I progressisti in Italia

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Partiamo dall’attualità. Nel campo di centro-sinistra sembra scoppiata quella che Hobbes chiamerebbe la guerra di tutti contro tutti. La crisi c’è ed è evidente. A partire dai protagonisti. In estrema sintesi la volontà di Zingaretti di un’alleanza organica con i 5 stelle ha trovato parecchi nemici. Lasciando da parte la scelta strategica di tale alleanza, ha lasciato perplessi — a dire poco — la modalità con la quale ci si è arrivati. Se si dice che l’aspetto fondamentale — l’architrave — di questa alleanza è il (futuro) leader del partito opposto, si fa intendere che è l’altro partito ad essere indispensabile e che per rafforzare l’alleanza — per renderla appunto essenziale — si deve spostare l’attenzione su quel partito (leggi: votare principalmente il M5S e il suo leader). In pratica il segretario del PD fa campagna elettorale per un altro partito. Comunque la si voglia vedere questo è inaccettabile. Spostandosi più al centro le cose non vanno meglio. Renzi, che ha puntato sull’alleanza con i grillini dopo l’auto-eliminazione di Salvini, ha fatto cadere il governo per una serie di ragioni che erano facilmente prevedibili. L’insofferenza verso le scelte democratiche e l’opposizione al MES — giusto per dire le più evidenti — sono carenze o strutturali o ideologiche del M5S. Da sempre. Stupirsi all’improvviso della contrarietà al MES da parte dei grillini fa sorridere. E’ un po’ come invitare dei maiali a cena per poi lamentarsi se mettono le zampe sul tavolo.

Adesso è tutto un cinema da parte di intellettuali e pseudo-intelletuali che consigliano di dare forma e idee per riformare il campo progressista (ma va?). Si condanna — giustamente — la mancanza di coraggio e la posizione eccessivamente difensiva che si riassume in un “battere le destre”. Manca un’idea organica, una sintesi. Il livello di comunicazione politica è pietoso. E’ noto che in politica per farsi capire bisogna trovare poche, chiari parole. E su queste poi costruire un programma. La propaganda — è giusto ricordarlo anche in questi tempi iper-tecnologici — serve. In modo essenziale se poi si vogliono raccattare voti per governare. Ora, io non pretendo una capacità di sintesi e di propaganda di politici intellettuali del calibro di Gramsci che alla domanda su che cosa volevano fare i massimalisti per differenziarsi dai riformisti rispose: un governo borghese senza la borghesia. Poteva piacere o no ma qual era il suo punto di vista penso di poter dire fosse evidente a tutti.

Il centro-sinistra degli ultimi anni ha avuto un solo politico che ha cercato un obiettivo chiaro e l’ha dichiarato: Prodi. Lui voleva portare come paese fondatore l’Italia in Europa con una moneta forte per farla diventare compatibile con le moderne e forti nazioni del centro-nord Europa. Ma qui il confronto con i politici menzionati sopra non è corretto in quanto si metterebbero a confronto mele con pere. Prodi è stato uno statista, gli altri dei politici. Con dei pregi e difetti ma sempre politici. Che poi non sia riuscito nel suo obiettivo è dipeso da vari fattori. I principali: l’attrazione verso il populismo becero di destra di buona parte degli elettori e i continui attacchi interni alla sua coalizione.

Il problema però potrebbe — è qui uso il condizionale — non essere una questione di leader ma di “ambiente”. Lo stesso Renzi quando ha proposto il referendum per rendere possibile un moderno bipolarismo funzionale ha avuto non poche avversità. Anche qui — come Prodi — sia esterne che interne. Ma appunto: l’ambiente. Esiste una forza liberale e progressista di sinistra? Oppure non ci sono proprio i numeri per farla diventare maggioranza nel paese?

