Germinal nei dintorni delle strade di Minneapolis

Versione sintetica.

Mi sono sempre considerato un riformista moderato. Alla luce dei continui problemi sociali che continuano a non trovare soluzione e che portano a violenze mi sto chiedendo se, per ottenere diritti legali, bisogna sempre passare dal conflitto e dalla violenza. Se fosse così, come storicamente è accaduto molte volte, mi sento di mettere in discussione la mia posizione politica.

Versione strutturata.

Germinal è un racconto di Émile Zola. Viene raccontato uno sciopero dei minatori francesi che si trasforma in pochissimo tempo in rivolta. Si svolge a fine 800; periodo di grandi sommovimenti sociali. Nel racconto tre protagonisti rappresentano le tre tipologie di “volontà di progresso” che all’epoca — ma si può dire anche oggi — compongono il variegato mondo della politica sociale.

 

Stefano Lantier, disoccupato che, costretto dalla crisi economica a trovarsi un lavoro sottopagato e non in linea con le sue competenze, simboleggia il “collettivista” duro e puro, l’intransigente, quello del “tutto o niente”.

Souvarine, intelettuale disilluso, è invece l’anarchico della distruzione per la ricostruzione. Pensa che gli incendi e il terrorismo siano la strada da seguire, che gli scioperi e i sabotaggi non siano altro che un rimandare quello che dovrà essere comunque fatto. Con la violenza.

Rasseneur infine rappresenta “il mondo possibile”. Quello che oggi si chiamerebbe la politica riformista. Ha una sua attività, una taverna, che spesso viene utilizzata per adunate politiche.

Devo dire che personalmente mi ritrovo nell’ultima posizione anche se — devo ammettere — gli ultimi episodi sociali stanno facendo vacillare le mie convinzioni. Quello che mi rattrista è che, per i grandi problemi che l’umanità spesso si trova davanti, il riformismo non “fa presa”, sembra non funzionare, anche se — a mio avviso — sia la posizione più razionale tra le tre. Deve sempre esserci una “rottura”, un evento catastrofico, affinchè si prenda atto che l’attesa della soluzione non è più procrastinabile.

Esempi grandi e piccoli ce ne sono. Più o meno calzanti con la rivolta di Minneapolis. Ma si fa per capirci. Che il debito pubblico fosse sul lungo periodo insostenibile nel mercato concorrenziale moderno lo si sapeva. Da molto. C’è voluta la crisi dei debiti sovrani, con la quasi fine dell’euro e dell’europa, per dare finalmente delle regole sulla spesa pubblica. Lo smart working, altra soluzione ai problemi di mobilità delle grandi città. Molte aziende lo facevano già, ma solo come “esperimento” e non come questione fondamentale per risparmiare ore e ore di tempo di lavoro buttato nel cesso delle tangenziali. Tempo improduttivo e inquinante. E anche qui c’è voluto il coronavirus per parlarne in modo serio e “definitivo”. Che dire poi della “questione operaia”. Una rivoluzione bolscevica, uno stato totalitario disfunzionale e anti-economico che facesse da “sentinella” per gli eccessi dello sfruttamento del lavoro. “Dateci lo statuto dei lavoratori o diamo un colpo di telefono in unione sovietica.” Questo, neanche tanto nascosto, era il “motore” dell’emancipazione operaia e del lavoratore. Sarò pessimista ma comincio a pensare così. Il miglioramento del benessere sociale ed economico del cittadino sul lungo periodo sembra una costante opera riformista, lenta ed inesauribile, proveniente dalla “collettiva razionalità dell’umanità” ma visto e analizzato in modalità giorno-per-giorno anno-per-anno, più che tesi-antitesi-sintesi sembra un’ opera di bombe, terrorismo e corruzione pubblica lavata con ghigliottine forcaiole.

La questione della violenza della polizia negli stati uniti nei confronti della minoranza nera è un fatto. Conclamato, appurato. Non sono “mele marce”, sono una larga maggioranza delle forze di polizia. E’ il “sentire comune” della divisa in america. Inutile girarci intorno. E’ una questione annosa, pluriannosa e non se ne viene a capo. Essendo un problema profondo e reale non si poteva — e non si può — affrontare in modalità simbolica. L’elezione di un afroamenticano alla casa bianca è una favola che l’america — ancora profondamente razzista — si è voluta raccontare.

