Rwanda 2 – disgregazione sociale

Razza

Un medico belga di nome J. Sasserath, descrisse i Tutsi come: “un popolo semitico con il naso diritto e le labbra sottili, appartenenti alla razza dei signori, riservati, distanti, educati e furbi” mentre gli altri, gli Hutu “sono timidi, sporchi e pigri che formano la massa degli schiavi”. Léon Classe, primo vescovo del Ruanda affermò che: “i Tutsi hanno qualcosa di tipo ariano e di tipo semitico”. J. Ghislain, amministratore del Ruanda, scrisse: “l’Hutu è, come è stato spesso ripetuto per i negri, un grande bambino, superficiale, leggero, volubile. Anima servile e abitudini come branchi di bestie”.

 

 

Come accennato nell’articolo precedente, questo rigido schema razziale è servito da modello per impostare la politica coloniale belga, tanto che il Paese venne suddiviso in tre categorie etniche, nettamente distinte secondo l’influenza data dall’aspetto fisico, dall’altezza, dalla forma del naso e dalle labbra, nonostante Twa, Tutsi e Hutu possedessero la stessa cultura, la stessa lingua e la stessa storia. Una delle valutazioni per la classificazione fu anche una curiosa base quantitativa: chi possedeva più di 8 vacche era considerato fra i Tutsi, chi meno di 8 vacche era Hutu.

La distinzione con il nome dell’etnia venne imposta sui documenti di identità di tutti i ruandesi, dicitura rimasta fino all’abolizione da parte dell’attuale presidente Paul Kagame.

 

Divisione

I belgi attuarono da subito una politica di epurazioni e di rimodellazione dei costumi sociali, licenziarono i funzionari Hutu da tutte le alte cariche sostituendoli con altrettanti giovani Tutsi inesperti, rigorosamente cattolici e scolarizzati presso scuole cattoliche. L’accesso scolastico superiore, infatti, venne riservato solamente all’etnia Tutsi. Distrussero completamente il tessuto sociale storico per sostituirlo con un’elite di amministratori e alti funzionari scelti fra i Tutsi di fiducia, che gestissero il paese per conto loro, senza curarsi delle esperienze acquisite o delle rappresentanze, ma usando il parametro razziale accostato alla fedeltà cattolica, alimentando così le differenze e conseguentemente le tensioni fra i due gruppi.

Soppressero la tripla rappresentanza, attraverso la quale tutti i componenti della nazione ruandese avevano i loro delegati nelle sfere dell’amministrazione, per sostituirla con la rappresentanza unica scelta nell’élite delle famiglie Tutsi.

A partire da quel momento il potere verrà percepito come Tutsi e i Tutsi considerati come dei tiranni feudali.

 

Mutara III Rudahigwa

 

Contemporaneamente il Ruanda fu letteralmente invaso da ecclesiastici e missionari (che nel tempo fecero diventare il paese uno dei più cristiani dell’Africa, con il 65% di cattolici e il 15% di protestanti) attraverso i quali la Chiesa ampliò la sua autorità anche al punto da far detronizzare il mwami Musinga perché troppo autonomo e contrario allo strapotere della Chiesa stessa, facendolo rimpiazzare con il figlio cattolico Mutara III Rudahigwa.

 

Odio

Inizialmente i rapporti fra le etnie continuarono come sempre, i matrimoni misti venivano celebrati come prima e le relazioni si mantenevano cordiali, tuttavia con il tempo, per ogni studente educato alla superiorità e all’inferiorità della razza, l’idea di una identità nazionale collettiva si perdeva velocemente. I Tutsi ai vertici si vedevano equiparati ai bianchi, quindi secondo le teorie camitiche di Speke, etnicamente superiori alla massa del popolo ignorante degli Hutu e con la scolarizzazione, superiori anche culturalmente.

Il tempo accentuò le differenze e la politica belga non fece nulla per smorzare ogni tipo di dissidio e di divisione, tanto gli giovava per consolidare indirettamente la sua forza sul Paese (divide et impera). Il malumore degli Hutu crebbe proporzionalmente al potere che la colonizzazione belga affidava ai Tutsi, la tensione sociale si sviluppò fino a diventare, alimentato dalle teorie razziali, un vero e proprio odio etnico-razziale.

 

 

I missionari fiamminghi, che forse si riflettevano nella maggioranza Hutu governata dalla minoranza Tutsi, come in Belgio la minoranza francofona aveva più potere della maggioranza fiamminga, cominciarono a sostenere gli Hutu.

Inoltre, essendo passato il Ruanda da qualche anno sotto osservazione dell’ONU, l’amministrazione belga fu obbligata ad aprire le scuole secondarie anche agli Hutu, così nel 1957, sotto pressione del vicario apostolico, fu pubblicato, da una nuova classe di intellettuali cattolici Hutu, il “Manifesto dei Bahutu” che pur avendo rivendicazioni in apparenza moderate, creò una frattura insanabile.

Nel manifesto venivano descritti i Tutsi come una razza coloniatrice, anche peggiore degli europei, una razza minoritaria straniera, arrivata dall’Abissinia, che sfruttava le popolazioni Hutu, gli unici veri ruandesi.

A questo punto la frattura era ormai inconvertibile e qui vorrei fare una riflessione su come delle amenità scientifiche, unite all’oblio storico e alla distruzione dell’assetto sociale di un Paese, possano condizionare in modo radicale le menti e di conseguenza la storia futura di una comunità.

Ci sono diversi modi per abusare di un popolo, anche senza fare uso della violenza, uno di questi è quello di svuotarlo delle sue origini, delle sue tradizioni e di creare i presupposti perché si crei odio e rancore all’interno di esso e i popoli del continente africano, e non solo, sono stati spesso oggetto di questo genere di abuso.

