La III guerra mondiale

questo articolo è di Buddenbrook.


1) Premessa storica

Sei nazionalità, tre religioni, quattro lingue ufficiali, due dialetti, almeno sedici gruppi etnici riconosciuti; tutto in poco più di 100.000 chilometri quadrati. Basterebbe questa estrema sintesi per capire che fare un’analisi storica completa dei Balcani non è praticabile qui.

Ci sono comunque alcune questioni e momenti storici da evidenziare perché fondamentali. Partiamo col dire che in quella zona di confine ci furono tre influenze di tipo culturale e religioso diverse: quella derivante dalla tradizione cattolica dell’impero Asburgico, quella della Russia ortodossa e l’impero Ottomano corrispondente ad una visione musulmano-turca.

Il primo tentativo di creare una unione multietnica e multireligiosa, basata sull’idea ottocentesca del costituzionalismo dello Stato Nazione, fu fatto con il “Regno dei Serbi, Croati e Sloveni” subito dopo la I Guerra Mondiale.

Alle tensioni culturali del passato si aggiunsero i nuovi conflitti ideologici politici. Per salvare il salvabile il Re Alessandro I sospese il potere del parlamento e instaurò una dittatura militare. Le cose — se possibile — andarono peggiorando. In Croazia si affermò la figura di Ante Pavelic, leader degli Ustascia, formazione fascista che collaborava strategicamente e militarmente con Mussolini. Il risentimento anti-serbo era dovuto anche a motivazioni economiche in quanto gli aiuti economici centrali venivano dirottati principalmente per l’agricoltura nelle amministrazioni locali a prevalenza serba.

Comunque sia, durante la II Guerra Mondiale, il dominio nazi-fascista complicò lo scenario con alleanze del tutto improvvisate (come i comunisti con i Cetnici monarchici, che in seguito si combatterono). In Kosovo i fascisti italiani aiutarono gli Albanesi residenti, mentre in Croazia i serbi furono oggetto di repressione etnica da parte degli Ustascia e nazisti. Come da regola aurea di tutte le guerre civili, la vendetta dei serbi sui croati — quando nel 1943 gli italiani si disimpegnarono dai Balcani, favorendo l’insurrezione dei partigiani comunisti — fu non meno spietata di quella perpetrata dai seguaci di Pavelic.

Questa premessa (largamente incompleta) deve servire solo per comprendere quanto profondo e antico fosse l’odio tra le etnie e quanto gli eventi storico politici abbiano ancor di più intorbidito l’atmosfera.

C’è da aggiungere che, per contrasto, ci sono stati posti nella ex-Jugoslavia che sono stati esempio di rispetto e tolleranza reciproca. Prima dello scoppio della guerra civile del 1990-91 molti erano i matrimoni misti e una percentuale non trascurabile di popolazione in Serbia, in Croazia e in molti altri posti, si dichiarava cittadino “jugoslavo”. Sfortunatamente questa parte della società — largamente maggioritaria — non ha avuto l’opportunità, la forza strategica e politica, di prevalere sulla minoranza violenta etnico-nazionalista.


2) La Jugoslavia post Tito

La prima cosa che mi viene in mente in merito all’argomento è che non si sono studiate a fondo le motivazioni della dissoluzione dello stato federale della Jugoslavia. La seconda è che il tema è maledettamente complesso. Talmente complesso che inizialmente la questione fondamentale è che noi — noi osservatori esterni ma coinvolti emotivamente e politicamente — abbiamo il dovere di districarci nel magma caotico dei Balcani, fatto di conflitti religiosi, politici, ideologici ed economici.

Ho definito “mondiale” questa guerra non — evidentemente — per motivi spaziali, territoriali ma in quanto portatrice di tutte le ideologie estremiste del secolo scorso. Perché se ideologie come il nazionalismo, il nazi-fascismo, il comunismo e lo stalinismo, il razzismo portato fino allo sterminio, hanno conosciuto livelli più o meno marcati, più o meno estremi, e si sono sviluppate in diverse zone europee ed est-europee in periodi storici differenti, nei Balcani tutto questo è sfociato nel modo più estremo e nell’arco di pochi anni.

E’ bene dire subito che non tutto è avvenuto negli anni 80-90; come non è corretto — anche se spesso si sente dire in riferimento a specifici momenti storico-politici — parlare di “momento decisivo”. Non c’è un evento scatenante. Evidentemente la storia per il mondo occidentale in generale non è stata un’insegnante particolarmente severa. Peccato. Il campo va sgombrato anche da facili analisi pilatesche del tipo “ci sono stati crimini da tutte le parti” oppure “non ci sono buoni e cattivi”, perché se è vero come è vero che effettivamente è difficile trovare galantuomini e militari cavallereschi in questa orribile guerra civile, è anche vero che le colpe e le motivazioni non sono uguali per tutte le parti in causa. Si può e si deve giudicare; se non nel modo sicuro proprio della materia “scientifica”, ci si può e ci si deve “schierare”.

Questo perché il giudizio alimenta la discusione e perché… “de te fabula narratur”.

Dicevo… bisogna iniziare a districarsi. Bisogna iniziare da qualche cosa; così ho deciso di seguire il documentario della BBC, commentandolo e arricchendolo con commenti e con altro materiale reperito in rete.

Quindi, avendo in mente le premesse storiche, si parte dalla morte di Josip Broz, conosciuto come Maresciallo Tito. Il presidente della Serbia è Ivan Stambilic. Slobodan Milosevic, nato da una famiglia ortodossa, laureato in giurisprudenza a Belgrado, prima di approdare nel Comitato della Lega dei Comunisti di Belgrado, lavora come direttore della Beobank e in seguito diviene responsabile dei rapporti internazionali con il Fondo Monetario Internazionale.

Il serbo Milosevic (i cui genitori si suicidarono nello spazio di poco tempo) era quello che oggi definiremmo un “tecnocrate”, con in più il fatto di essere politicamente ambizioso. In Kosovo la minoranza serba è in agitazione, la Lega dei Comunisti decide in accordo con il vertice del partito e governo Serbo nella persona di Stambilic di mandare Milosevic a parlare con la minoranza etnica serba.

Siamo nel 1987.

Ovviamente il clima è a dir poco teso. Milosevic — può sembrare incredibile ma le ideologie quando estreme hanno queste stranezze — si scaglia contro il nazionalismo etnico e cerca, almeno in un primo momento, di calmare gli animi dei manifestanti in Kosovo. Il comunismo della federazione socialista Jugoslava non conosce etnie; anzi sarebbe meglio dire, non vuole riconoscerle e cerca di sopprimerle. In realtà — come si vedrà meglio più avanti — la volontà da parte dei serbi di far rinascere la Grande Serbia è sempre viva, nonostante sia in contrasto con la “dottrina” federale.

Perché la politica etnico religiosa in Kosovo è importante lo spiega in poche parole il capo Serbo.

Pochi giorni dopo i Serbi nazionalisti in Kosovo preparano un incontro con Milosevic per discutere della situazione sociale.

All’incontro è presente anche Azem Vllasi, leader dei Comunisti Albanesi in Kosovo. L’incontro — come da facile previsione — diventa una manifestazione anti-albanese. Mentre all’interno del luogo che ospita Milosevic, Vllasi e gli altri partecipanti, si fa a gara a chi fa il discorso più nazionalista, fuori si scatena una guerriglia tra manifestanti serbi e polizia locale albanese. Tocca al leader dei serbi cercare di calmare i manifestanti. “Non vi picchieranno più”, afferma Milosevic. Dall’unità socialista federale si passa alla difesa etnica e territoriale.


 

La seconda parte si trova qui.

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