Kosakenland

Origini

Il ritiro dell’Orda d’Oro dalle steppe della Dnepr in Ucraina e del Don alla fine del XV secolo lasciò quelle zone, abitate da popolazioni nomadi, nella desolazione e nel silenzio. A poco a poco diventò un luogo di rifugio per asociali, così lentamente cominciarono a riempirsi di umanità che non riconosceva il potere dei proprietari terrieri, di servi della gleba in fuga, di persone che sospiravano la libertà e non accettavano l’ordine sociale e di avventurieri. Nel corso del tempo si integrarono con le popolazioni locali trasformandosi in una comunità unita comandata da un capo eletto, l’Ataman e vennero chiamati kozaky (cosacchi) probabilmente dalla parola turco-tartara qazaq che significa “uomo libero”. Inizialmente erano dediti alla caccia e alla pesca, nonché alle armi per difendersi dai frequenti attacchi da parte dei Turchi e dei Tartari, ma con il tempo cominciarono a stabilirsi dedicandosi a lavorare la terra.

Diventarono più uniti e forti fino a far nascere un proprio stato indipendente dopo essersi ribellati al predominio Polacco-Lituano, l’Etmanato cosacco nell’attuale Ucraina che, successivamente passato sotto il controllo imperiale russo, divenne sempre più schiacciato dagli zar in conseguenza alle numerose ribellioni. Già Pietro I aveva soppresso l’elezione dell’Ataman facendolo designare dal potere centrale, finché Caterina II, in seguito alla ribellione di Pugaciov, abolì ufficialmente l’Etmanato.

 

Etmanato cosacco

 

Tuttavia nei decenni i regnanti russi avevano capito l’importanza e i vantaggi che potevano trarre dai cosacchi (nonostante fossero un popolo dallo spirito libero e avventuroso) tanto che a poco a poco vennero integrati nella difesa dei confini dell’impero e dopo Caterina II i cosacchi divennero a tutti gli effetti truppe irregolari dell’esercito imperiale, venendo organizzati in vari corpi che prendevano il nome della località dov’erano stabilite. Con il tempo si dimostrarono leali difensori dell’impero e dell’ortodossia russa, per cui ottennero in cambio terre fertili e diversi privilegi per il loro popolo e le famiglie. Si fecero la fama di essere particolarmente spietati, tanto che spesso, durante le innumerevoli rivolte dell’impero, bastava la loro presenza a quietare gli animi. Ebbero una parte rilevante nella repressione delle ribellioni del 1905.

Durante la guerra civile, seguita dalla rivoluzione di ottobre, si ritrovarono da entrambe le parti. Anche se inizialmente appoggiarono le forze rivoluzionarie, successivamente i comandanti e gli ufficiali esperti, intuendo che avrebbero perso i loro privilegi, passarono fra le armate bianche, mentre i poveracci continuarono a combattere con le truppe rosse e alcuni idealisti come il comandante Simon Petlijura combatterono contro entrambi per l’indipendenza della nazione Ucraina.

Dopo la sconfitta dell’armata bianca seguì la repressione definita decosacchizzazione, molti lasciarono i territori sovietici (si stima 100.000) fra quelli che rimasero circa 500.000 vennero deportati e migliaia furono fucilati. Il processo non si concluse quando vennero varate misure atte all’eliminazione dei loro privilegi e a cancellare le loro tradizioni, ma fu seguito da quello che i cosacchi chiamarono Holodomor, la carestia progettata e programmata che fra il 1932 e il 1933 provocò in Ucraina, nel basso Volga, il Don, i territori del Kuban e il Terek, milioni di morti di fame (le stime gareggiano fra i tre e i cinque) e che diverse nazioni (fra cui l’Italia) hanno riconosciuto essere stato un genocidio premeditato.

 

 

Kosaken korps

Anche durante la II guerra mondiale l’etnia cosacca si ritrovò a combattere da parti opposte degli schieramenti, coloro che erano emigrati in UK e in USA servirono i rispettivi eserciti, mentre in Russia una buona quantità combatté contro Hitler nell’armata rossa, altresì un altro sostanziale numero servì i tedeschi in risposta alle dure repressioni e al genocidio che le loro famiglie avevano subito da parte di Stalin assieme ad altre popolazioni russe che vedevano nell’esercito tedesco la liberazione dallo stalinismo. Alcuni di loro provenivano dalle armate bianche zariste, ma altri disertarono dall’armata rossa per congiungersi con le forze armate cosacche in Germania.

