La Salvaguardia della Vita Umana in Mare – Perchè si salvano gli immigrati clandestini

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Ho posto un titolo forse provocatorio, perchè da troppa gente oramai ascolto domande del tipo “perchè andiamo a recuperare i clandestini vicino alle spiagge da cui partono?”

Qui non voglio fare discorsi buonisti od etici, che’ mi sembrano pleonastici se pensiamo di vivere in una società avanzata, etica, solidale e pure cattolica.

Voglio solo mostrare che queste attivita’ di soccorso, al netto delle coscienze di chi li ascolta e vede, spesso morire, in acqua, sono un OBBLIGO DI LEGGE.

 

Cenni storici

La salvaguardia della vita umana in mare, e quindi la tutela della sicurezza della navigazione, fino all’inizio del 20° secolo erano state considerate  attività di competenza  dei singoli Paesi marittimi, gestite con frammentari ed insufficienti regolamenti, per lo più concernenti regole di navigazione e rivolte, esclusivamente, alle proprie navi.

All’inizio del 20° secolo, stimolati anche dal verificarsi di disastrosi eventi di naufragi e ingenti perdite di vite umane in mare, i più evoluti Stati marittimi si resero conto che tale delicata materia non potesse essere disciplinata da iniziative singole e locali, ma affrontata in modo collegiale e collaborativa tra gli Stati con interesse marittimo in modo di potere anche mettere a fattor comune diverse esperienze e competenze.

Una pietra miliare di questa nuova tendenza di affrontare le problematiche relative alla sicurezza delle vite umane in mare è rappresentata dalla 1^ Conferenza internazionale, tenuta al Londra nel 1912, dedicata per la prima volta al Soccorso in Mare, alla quale parteciparono solo i più importanti  Stati marittimi europei. Questo evento si può considerare la nascita di tutto quel complesso di norme, procedure, mezzi e organizzazioni al quale oggi, a livello mondiale, è devoluta la responsabilità e la conduzione delle attività di Soccorso in Mare, a garanzia della salvaguardia delle vite umane.

Successivamente al 1912, si sono svolte numerose altre conferenze con la partecipazione sempre più ampia di Stati marittimi, dedicate alla trattazione di tutti gli argomenti attinenti, in generale, alla sicurezza della navigazione e quindi, in ultima analisi, alla salvaguardia della vita umana in mare e al Soccorso in Mare: norme sulle comunicazioni, definizione sugli standard di sicurezza, sia dal punto di vista costruttivo del naviglio, che delle dotazioni e dell’addestramento del personale. Ogni conferenza riassumeva i lavori svolti in una Convenzione sottoscritta dai Paesi partecipanti che si impegnavano in tal modo al rispetto di quanto stabilito.

Di particolare importanza fu la terza Conferenza, convocata a Londra nel 1948, che produsse la Convenzione SOLAS (Safety  Of Life At Sea) – 48 che vide l’adesione di 36 Stati, tra cui l’Italia.

Nel corso di questa conferenza fu costituito il primo Organismo Intergovernativo di Coordinamento tra gli Stati in materia di Sicurezza della navigazione e Salvaguardia della Vita Umana in mare, L’IMCO (Intergoverment MaritimeConsultive Organization). L’IMCO, in particolare, aveva la responsabilità della revisione delle norme di sicurezza a tutela della vita umana.

L’IMCO, si è poi trasformato nell’attuale IMO (International Maritime Organization), Agenzia dell’ ONU che cura la progettazione di Convenzioni internazionali.

 

Quadro normativo

“La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo”, afferma che:

“ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona”. Questa affermazione, molti organismi nazionali e internazionali, come lo statuto dell’ONU, riconosce un carattere prioritario al diritto alla vita.

Il diritto alla vita si identifica con la persona umana ed ha un valore assoluto, perché ogni persona che viene al mondo è titolare esclusiva di questo diritto inviolabile. Inoltre, è il diritto alla vita umana, che presupone tutti gli altri diritti, la cui finalità è di rendere sempre più umana e preziosa la vita.

Il diritto alla vita, e più in generale, alla salute, è tutelato dall’art. 2 Conv. Europea Dir. Uomo, dalla Carta Costituzionale, oltre che da una serie di norme del codice penale.

Quindi, per costruire stabilmente l’edificio dei diritti umani è indispensabile porre a fondamento di esso il diritto alla vita, su cui edificare tutti gli altri diritti.

In merito all’istituto del soccorso, in tutte quante le convenzioni internazionali, a partire dalla Convenzione internazionale sulla ricerca e salvataggio marittimo, siglata ad Amburgo nel 1979, alla Convenzione di Montego Bay del 1982 (UNCLOS), a quella sulla salvaguardia della vita umana in mare, chiunque deve intervenire, sia una nave da guerra, sia una nave civile.

Quindi, le navi italiane, quando avvistino o abbiano notizia di una nave che sia, in pericolo di perdersi ovvero ci siano delle vite umane in pericolo, sono in dovere di attuare il soccorso.

