OK Il Prezzo è Giusto

Questa settimana c’è stata un po’ di polemica in seguito all’aumento dei prezzi degli iPhone giustificato con l’introduzione della tassa sull’equo compenso. La SIAE ha accusato Apple di praticare prezzi più alti in Francia rispetto all’Italia nonostante li l’equo compenso sia più alto, ma l’idea che ha la gente comune è che apple costi di più in italia per via delle tasse più alte.

Chi ha ragione?

Nessuno dei due.

La scelta di un prezzo è infatti qualcosa di più articolato del semplice sommare le tasse al costo base del prodotto. In questo post proveremo con qualche esempio non esaustivo ad addentrarci nella complessa, quanto affascinante, materia del pricing.

Il mercato

Il mercato è il luogo nel quale si incontrano domanda e offerta, ovvero disponibilità di un prodotto e richiesta di un prodotto. Il prezzo è determinato dall’incontro tra la domanda e l’offerta.

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Partiamo dalla forma più aderente al concetto teorico di mercato, dove il prezzo non è prestabilito: la trattativa.

Nella trattativa il mercante ha il suo magazzino di beni e l’acquirente decide di comprarne un po’: non c’è un prezzo fissato, e le due parti devono arrivare ad un compromesso. Può esserci una terza parte che agevola il raggiungimento di questo compromesso, prendendo solitamente una percentuale: questa persona si chiama broker. Un esempio di broker con cui avrete più o meno avuto tutti a che fare è l’agente immobiliare. Quel tipo di lavoro è, se vogliamo, alla base della decisione di un prezzo. Un prezzo è comunque sempre un compromesso tra due parti.

Tutto qui? Direi di no.

Il supermercato

Tutti andiamo al supermercato giusto? Bene. In un supermercato i prezzi non sono trattabili, non c’è un broker che mette d’accordo le parti, ma c’è qualcuno che decide a priori i prezzi nell’interesse del supermercato, l’interesse del supermercato è principalmente vendere la merce prima che questa deperisca, e inoltre vendere sempre più merce. Un supermercato solitamente fornisce una scelta di più elementi per la stessa classe di prodotto: ad esempio potremmo avere diverse marche di maionese, o anche per la stessa marca diversi formati della confezione.

Partiamo dai formati: una cosa divertente che mi è capitata facendo caso ai prezzi per i diversi formati dei vasetti di maionese è scoprire che lo stesso vasetto aveva lo stesso costo al kg nella confezione da 200, 800 grammi ma aveva un prezzo al kg leggermente inferiore per la confezione da 500 grammi. Questo perché la maionese indipendentemente dal formato non ha un ricarico particolarmente elevato, e anche probabilmente perché il supermercato ha rilevato che la confezione da 500 grammi non è particolarmente preferita e che, magari, in estate con le grigliate il consumatore si orienti su quella da 800 senza guardare il prezzo al kg; oltre a questo naturalmente c’è un fattore dovuto ad un arrotondamento ad una cifra accattivante e pratica.

Accattivante: 9.99 è generalmente più accattivante di 10.00, anche se oramai questo trucchetto è talmente abusato da essere stato modificato in ad esempi 9.70, che è meno palese.
Pratico: lavorando in contanti un supermercato preferisce cercare di avere i conti con cifre tonde per evitare di perdere tempo alla cassa con i resti. Una cassa più veloce vale quei pochi centesimi di arrotondamento, se poi chi determina i prezzi arrotonda a rialzo è ancora meglio. Alcune casse automatiche scontano direttamente i centesimi per accelerare i tempi, poche cose infatti fanno dispiacere ad un supermercato se non un acquirente che rinuncia ad un acquisto per via di una coda alla cassa.

I supermercati, oltre al prezzo, agiscono su un altro fattore per influenzare le decisioni, ovvero la posizione del prodotto sullo scaffale. Questa è una disciplina a parte che richiede altri libri rispetto al prezzo, ma giusto per spiegare quanto le cose non sono lasciate al caso dico solo che nella grande distribuzione organizzata si usano i planogrammi, ovvero dei diagrammi che mostrano come devono essere disposti i prodotti

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Nespresso: l’idea del lusso

Forse non lo sapete, ma il brevetto per le macchine a capsule Nespresso risale al 1976. Era una idea un po’ balzana emersa come progetto laterale dell’azienda leader del caffè solubile e di molti altri beni di largo consumo, certamente non una azienda che avesse mai provato a vendere beni di lusso.

Nespresso provò ad entrare sul mercato nel 1982 come macchina per il caffè per gli uffici: formula classica, macchina “gratis” a patto di acquistare un certo numero di capsule ogni mese. Fu un fallimento.

Nel 1988 Nestlè cambiò il CEO di Nespresso, a quel punto il ramo aziendale era più che altro un peso che aveva un sacco di macchine del caffè a prendere polvere. Il nuovo CEO ebbe una intuizione: smettere di vendere agli uffici, e concentriamoci sulle high-income household, ovvero le famiglie discretamente ricche, proponendo un caffè di lusso, un caffè “come al bar” (non stiamo naturalmente parlando ancora di mercato italiano, ma pariamo di mercati dove il caffè è un discreto lusso).

Per fare questa naturalmente Nespresso studiò una strategia di vendita diretta che escludeva i supermercati: i supermercati non sono visti come venditori di lusso, ed è per questo che tutt’ora le capsule nespresso sono in vendita solo in una stretta schiera di negozi come la Rinascente; oppure per posta e via internet. Un bene di lusso, con un prezzo di lusso: quando si compra una capsula nespresso è più per la scena di comprare dalla Rinascente, e per il trattamento “alla George Clooney” che si paga il prezzo. Il prezzo è quindi artificialmente alto per una pura questione di esclusività del prodotto.