Già all’inizio del 1941 i tedeschi formarono i primi distaccamenti provenienti dai prigionieri di guerra disertori e volontari che vennero usati in attività anti partigiane nelle retrovie tedesche. Il Movimento di Liberazione Nazionale Cosacco sperava in questo modo di ottenere alla fine della guerra uno stato indipendente, la Cossackia, e la speranza aumentò nel 1943 quando venne diffuso un proclama firmato dal Ministro per i Territori occupati dell’Est, Alfred Rosenberg, e dal Capo di Stato Maggiore della Wehrmacht, Gen Keitel in cui la Germania si impegnava ad assicurare ai cosacchi, dopo sconfitta l’Urss, una certa autonomia, lo scioglimento dei kolkoz e il ripristino della proprietà privata.

Nel 1942 dopo la disfatta di Stalingrado, i tedeschi disposero il trasferimento per diverse migliaia di civili cosacchi e nord caucasici che non potevano più rimanere avendo collaborato con loro. Civili di ogni età e condizione sociale che mossero verso ovest portando con se ciò che potevano, cavalli, bovini, cammelli, suppellettili sui carri e vivendo delle razioni che gli fornivano i militari. Seguendo la ritirata dell’esercito germanico sostarono in Ucraina, in Romania, in Ungheria e infine nel 1944 furono a Vienna.

Un altro gruppo, comprendente cosacchi disertori dell’Armata Rossa e altri cosacchi atti alle armi con le loro famiglie, guidati dall’Ataman Pavlov e dal Col. Domanov, lasciarono i loro territori nel gennaio 1943. Raggiunsero l’Ucraina, furono registrati come militari tedeschi e vennero trasferiti in Bielorussia, ma successivamente in seguito all’avanzata dell’armata rossa dovettero ritirarsi in Polonia.

 

 

Intanto nel 1943 fu formata la prima divisione sotto il comando del Generale Helmut von Pannwitz e alcuni capi cosacchi emigrati come Andrei Shkuro e Pëtr Krasnov vi presero posizioni di comando. Quest’ultimo ebbe la prerogativa di comandare il Centro politico militare cosacco creato a Berlino. Il Gen. Pëtr Nikolaevič Krasnov, Ataman dei cosacchi del Don, uomo colto e dalla grande personalità, ex tenente generale della guardia imperiale insignito dell’Ordine di San Giorgio, in esilio dal 1920, aveva lasciato Parigi per unirsi ai tedeschi e combattere il bolscevismo.

Pëtr
PëtrKrasnov vi presero posizioni di comando. Quest’ultimo ebbe la prerogativa di comandare il Centro politico militare cosacco creato a Berlino. Il Gen. Pjotr Krasnov, Ataman dei cosacchi del Don, uomo colto e dalla grande personalità, ex tenente generale della guardia imperiale insignito dell’Ordine di San Giorgio, in esilio dal 1920, aveva lasciato Parigi per unirsi ai tedeschi e combattere il bolscevismo.

La seconda divisione di cosacchi venne formata l’anno seguente sotto il comando del Colonello Hans-Joachim von Schultz, entrambe facevano parte della XV SS-Kosaken Kavallerie Korps che contava 25.000 uomini, vestivano uniformi della Werhmacht recuperate da fondi di magazzino, ma variate secondo le loro tradizioni. Al corpo appartenevano cosacchi di diversi gruppi, il Don, il Kuban, il Terek, i Siberiani e nei piani dei comandi tedeschi dovevano essere impiegati contro i guerriglieri di Tito, i movimenti croati e sloveni.

 

Kosakenland

Su queste basi l’Amministrazione degli eserciti cosacchi, costituitasi il 31 marzo 1944 sul preesistente Centro politico militare cosacco, produsse nell’estate dello stesso anno un Governo cosacco in esilio, presieduto dall’Ataman Pëtr Krasnov. Contestualmente il Ministro Rosemberg li invitò a trasferire l’armata in Carnia e nell’alto Friuli, la Kosakenland, dove avrebbero potuto stabilirsi dopo aver sgominato la guerriglia partigiana, che ne aveva il controllo, in attesa fossero resi disponibili i territori cosacchi alla sconfitta del bolscevismo. Allo stesso tempo i tedeschi volevano garantirsi la sicurezza di una delle principali vie di comunicazione con l’Austria.

