperto, cercare più fonti, leggere più punti di vista.

In breve, se i giornalisti non sono più interessati a fare il proprio mestiere occorre che ognuno diventi giornalista di se stesso. E se poi volesse veramente fare bene, dovrebbe evitare di pubblicare, condividere, o dare in altro modo risalto a tutto il materiale scritto biecamente per catturare click.

L’informazione è ciò che forma il nostro punto di vista: non rimaniamo vittime di quelli che pensano sia un veicolo per propinarci pubblicità.

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