Inoltre la differenza di prezzo mette al riparo nescafè dal possibile “cannibalismo” da parte del ramo di lusso. Molte altre compagnie hanno provato a lanciarsi nel business model di Nespresso, non ultima Heineken che ha creato The Sub con la quale vende la stessa birra ricaricata di circa 1€\l ma con un design che sta benissimo in un attico milanese.

I mercati digitali

I mercati digitali sono un altro mondo affascinante: non c’è un magazzino da svuotare, il costo di gestione è minimo, e il prezzo può letteralmente passare da 59€ a 5€ nel giro di pochi mesi. Una delle prime caratteristiche del mercato digitale è che il prezzo può essere cambiato senza sforzo e senza pensarci troppo: non avendo costi di gestione e magazzini da svuotare posso decidere che per chi si affretta – solo oggi – il prodotto è in vendita con l’80% di sconto. Con questo meccanismo posso prendere tutta una fascia di utenti che non è realmente persuasa nell’acquisto ma che è comunque interessata al prodotto, ma che grazie alla combinazione tra urgenza dell’offerta limitata nel tempo e prezzo estremamente competitivo è disposta a spendere quei 4€. E son tutti contenti: l’utente comunque non avrebbe mai aperto il portafogli per uno sconto minore, o per il prezzo pieno, e il venditore ha venduto una copia immateriale in più, e il bello dei beni immateriali è che non ci perderai mai.

Quale è il problema? Che il consumatore si abitua ai saldi e decide che online comprerà solo ed esclusivamente prodotti con lo sconto. Questo non è in realtà un problema per il mercante che può praticare questi sconti su un ampio catalogo e marginare poco da tanti prodotti, ma è un enorme problema per il piccolo produttore che crea – ad esempio – un videogioco all’anno e con quello ci deve campare. Se non riesce a venderlo a prezzo pieno perché il broker droga il consumatore con sconti continui, allora questo è un problema che richiede al piccolo produttore di rivedere le sue strategie di vendita: se questo argomento può interessare ne avrei per un post a parte

Mercati sfaccettati

Dove guadagnano i soldi Xbox e Playstation? Dalla vendita delle console? Sbagliato
Dalla vendita dei videogiochi.

Il mercato delle console crea dei prodotti molto costosi di alta tecnologia: questi prodotti a prezzo pieno non riuscirebbero ad andare sul mercato perché il prezzo troppo elevato li renderebbe esclusiva di pochi. Se una console non è venduta in tante unità allora nessuno sviluppatore perderà tempo e soldi per creare giochi che potrà vendere ad un mercato ridotto. Per questa ragione le console sono vendute parecchio sottocosto.

Chi produce le console poi guadagna su

  1. Vendita della licenza per lo sviluppo dei videogiochi
  2. Royalties sulla vendita di giochi di terzi
  3. Commissione sulla vendita online nello store integrato
  4. Prezzo intero sui giochi sviluppati internamente
  5. Licenza sugli accessori

Quindi chi decide il prezzo di una console dovrà andare a decidere tutti i prezzi qua sopra facendosi una idea di come reagirà il mercato e i competitor: ogni tanto gli va di lusso ed è un successo, ma se si sbaglia può capitare che non si vendano abbastanza console per far partire la giostra, o che i ricavi sui singoli elementi siano troppo bassi anche dopo aver venduto milioni di unità.

iPhone: tutto quello che abbiamo detto fin’ora, e di più

Torniamo ora al nostro iPhone che costa di più in Italia che in Francia
A determinare il suo prezzo abbiamo:

  1. Domanda e offerta: quanto è desiderato uno smartphone? Quanto si è disposti a pagare?
  2. Supermercato: i competitor quanto riescono a sgomitare? Devo abbassare il prezzo per stare in linea con i miei compagni di scaffale?
  3. Lusso: il mio prodotto è certamente un oggetto di lusso. Ha senso svendermi?
  4. Mercato digitale: l’offerta su iTunes italia è tale da permettermi di dominare il mercato o altri mercanti di contenuti digitali e non mi battono? e la pirateria?
  5. Mercati sfaccettati: ma tu cliente italiano mi compri il telefono per tenerlo in borsetta, oppure poi mi ci compri anche tante belle app da mio app store?

Come vedete quindi decidere il prezzo giusto è una impresa titanica che varia molto in base al mercato di riferimento: le tasse sono certamente un fattore, ma nella determinazione del prezzo possono essere limitate: non stiamo vendendo hamburger, stiamo vendendo un prodotto complesso dal quale derivano potenziali altri acquisti, esattamente come accade per le console. Se nel paese tutti hanno già un iPhone perché è di moda non c’è ragione di essere aggressivi per prendere quote di mercato, al contrario se la base di utenti non ci soddisfa proviamo a scendere di prezzo.

Ma non è tutto: stiamo vendendo un telefono e quindi dobbiamo sempre fare i conti con le compagnie telefoniche.
Le compagnie telefoniche danno il tuo prodotto in comodato d’uso, e sono loro che in realtà inonderanno il mercato di potenziali consumatori di prodotti iTunes, per questa ragione il prezzo del tuo telefono è principalmente deciso da loro. Apple infatti non dovrà mai andare in concorrenza con le compagnie telefoniche e dovrà mantenere il prezzo del suo prodotto sempre allineato con quello che potrebbe essere un “acquisto rateale” mascherato nel canone di utilizzo.

Il mondo è sempre più complesso di quanto la mente che dice “è tutta colpa della Kasta!!!11!” possa mai immaginarsi.

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