Lehman Brothers

Mi ricordo i titoli dei giornali dopo “il più grosso fallimento della storia”. Alcuni addirittura mettevano in discussione il “capitalismo” inteso come insieme di regole di mercato che tutelavano, con la sua autoregolamentazione, il corretto andamento delle società moderne e liberali.


Era il 15 settembre 2008. Una data storica. Non era una data di una dichiarazione di guerra, di una rivoluzione militare o civile, non erano crollati muri, né crollati regimi totalitari. Ma sempre di data storica — per me — si trattava. La storia recente si conosce; dal default della banca americana alla seguente crisi economica poi sfociata nella crisi — solo europea — del debito statale (o per meglio dire di alcuni paesi europei in particolare).


Allora conviene andare a vedere cosa è successo sul nostro “stile di vita” dopo quella data. Non esistono — evidentemente — dati in grado di fotografare con precisione “come si sta” in un determinato periodo, al limite si possono guardare alcuni indicatori per avere un’idea sulla ricchezza/povertà di una società/stato.


Un dato abbastanza indicativo può essere il PIL corretto per il potere d’acquisto e diviso per la popolazione. Non è evidentemente esaustivo per motivi noti e stranoti, non è un indicatore di felicità (non credo ne esisteranno mai) ma comunque sapere cosa si può comprare, quanti soldi si possono dedicare per gli svaghi ecc ecc in un determinato periodo, può dare indizi per cercare di leggere la realtà che ci circonda.


Questi sono i dati dell’Italia, Germania, UK e USA dal 1998 fino al 2014. I dati sono presi dal sito dell’organizzazione OECD.



Dati OECD, nota: Data are internationally comparable by following the System of National Accounts. This indicator is measured in USD per capita (GDP per capita) and in million USD at current prices and PPPs.

Questi dati invece sono presi da Eurostat e mostrano il livello di “ricchezza” medio delle quattro principali nazioni europee, l’Italia, la Germania, la Spagna e la Francia calcolando il pil per capita in euro (il secondo grafico utilizza l’indice della media EU a 28 paesi messo a 100).

La metodologia dei dati del secondo grafico è diverso rispetto al calcolo del PIL PPA per capita ed è spiegato nella nota seguente di Eurostat.

Gross domestic product (GDP) is a measure for the economic activity. It is defined as the value of all goods and services produced less the value of any goods or services used in their creation. The volume index of GDP per capita in Purchasing Power Standards (PPS) is expressed in relation to the European Union (EU28) average set to equal 100. If the index of a country is higher than 100, this country’s level of GDP per head is higher than the EU average and vice versa. Basic figures are expressed in PPS, i.e. a common currency that eliminates the differences in price levels between countries allowing meaningful volume comparisons of GDP between countries. Please note that the index, calculated from PPS figures and expressed with respect to EU28 = 100, is intended for cross-country comparisons rather than for temporal comparisons.”

Sempre da Eurostat si possono vedere i tassi di crescita reale del prodotto interno lordo. Ho messo nel primo grafico l’Italia e la Germania e nel secondo l’Irlanda e la Grecia; le prime tre nazioni hanno un andamento simile a W (con la Germania ovviamente con crescita sempre o quasi positiva e con valori diversi) mentre l’Irlanda, che fu la prima ad avere problemi economici e fiscali in Europa, sembra aver avuto un andamento uguale (sempre in termini relativi) alle prime due nazioni ma diverso dalla Grecia, i cui tassi di crescita (o di decrescita si potrebbe dire) disegnano una curva che somiglia più ad una V.

Cosa ci dicono questi — parziali — dati e grafici è cosa nota. E cioè che stati con fondamentali forti e con un’economia reale strutturata riescono ad uscire da una crisi. L’uscita ha “scadenze” simili e andamenti sovrapponibili per tutti i paesi europei confrontabili ma è molto diversa per valori. Questa differenza di valori (o per meglio dire: di produzione di ricchezza, e quindi di uscita veloce dalle difficoltà economiche) è dovuta probabilmente ad una diversa struttura burocratico amministrativa ed ad una migliore produttività in senso generico (legislazione sul lavoro, tribunali ecc ecc).


Rimane il fatto che — a livello di ricchezza propriamente detta — dal 2008 ad oggi si è avuto un rallentamento considerevole nella crescita del reddito pro capite, soprattutto per i paesi dell’Europa meridionale. Per completare l’analisi bisognerebbe verificare anche l’indice di disuguaglianze in USA, UK e Europa in quanto il reddito pro capite nei grafici è appunto un valore medio. Mancano anche paesi come Cina e Brasile per completare la “fotografia” del dopo Lehman Brothers.


Si può dire che il “cataclisma” non si è avverato. E’ evidente che la scelta della così detta austerity non poteva che portare ad una situazione di crescita nulla e ad una sostanziale tenuta della “struttura” politico economica dell’Europa e dell’euro; questo forse era l’unico obiettivo che i decisori pubblici (sia politici che economici) si sono dati. Non si può sapere cosa sarebbe successo se si fosse intrapresa una politica economica diversa. Allo stato attuale si può dire tutto e il contrario di tutto, quindi secondo me bisognerà aspettare ancora un po’ di tempo prima di dare un giudizio economico e politico.


Per quanto riguarda gli eventi economici sistemici è necessario analizzare i dati pre e post evento. Ad esempio verificare come un paese si scosta dalla media della sua macroregione di appartenenza (oppure con paesi comparabili di macroregioni differenti). La verifica è interessante se si prendono i dati pre-crisi e dopo crisi per analizzare le “risposte” che i paesi riescono a dare; in altre parole il livello di flessibilità di uno stato moderno di fronte ai cambiamenti socio-economici.


E’ del tutto ovvio che i parametri pre-crisi servono come riferimento.

Ecco i dati di OECD sulla crescita/decrescita del prodotto interno lordo di Italia e Germania comparati con i paesi a sviluppo avanzato di cui sono disponibili i dati; i paesi in questione sono membri dell’organizzazione di statistica e sono chiamati nel grafico paesi OECD

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Metto due grafici: il primo riferito agli anni 1999-2007, il secondo 2008-2014.

Come si vede — pur partendo da valori simili — gli anni 2000 hanno messo in evidenza come la Germania abbia affrontato meglio dell’Italia sia il passaggio alla moneta unica sia la crisi derivante dal fallimento della banca americana, e poi sfociato nella ormai famosa questione della sostenibilità del debito pubblico degli stati europei.


Si potrebbe pensare che l’adesione alla moneta unica abbia sfavorito il nostro paese rispetto alla media dei paesi con la stessa valuta ma questa ipotesi non è rilevante né economicamente né storicamente perché non è possibile avere una contro prova. E’ stata una decisione politico-monetaria. Si può discutere se — ipotizzando l’adesione all’euro come anno 0 di una nuova economia — l’Italia abbia più difficoltà economiche rispetto agli altri stati con moneta unica. Qui non serve, ovviamente, il paragone con i paesi OECD ma con i soli “paesi euro“. E si nota come, sebbene i valori siano più bassi della media euro — cosa che qui non conta –, il trend è del tutto sovrapponibile con la media dei paesi euro. Per completezza ho anche messo la media europea a 28 nazioni, e cioè comprendente tutti gli stati della UE.

 

 

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