Nella Convenzione di Londra del 1989, infatti, all’art. 10 par. 1, viene enunciato che ogni comandante è tenuto a prestare assistenza a qualsiasi persona che si trovi in pericolo di perdersi in mare, nella misura in cui ciò non arrechi gravi pregiudizi alla sua nave e alle persone che sono a bordo. (vedi sotto)

Il pericolo deve essere serio e “al momento nel quale il soccorso viene richiesto, in corso ed imminente”.

Anche la normativa nazionale individua una responsabilità di carattere penale (a prescindere dalla configurazione di altri reati) nell’art. 1158 cod. nav.1 , a carico del comandante, posto che egli ha la responsabilità più ampia e completa di tutto ciò che accade sulla nave.

Inoltre, gli artt. 69 e 70 cod. nav. sul “soccorso a navi in pericolo e a naufraghi” e sull’ “impiego di navi per il soccorso” prevedono che l’autorità marittima, che abbia notizia di una situazione di pericolo in mare deve immediatamente provvedere al soccorso o, in caso di bisogno, darne avviso alle altre autorità che possano utilmente intervenire, nonché “ordinare che le navi che si trovano nel porto o nelle vicinanze siano messe a loro disposizione con i relativi equipaggi”.

(Estratto da “PROGETTO LAMPEDUSA –  Parere del 30 agosto 2014 a cura del Gruppo di studio del Progetto Lampedusa – CNF)

 

La Convenzione di Amburgo del 1979

La Convenzione di Amburgo del 1979 sul soccorso in mare (Sar) sancisce in ambito Onu l’obbligo giuridico del soccorso in mare per chiunque si trovi nelle condizioni di poter soccorrere persone in stato di pericolo e di allertare immediatamente le autorità competenti.

È importante sottolineare che la Convenzione di Amburgo non stabilisce aree di responsabilità esclusiva, ma fondandosi sul principio di cooperazione tra gli Stati stabilisce che la responsabilità primaria di assistenza spetta allo Stato competente per la zona di mare interessata, al quale sono attribuiti a tal fine poteri-doveri di coordinamento.

La Convenzione di Amburgo però non esclude -e anzi sollecita – l’intervento di Stati terzi qualora il primo non sia ancora intervenuto, oppure non sia in condizioni di farlo, o comunque quando l’imminenza del pericolo lo richieda.

L’obbligo di soccorso in mare, in base alla suddetta Convenzione, può dirsi soddisfatto solo quando le persone in pericolo hanno ricevuto le prime cure mediche e sono approdate in un luogo sicuro.

La definizione di “luogo sicuro”, tuttavia, non è descritta e regolamentata dalla Convenzione Sar, ma di recente l’International Maritime Organization (IMO) ha stabilito criteri più specifici definendo “place of safety” il luogo in cui le operazioni di recupero possono considerarsi ultimate e le persone soccorse non sono più in pericolo di vita e dove siano soddisfatte le necessità primarie, come assistenza medica, cibo e riparo.

L’obbligo dell’individuazione e costituzione dei “place of safety” grava su tutti gli Stati coinvolti che devono cooperare con lo Stato responsabile per la zona Sar in questione, per la buona riuscita dell’operazione.

 

CONVENZIONE DELLE NAZIONI UNITE SUI DIRITTI DEL MARE sottoscritto il 10 dicembre 1982 Montego Bay, in Giamaica da 155 Stati.

Articolo 98

Obbligo di prestare soccorso

  1. Ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio o i passeggeri:

a) presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo;

b) proceda quanto più velocemente è possibile al soccorso delle persone in pericolo, se viene a conoscenza del loro bisogno di aiuto, nella misura in cui ci si può            ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa;

c) presti soccorso, in caso di abbordo, all’altra nave, al suo equipaggio e ai suoi passeggeri e, quando è possibile, comunichi all’altra nave il nome della propria e il porto presso cui essa è immatricolata, e qual’è il porto più vicino presso cui farà scalo.2

2.Ogni Stato costiero promuove la costituzione e il funzionamento permanente di un servizio adeguato ed efficace di ricerca e soccorso per tutelare la sicurezza marittima e aerea e, quando le circostanze lo richiedono, collabora a questo fine con gli Stati adiacenti tramite accordi regionali.

 

Come si può ben vedere, le attività di Search And Rescue (SAR) della Guardia Costiera, Marina Militare e degli altri Corpi dello Stato che operano attualmente nel Mediterraneo per contrastare l’immigrazione clandestina (perchè questa è la loro missione), nel contesto della Operazione SOPHIA dell’EU o nel contesto FRONTEX o Nazionale, sono assolutamente dovute nel rispetto delle Convenzioni Internazionali ratificate, del Codice della Navigazione e delle leggi italiane.

 

Ogni altra ipotesi di intervento è semplicemente illegale, portando il Comandante della Nave, le Autorità Marittime competenti per la Salvaguardia della Vita Umana in Mare e lo Stato in generale a compiere più reati, anche internazionali.

 

Qualcuno lo spieghi a Salvini ed a Grillo.

 

http://www.ibneditore.it/wp-content/uploads/_mat_online/DirittoMarittimo/Convenzione_Diritti1982.pdf

 

https://treaties.un.org/doc/publication/unts/volume%201405/volume-1405-i-23489-english.pdf

 

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