PjotrKrasnov. Contestualmente il Ministro Rosemberg li invitò a trasferire l’armata in Carnia e nell’alto Friuli, la Kosakenland, dove avrebbero potuto stabilirsi dopo aver sgominato la guerriglia partigiana, che ne aveva il controllo, in attesa fossero resi disponibili i territori cosacchi alla sconfitta del bolscevismo. Allo stesso tempo i tedeschi volevano garantirsi la sicurezza di una delle principali vie di comunicazione con l’Austria.

Il trasferimento ebbe inizio nel luglio 1944 e furono impiegati 50 treni con 2.500 vagoni. Alla loro comparsa le autorità delle SS e della Polizia dell’Adriatisches Küstenland, che avevano dato il consenso al loro arrivo, rimasero sbigottiti. Si aspettavano unità organizzate, addestrate, ben armate e pronte a combattere, invece videro scendere dai treni un’accozzaglia di truppe caotiche, male armate, affamate e accompagnate da una quantità di gente di tutte le età, donne e bambini, con i loro carri, i cavalli e i cammelli che somigliava più a una immensa carovana di zingari che a una divisione militare, mentre ai friulani ricordavano scorrerie di epoche lontane, narrate sui libri di storia, come quelle degli Unni e dei Goti.

 

 

Sotto il comando del Gen. Domanov, che aveva rimpiazzato Pavlov alla sua morte, il territorio della Carnia e del nord Friuli venne suddiviso funzionalmente al gruppo di appartenenza, cosacchi del Don, cosacchi del Terek, cosacchi del Kuban e i Caucasici che li completavano. Il numero preciso non è mai stato conosciuto, le fonti tedesche li davano fra le 17.000 e le 26.000 unità, con al seguito almeno 5.000 cavalli. Un impatto fortissimo per la popolazione carnica già provata da privazioni e da lutti di quattro anni di guerra, oltretutto che i cosacchi nei dieci mesi di occupazione si organizzarono per restare, credendo che quella sarebbe rimasta la loro terra.

Su questo periodo e i rapporti con i locali non mi protraggo perché sono stati scritti diversi libri e raccolte di testimonianze, ma si può immaginare quanto la convivenza da parte dei carnici fosse stata faticosa e non priva di drammi e di violenze, soprattutto nella fase iniziale, quando i cosacchi dimostrarono tutta la loro prepotenza, non sempre e non tutti, ma particolarmente mentre erano ubriachi, e anche se con l’andar del tempo testimonianze riportano episodi di tolleranza e rispetto, restò pur sempre un’invasione.

 

La resa

Nel mese di febbraio 1945 giunse in Friuli, proveniente da Berlino, il settantaseienne Ataman Pëtr Nikolaevič Krasnov, con la moglie, la Principessa Lidia Fedeorovna assumendo il comando di tutte le truppe. La guerra stava volgendo al termine e non andava bene, ma Krasnov non si sottrasse al ruolo di mantenere il controllo della regione, perché era ciò che i tedeschi gli avevano chiesto, e così disse ai suoi uomini. Ma dopo il 20 di aprile, la caduta della linea gotica e la ritirata dei tedeschi decise di spostare i cosacchi in Carinzia e fra gli inglesi che avanzavano veloci, i partigiani che li incalzavano, arrivarono nei pressi di Lienz.

Il 7 maggio le avanguardie inglesi passarono il confine austriaco, il giorno successivo una delegazione cosacca ritornò a Tolmezzo su una autovettura che inalberava una bandiera bianca, si presentò al Comandante della 78a Divisione britannica, Robert Arbuthnott, offrendo la resa senza condizioni del Corpo speciale cosacco. Il 10 maggio si arrese anche la Riserva del Corpo speciale cosacco, comandata dal Gen. Shkurò, che aveva raggiunto Klagenfurt precedentemente a metà aprile. Furono tutti trasferiti a Lienz.