Dopo la disgustosa scena in diretta streaming dell’omicidio del ragazzo afroamericano da parte del poliziotto a tutta prima sono uscite notizie da parte delle agenzie di stampa che accompagnavano la descrizione dell’evento principale con contorni di “persona fermata che appariva sotto effetto di alcol e droga”, “persona con pregressi problemi respiratori”, “problema medico”. Problema medico, rendiamoci conto.

Ancora, il reato viene classificato come “omicidio di terzo grado” che significa “situazione in cui, senza intenzione di uccidere, si provoca la morte di un’altra persona compiendo un’azione crudele e molto pericolosa per gli altri, mostrando di non avere riguardo per la vita umana”.

Ci prendiamo per il culo?

Voglio dire, se metto le mani intorno al collo ad una persona fino a che non respira più, lo sto strangolando o sto “compiendo una pericolosa azione senza intenzione di uccidere”?

Si è scritto — e per me è ancora peggio — che si è scelto di perseguire questo reato perché l’omicidio volontario sarebbe stato più difficile da dimostrare. Chiunque guardi quel video — intendo chiunque abbia una intelligenza nella media — comprende bene qual era la volontà del poliziotto e il diprezzo per la vita del fermato che trasudava dal suo incommentabile comportamento. Mi si può controbattere: “eh allora sei forcaiolo!”. No, proprio per il fatto che sono garantista, non voglio che qualcuno vada al gabbio purchessia ma per il reato che ha effettivamente commesso. Senza scappatoie. Se non si dovesse provare oltre ogni ragionevole dubbio il reato, il poliziotto non deve farsi neanche un giorno di galera. Questo è garantismo. Giudicare la persona per cosa ha fatto e non lavorare di fantasia per “trovare” un reato da “combinare” alla situazione.

Per quanto riguarda i saccheggi, c ‘è poco da fare. Se la vita umana non viene rispettata, se chi si sente derubato legalmente del principio più importante che è la propria vita, allora non vale più nulla, nessun tipo di norme legali avrà valore. Dal divieto di sosta alla difesa della proprietà privata. Le rivolte, come suggerisce la parola stessa, “capovolgono” l’ordine costituito legalmente.  Lenin scriveva che il primo atto di una rivoluzione è quello di svuotare le carceri. Niente condanna per una legge che non esiste più.

E torno a Germinal. Stefano Lantier proclama uno sciopero perchè la situazione non è più sostenibile da tempo. I minatori non hanno più soldi per comprarsi i generi di prima necessità. Lo sciopero diventa generale e — nonostante si cerchi di tenerlo pacifico — partono le prime distruzioni delle proprietà delle società minerarie. Vengono poi prese a sassate le case dei “borghesi”. Infine l’omicidio di un mercante che faceva prostituire le donne per un tozzo di pane. Al mercante una donna, la Bruciata, strappa i coglioni e li appende ad una forca e prosegue la manifestazione marciando con quell’affarino in bella mostra. La rabbia diventa rivolta violenta.

 

Questa rivolta violenta spazza via quello che per me è sempre stata la via maestra per il “mondo possibile”. Trovare sempre un compromesso razionale per la risoluzione dei problemi. A me sembra che ultimamente si cerchi di “far finta di niente”, di negare i problemi fino a quando poi non esplodono. Questa mancanza di coraggio, questo non volontà di riformare, da parte della classe dirigente tutta a me sembra pericolosa. La mia speranza è sempre che ci sia una via moderata per i problemi, anche i più complessi. Negli stati uniti la polizia, nella sua stragrande maggioranza, ha un comportamento razzista nei confronti delle minoranze etniche. Non è cambiato poi molto dall’Alabama del 1955. A questo punto la polizia statunitense non deve essere “riformata” ma “rivoluzionata”, non si scappa. Non entro nel merito di cercare una educazione civica migliore per combattere l’ignoranza perché il termine educazione fa molto stato etico e a me non piace molto a dirla tutta.

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