Il partito privato

 

 

Grazie a Grillo e Casaleggio ci ritroveremo un gruppo parlamentare dipendente di un’azienda privata. E un centinaio (minimo) di parlamentari non liberi nemmeno di scrivere sul proprio blog e di rilasciare una intervista.

‘I candidati alle politiche stanno ricevendo in questi giorni una lettera di Casaleggio che li invita a sottoscrivere un impegno formale, riguardante l’uso del denaro che i gruppi M5S alla Camera ed al Senato avranno a disposizione per la comunicazione istituzionale’. (ANSA). L’impegno predisposto dai legali di Casaleggio  prevede che sia Grillo a decidere regole e composizione di un fantomatico comitato che dovrà sovraintendere all’uso di quei fondi e decidere a quale struttura di comunicazione destinarli. I candidati devono firmare ora, per tutta la legislatura, che delegheranno in toto la destinazione del tesoretto pubblico e che approveranno ad hoc lo statuto del gruppo.

Capitolo tagli dei costi della politica. Nulla. Se non slogan. Dove eletti i candidati cinque stelle altro non fanno che dividere lo stipendio tra un conto personale e un altro conto per “spese politiche, di rappresentanza e di comunicazione”. Questo secondo conto è sempre intestato a loro, ma decide sempre l’eletto in parte con Grillo e in parte con Casaleggio che farne.
Chi ci guadagna? La banca. Che ha due conti e quindi doppie commissioni. Chi ci perde? Chi ha creduto davvero al taglio delle remunerazioni (che è impossibile per legge). E la trasparenza. Perché con un conto unico non sarebbe tutto più semplice?
Nessun taglio nemmeno ai costi per il cittadino sui contributi ai gruppi regionali e comunali.
I cinque stelle in Piemonte (tratto da qui) e Emilia spendono come e in qualche caso più degli altri, rendicontando anche a carico dei parlamenti regionali spese web gestite da Casaleggio, cancelleria extra per qualche migliaio di euro, e in barba alla contrarietà al finanziamento dell’editoria di partito, il proprio giornalino mensile del “non partito”.

Il sistema è degenerato, lo sappiamo bene. E non serve un ex comico, arrabbiato, per dircelo. Ma la democrazia non è un  hashtag su twitter, ma richiede serietà per non degenerare in demagogia. Sull’onda demagogica e populista, che cavalca l’onda della indignazione e esasperazione popolare, qualcuno sta mettendo le mani pesantemente sulla nostra libertà. E questo è un male per tutti. La democrazia infatti si fonda su alcuni principi irrinunciabili.
Tra questi l’indipendenza del legislatore, anche economica, da lobby e gruppi di pressione. Per questo esiste il “rimborso elettorale”. Troppo? Esagerato? Concordo. Poco trasparente? Si. Allora riduciamolo e rendiamo tutto più trasparente e chiaro.
Toglierlo è suicidare la democrazia. Farà politica allora solo chi – già ricco – “ci guadagnerà” molto di più perché disposto a investire denaro per avere potere.

Tra i vari istituti per difendere l’indipendenza del legislatore, la mancanza del vincolo di mandato, e fondi per la comunicazione diretta, quella del gruppo nella sua complessità e quella del singolo parlamentare. È lo strumento della libertà dal sindacato di opinione e della relativa immunità. Non potendo intervenire sul vincolo di mandato (costituzionalmente inderogabile) Grillo semplicemente “tappa la bocca” dei suoi deputati – quelli che metterà lui in lista, essendo lista e marchio di sua proprietà privata.

La forbice stimata – se proiettiamo tra Camera e Senato un numero di minimo 100 parlamentari a 5 stelle – vede un fatturato annuo per Grillo e Casaleggio compreso tra 8milioni e 22milioni di euro. Adesso sono loro a metterlo nero su bianco.
Non c’è che dire… ci pagheremo un gruppo parlamentare come un hotel a 5 stelle.

Ma ci ritroveremo anche un gruppo parlamentare dipendente di un’azienda privata. E un centinaio (minimo) di parlamentari non liberi nemmeno di scrivere sul proprio blog e di rilasciare una intervista. Pena l’espulsione… ma senza soldi per continuare a fare i parlamentari!

Dal blog di Michele di Salvo

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