Anche il XV SS-Kosaken Kavallerie Korps (XV Corpo cosacco di cavalleria) più di 20.000 uomini inquadrati principalmente da ufficiali tedeschi e comandato dal Gen. von Pannwitz integrato nella Wehrmacht, alla resa della Germania del 9 maggio ripiegò dalla Jugoslavia dirigendosi verso la Carinzia, respingendo qualsiasi richiesta di resa da parte delle forze di Tito e superato il confine, si arrese agli inglesi insediandosi qualche giorno dopo a nord di Klagenfurt, controllata dalla 6a Divisione corazzata inglese.

Da quel momento, il destino del XV Corpo cosacco di cavalleria di von Pannwitz seguì quello del Corpo speciale cosacco di Krasnov.

 

 

I rapporti fra gli ufficiali inglesi e quelli cosacchi furono da subito distesi, i cosacchi avevano affermato di non avere alcun motivo di ostilità nei confronti degli anglo-americani contro i quali non avevano mai combattuto né mai lo avrebbero fatto. Il loro nemico, dissero, era ed era sempre stato il bolscevismo e probabilmente lo dicevano sinceramente a nome di tutti quanti, d’altronde i cosacchi erano sempre stati amici dell’occidente, anche alleati con gli inglesi durante la rivoluzione bolscevica. Gli inglesi non avevano molta simpatia verso i collaborazionisti russi in generale, cosacchi compresi, ma vedendo quella comunità gerarchicamente organizzata e coesa, nonché obbediente e rispettosa, ed essendo a corto di uomini, li trattarono con benevolenza affinché rimanessero tranquilli. Gli lasciarono l’organizzazione interna e i campi non furono neppure recintati.

I cosacchi interpretarono questo trattamento di favore con ottimismo riguardo al loro destino, ignari degli accordi presi pochi mesi prima fra gli alleati e Stalin a Yalta, dove tutti i collaborazionisti sovietici avrebbero dovuto essere restituiti all’Unione Sovietica.

 

L’inganno

Era una delle maggiori preoccupazioni di Krasnov soprattutto nei confronti dei suoi uomini (non si preoccupava per sé, essendo esiliato dal 1920 non possedeva cittadinanza sovietica come diversi altri ufficiali e soldati) tanto che scrisse al Maresciallo Alexander, Comandante alleato del Mediterraneo che aveva conosciuto durante la rivoluzione russa, a cui spiegò le reali intenzioni che avevano spinto i cosacchi ad allearsi con i tedeschi, che avrebbero accettato qualunque destino all’infuori della consegna ai sovietici e chiedeva la condizione di rifugiati politici.

Per tutta risposta il Maresciallo Alexander inviò a Klagenfurt un rappresentante del governo inglese, che dopo colloqui avuti con ufficiali locali appuntò sul suo taccuino: […] Tra le truppe tedesche arresesi al V CA, ci sono circa 40.000 cosacchi e “Russi Bianchi”, con mogli e figli. Se li consegniamo ai russi, li condanniamo alla schiavitù, alla tortura, alla morte. Se rifiutiamo di farlo, offendiamo i Russi e tra l’altro violiamo gli accordi di Yalta. Noi abbiamo deciso di consegnarli […] in questo modo  condannò non soltanto i collaborazionisti sovietici, ma anche i Russi Bianchi che non erano sovietici, compreso il Gen. Helmut von Pannwitz, (successivamente impiccato da Stalin per crimini contro l’umanità e poi riabilitato da Eltsin, che concesse anche una pensione alla sua famiglia) e i quadri minori tedeschi.

Intanto i cosacchi vivevano a Lienz, ignari di tutto, in una parentesi serena dopo tante travagliate vicende e due anni di fughe, miseria e lutti. Terminata la guerra gustavano pace e tranquillità che da tempo erano state negate. Nel campo avevano organizzato una scuola elementare e la vita sociale includeva esibizioni di cori, funzioni religiose e gare di equitazione a loro beneficio e degli inglesi. Era un’esistenza normale, una normalità precaria sulla quale si stendeva l’ombra di un futuro incerto e per i più pragmatici l’incubo della consegna ai sovietici. La massa pensava che il generoso trattamento riservato loro dagli inglesi facesse sperare che avrebbero trovato una soluzione dignitosa per il popolo cosacco.