Diciamo che non è dato sapersi. Però un’ analisi sul flusso dei voti dal 1992 ad oggi potrebbe dare qualche spiegazione o — che sarebbe addirittura meglio — qualche consiglio. Ho messo insieme un po’ di dati. Ho dovuto fare delle scelte. Nel gruppo che chiamo dei “progressisti” metto il PDS/DS/PD, +Europa, PSI, PSDI, i Verdi, Rosa nel Pugno, i radicali (quando non erano alleati con la destra), più altri partiti minori di chiaro stampo o liberale o europeista. Non metto gli ex-comunisti, Rifondazione, SEL, IDV (faccio fatica a consideralo un partito progressista), Sinistra Arcobaleno, più altri partiti di centro che si sono succeduti nella coalizione di centrosinistra.

Cominciamo a vedere l’andamento delle competizioni elettorari tra il centrosinistra e il centrodestra dal 1992 al 2018.

Quello sotto invece è l’andamento del centrosinistra comparato ai votanti totali, sempre nello stesso periodo di tempo.

Il CSX ha una numero di votanti tra i 18 e i 20 milioni (escluso l’anno 1994, anno delle famosa discesa in campo del Berlusca) fino al 2008 ma poi ha un andamento di costante flessione che si evidenzia in maniera sempre più netta. Anche i votanti totali subiscono un leggero calo.

Questo calo non è dovuto ad un aumento dei voti del centro-destra, come si vede dal grafico seguente. Anzi il CDX — che ha un numero di votanti tra i 16 e 19 milioni — ha un brusco ridimensionamento nel 2013.

Sembra che le elezioni del 2008 e del 2013 abbiano dato dei risultati non in linea. E in effetti sono successe “cose”. Nel 2007 nasce il PD con la vocazione maggioritaria, corre in pratica da solo e nel 2013 si presenta in tutto il suo orrore il grillismo. Di sicuro questi due eventi un impatto l’hanno avuto. Nella politica italiana tutta e nel campo progressista in particolare.

Il grafico seguente mostra il solo campo progressista comparato con tutto il CSX (quindi SEL, Rifondazione comunista, partiti comunisti nelle varie forme, Italia dei Valori e molti altri)

Qui invece i progressisti comparati con CSX intero più M5S. Molto probabilmente l’ala Zingarettiana ha puntato molto su questi numeri. Infatti si vede che facendo una somma matematica il totale di CSX più M5S torna sui 18/19 milioni di votanti. Proprio i numeri precedenti di tutto il centrosinistra prima della nascita del PD. Ma i numeri — si sa — spesso in politica non si sommano.

Infine il campo progressista comparato con il totale dei votanti.

Alla luce di questi dati alcune considerazioni si possono fare. Prima di tutto si vede che il PD (grafico n. 4) non ha “inglobato” la parte di sinistra ex-cominista e di centro dell’ulivo. I 5-6 milioni di votanti in più sono nettamente diminuiti una volta finita l’epoca prodiana, azzerandosi in pratica nel 2018. La flessione del campo progressista (grafico n. 6) non ha coinciso con un aumento del campo di CDX, il quale ha subito una prima flessione di circa 1 milione di voti nel 2008 e addirittura circa 7 nel 2013.

Quindi, unendo il fatto che nel 2008 il PD non è riuscito a portare i milioni di voti dell’ulivo nel suo partito, con il fatto che dal 2013, sommando il CSX unito con il M5S, si abbiano di nuovo numeri simili ai CSX precedenti al 2006 si può dire che: o gli ex-comunisti rimasti nel PD non sono riusciti a convincere la parte più a sinistra (diciamo socialdemocratica) degli elettori, oppure per socialdemocrazia in Italia si intende — anzi sarebbe più corretto scrivere si è lasciato intendere — giustizialismo modello tramanettaglio, debito pubblico senza limiti e grillismo populista. E non saprei dire cos’è peggio.

Potrebbe darsi che questi numeri siano soltanto casuali ma al momento non vedo un futuro progressista in Italia anche se si trovasse leader e partito. Ho usato il termine progressista per definire la sinistra riformista e non liberale perché, guardando i dati storici, penso che in questo paese sia più facile (anzi meno impossibile) un governo socialdemocratico moderato e progressista vero che uno liberale riformista.

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