 

Rivoluzione

Nel 1959 in seguito alle aspirazioni indipendentiste dei Tutsi ci fu un immediato cambio di alleanze da parte dei belgi che cominciarono a sostenere gli Hutu. Il giorno di Ognissanti un attivista Hutu fu picchiato da un gruppo di attivisti Tutsi e si sparse la voce fosse morto. Non era morto, ma bastò per accendere la scintilla.

Nonostante la stampa mondiale, dopo il genocidio, abbia sempre parlato di “secolare” conflitto fra i gruppi etnici Hutu e Tutsi, mi piace ricordare, per l’affetto che nutro ancora verso quel paese, che, fino a quell’aggressione, non si era mai verificata alcuna violenza politica fra le due etnie, in nessun luogo.

 

 

Fu l’inizio della guerra civile che passò alla storia con il nome di “rivoluzione sociale” e quello che doveva essere il rovesciamento della monarchia e della casta Tutsi con la proclamazione della Repubblica Ruandese, si trasformò nel massacro della festa di Ognissanti, dove decine di migliaia di Tutsi furono sterminati, spogliati dei loro beni e le loro case incendiate, incoraggiato dal potere coloniale (che incitò alla ribellione e assistette indifferente al massacro) e dai poteri ecclesiastici: “ammazzare un Tutsi non è peccato, è come ammazzare un comunista”. Molti fuggirono nei paesi limitrofi.

Tre anni dopo, nel 1962 la Repubblica Ruandese ottenne l’indipendenza, con Grégoire Kayibanda, Hutu del sud, capo dello Stato. L’anno successivo proseguì la caccia e il massacro di Tutsi, che continuarono a rifugiarsi nei paesi confinanti, soprattutto in Uganda, in Zaire, in Burundi, ma anche nelle Americhe e in Europa.

Quelli rimasti vennero discriminati da un sistema di quote che gli impedì l’accesso agli studi superiori e al lavoro, mentre i nuovi rivoluzionari ruandesi iniziarono le lotte intestine fra le élites Hutu, imitando le dispute feudali dei precedenti clan Tutsi e compiendo gli stessi abusi degli uomini contro cui si erano ribellati, come avviene frequentemente nelle rivoluzioni.

 

Juvénal

Nel 1973 Habyarimana Juvénal, Hutu del nord, prese il potere con un colpo di stato, fondò un partito unico, il MRND e fece scrivere una nuova costituzione dove ogni cittadino sarebbe stato iscritto al MRND sin dalla nascita.

Nel contesto dei paesi africani il Ruanda era un paese un po’ meno povero, se raffrontato con la miseria del confinante Zaire di Mobutu poteva sembrare addirittura ricco. Pur senza risorse riusciva a destreggiarsi nella jungla degli aiuti internazionali, ai cui investitori il Ruanda appariva un Eden in confronto a dittatori legati ad una delle due superpotenze della Guerra Fredda, che governavano i rispettivi paesi assassinando e razziando, circondati da ribelli che gli si opponevano e dai quali i cooperanti stranieri ascoltavano solo retoriche antimperialiste.

Il Ruanda era un posto tranquillo, con buone strade, bassa criminalità, alta affluenza nelle chiese e standard di istruzione e salute in crescita. L’ideale per un burocrate che voleva investire una certa somma di aiuti e voleva portare ai suoi superiori dei risultati annuali incoraggianti, senza mentire. Così riceveva palate di soldi dal Belgio, aiuti militari dalla Francia, la Svizzera spendeva più soldi per il Ruanda che per qualunque altra nazione. E ulteriormente Washington, Bonn, Ottawa, Tokyo e il Vaticano.

Poi improvvisamente nel 1986 i costi dei principali prodotti di esportazione ruandese, il tè e il caffè, crollarono e cominciarono i primi guai. L’FMI chiese al governo un aggiustamento strutturale e il bilancio governativo venne quasi dimezzato, aumentarono le tasse e venne incrementato il lavoro forzato.

 

 

Nel 1988 Habyarimana fu rieletto con il 90% dei voti, mentre nello stesso anno i Tutsi in esilio crearono in Uganda il Fronte Patriottico Ruandese (FPR). Cominciarono a uscire allo scoperto i dissidi interni e a chiedere un piano di riforme, seguito da un periodo di repressione.

L’anno seguente le potenze occidentali, uscite vittoriose dalla caduta del muro di Berlino, iniziarono a spingere verso un piano di democratizzazione, in particolare il maggiore sponsor straniero, Francois Mitterand, forzò a tal punto che Habyarimana a malincuore comunicò essere giunta l’ora di una apertura multipartitica, una dichiarazione che invece di entusiasmare, diffuse molta preoccupazione.

Nel 1990 una forza dell’FPR entrò dall’Uganda e attaccò il Paese, occupando i territori ruandesi del nordest vicini al confine, iniziò il conflitto che fu subito seguito da una rappresaglia del governo con l’arresto di migliaia di Tutsi in tutto il territorio nazionale.

Il 4 ottobre, su decisione di Mitterand, i francesi intervennero nelle ostilità inviando al fronte gli uomini del 2° reggimento paracadutisti dislocati nella Repubblica Centrafricana, seguiti dai belgi e dagli zairesi di Mobutu.

Gli zairesi, più propensi all’alcool, al saccheggio e allo stupro, che alla guerra, furono pregati di ritornare a casa e così fecero, i belgi si stancarono subito dopo, mentre i francesi furono determinanti, anche successivamente, per respingere le truppe dell’FPR, nonostante una convenzione firmata da Francia e Ruanda nel 1975, proibisse il coinvolgimento di truppe francesi in combattimenti e operazioni di polizia in Ruanda.

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