Al contrario il primo problema degli inglesi fu quello di separare gli ufficiali dalle truppe, quindi escogitarono una falsa riunione con il Maresciallo Alexander che voleva parlare a tutti gli ufficiali cosacchi. Krasnov prese benevolmente l’iniziativa come risposta alla sua lettera, ma anche se molti di loro intuirono la trappola, il 28 maggio 1.500 ufficiali cosacchi furono caricati su camion e trasportati a Spittal per essere consegnati ai sovietici il giorno seguente. Nessuno sa di preciso quanti di loro si suicidarono quella notte, chi si impiccò con i fili elettrici e chi si recise le arterie con i vetri delle finestre. Il giorno successivo, nonostante molti di loro mostrassero documenti francesi, italiani, jugoslavi o apolidi, gli inglesi non ne tennero conto e caricandoli con la forza li consegnarono a Stalin. Anche durante la consegna ci furono suicidi, qualcuno si gettò nel vuoto, un altro si tagliò la gola con una lametta.

 

Affresco su parete sala mensa del club della comunità cosacca di New York, raffigurante la tragedia di Lienz.

 

Rimanevano ancora circa 30.000 cosacchi, fra militari, civili, donne e bambini a cui fu comunicata la loro consegna alle truppe sovietiche. Serpeggiò il panico e ovunque ci furono violenze e maltrattamenti da parte dei britannici. Nel campo più numeroso, Peggetz, all’arrivo dei soldati inglesi, i cosacchi si strinsero a centinaia in gruppo compatto, con donne, bambini e anziani al centro, circondati dai soldati e i preti ortodossi che intonavano melodie religiose. Gli inglesi attaccarono sospingendo la folla contro la palizzata in legno che racchiudeva il campo che cedette liberando una via di fuga verso il ponte sulla Drava e i campi vicini. In preda all’isteria collettiva, e alla vista dei cosacchi suicidi impiccati nella notte precedente sugli alberi nei boschi limitrofi, molti si gettarono nelle acque gelide della Drava. Un cosacco appropriatosi di una pistola, uccise la moglie e i suoi due figli prima di togliersi la vita. Una madre, prima di suicidarsi, chiese a una contadina apparsa casualmente di gettare nel fiume la figlia di due anni perché non aveva il coraggio di farlo. La contadina promise, ma non obbedì, portando con sé la piccola e allevandola come sua figlia.

Olga Rotova, cittadina jugoslava che fungeva da interprete, parlò di 700 morti fra suicidi, uccisi dalle baionette inglesi e schiacciati dalla folla. 4000 riuscirono a fuggire e poco meno di 1400 furono ripresi, gli altri 2600 riuscirono a far perdere le tracce, trasferendosi successivamente in USA, in Francia, in Germania, qualcuno anche in Australia.

I giorni seguenti la rassegnazione prese il sopravvento e il 7 giugno, con le ultime consegne ai sovietici, si concluse la tragedia dei cosacchi di Lienz, una delle pagine più brutte della storia inglese.

 

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I Generali Pëtr Krasnov, Andrey Shkurò, Sultan Ghirey, Timoty Domanov, Semion Krassnov (nipote dell’Ataman), Helmut von Pannwitz, furono trasferiti a Mosca e il 17 gennaio 1947, dopo diciotto mesi dalla loro cattura, sulla Pravda comparve un trafiletto in cui veniva annunciata la loro condanna a morte per impiccagione e l’avvenuta esecuzione. Anche altri alti ufficiali cosacchi, tra cui il Gen. Semion Krasnov, parente dell’Ataman Pëtr, furono processati e condannati a morte.

Il Tenente Nikolai Krasnov, pronipote dell’Ataman, e il padre, Col Nikolai Nikolaecitch, anch’essi condotti alla Lubianka con il prozio Ataman Pëtr e con il Gen. Semion Krasnov, furono invece condannati a dieci anni di detenzione da scontare nei campi di lavoro siberiani. Il Colonnello mori nel gulag mentre il figlio fu rilasciato nel 1955 e autorizzato ad espatriare trattandosi di cittadino francese. Emigrato in Argentina, morì nel 1957.

Tutti i prigionieri cosacchi furono condannati senza processo, ope legis, ad un minimo di dieci anni di lavoro nei gulag siberiani. Per casi specifici di collaborazionismo, le condanne vennero elevate a 20-25 anni.

Nell’autunno 1948, dei 1.500 ufficiali cosacchi di Krasnov, prelevati il 28 maggio 1945 a Lienz dagli inglesi e consegnati il giorno successivo ai sovietici a Judenburg, solo 250 erano sopravvissuti.

 

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