Il DDL anticorruzione

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    Anonimo
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    Come sappiamo tutti, qualche giorno fa il Senato ha licenziato il testo del ddl anticorruzione, che ora va alla Camera dove, salvo imprevisti, dovrebbe essere approvato senza ulteriori modifiche.
    Il realtà solo la prima parte del ddl è riservata alla corruzione, mentre la seconda parte reintroduce i reati societari che, di fatto, erano stati eliminati con la riforma del 2003 voluta dall’allora Governo Berlusconi.
    La parte relativa alla corruzione e ai delitti contra la p.a. ha un approccio più che altro quantitativo: si interviene sull’apparato sanzionatorio, inasprendo le pene e riducendo le possibilità di prescrizione del reato e di sospensione condizionale della pena. Poco o nulla sulla prevenzione, ma è anche vero che questa è una tipica legge di diritto penale, quindi si occupa soprattutto della sanzione.
    Nello specifico, si aumenta il periodo massimo della pena accessoria dell’impossibilità di contrattare con la pa, che arriverà fino a un massimo di cinque anni; si abbassa la pena minima prevista per la risoluzione del rapporto di pubblico impiego, da tre a due anni (nel caso di condanna per reati contro la pubblica amministrazione);si interviene sulla sospensione nell’esercizio di un’arte o professione stabilendo un minimo di tre mesi e un massimo di tre anni; poi si stabiliscono le seguenti pene:
    peculato: da 4 anni a 10 anni e 6 mesi;
    corruzione per esercizio della funzione: da uno a sei anni;
    corruzione contro gli atti dell’ufficio: da sei a dieci anni;
    corruzione in atti giudiziari: da sei a dodici anni, da sei a dodici se come conseguenza è derivata una condanna ingiusta di un terzo alla pena non superiore a cinque anni di reclusione, da otto a venti se la condanna è superiore ai cinque;
    induzione indebita: da sei a dieci e sei mesi;
    in generale si stabilisce che “la sospensione condizionale della pena è comunque subordinata al pagamento di una somma equivalente al profitto del reato ovvero all’ammontare di quanto indebitamente percepito dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di un pubblico servizio, a titolo di riparazione pecunaria in favore dell’amministrazione lesa dalla condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio, ovvero, nel caso di cui all’articolo 319-ter, in favore dell’amministrazione della giustizia, fermo restando il diritto all’ulteriore eventuale risarcimento del danno”.
    Viene introdotta una nuova formulazione del reato di concussione:
    Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità, è punito con la reclusione da sei a dodici anni.
    La sola differenza è che ora risponde del reato anche l’incaricato di pubblico servizio, mentre prima solo il pubblico ufficiale.
    Viene introdotto poi un nuovo articolo:
    «Art. 322-quater. — (Riparazione pecuniaria). — Con la sentenza di condanna per i reati previsti dagli articoli 314, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320 e 322-bis, è sempre ordinato il pagamento di una somma pari all’ammontare di quanto indebitamente ricevuto dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di un pubblico servizio a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell’amministrazione cui il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio appartiene, ovvero, nel caso di cui all’articolo 319-ter, in favore dell’amministrazione della giustizia, restando impregiudicato il diritto al risarcimento del danno».
    Particolarmente interessante è la disposizione secondo la quale il patteggiamento potrà essere concesso solo a condizione che sia integralmente restituito il prezzo o il profitto del reato.

    La seconda parte, come ho già scritto, reintroduce i reati societari, cioè quei reati che sono commessi nell’esercizio delle funzioni proprie degli organi delle società, e che erano stati sostanzialmente depenalizzati con la riforma del 2002.
    Curiosamente tali reati non sono presenti nel codice penale, ma in quello civile, per una scelta che fece il legislatore del 1942, scelta che, secondo alcuni autori, denotava un chiaro intento ideologico, ovvero di riservare i reati del codice penale ai delinquenti comuni, i malfattori da strada, in altre parole il proletariato criminale, mentre poneva nel più “nobile” codice civile i reati borghesi.
    Tale ricostruzione, a mio parere, è priva di fondamento, per una fondamentale ragione: nel codice penale sono, in realtà, stati inseriti numerosi reati tipici da colletti bianchi, basti pensare alla corruzione.
    Certo è invece il fatto che, per molto tempo, i reati “borghesi” sono stati ritenuti meno gravi, meno suscettibili di destare l’allarme sociale, quindi caratterizzati da pene minori.
    In quanto alla scelta di inserirli nel codice civile (ma si potrebbe anche dire lo stesso dei reati di bancarotta, inseriti nella legge fallimentare), questo rispondeva probabilmente a un intento sistematico, certamente più che discutibile.
    Veniamo a noi.
    Il ddl riscrive il reato di false comunicazioni sociali, stabilendo che “Fuori dai casi previsti dall’articolo 2622, gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori, i quali, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico, previste dalla legge, consapevolmente espongono fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore, sono puniti con la pena della reclusione da uno a cinque anni.
    La stessa pena si applica anche se le falsità o le omissioni riguardano beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi.”.

    E ancora : «Art. 2621-bis. (Fatti di lieve entità). — Salvo che costituiscano più grave reato, si applica la pena da sei mesi a tre anni di reclusione se i fatti di cui all’articolo 2621 sono di lieve entità, tenuto conto della natura e delle dimensioni della società e delle modalità o degli effetti della condotta.
    Salvo che costituiscano più grave reato, si applica la stessa pena di cui al comma precedente quando i fatti di cui all’articolo 2621 riguardano società che non superano i limiti indicati dal secondo comma dell’articolo 1 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267. In tale caso, il delitto è procedibile a querela della società, dei soci, dei creditori o degli altri destinatari della comunicazione sociale.
    Art. 2621-ter. (Non punibilità per particolare tenuità) — Ai fini della non punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all’articolo 131-bis del codice penale, il giudice valuta, in modo prevalente, l’entità dell’eventuale danno cagionato alla società, ai soci o ai creditori conseguente ai fatti di cui agli articoli 2621 e 2621-bis».

    Una disposizione apposita riguarda le società quotate, per le quali è previsto che ” Gli amministratori, i direttori generali, i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari, i sindaci e i liquidatori di società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell’Unione europea, i quali, al fine di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto, nei bilanci, nelle relazioni o nelle altre comunicazioni sociali dirette ai soci o al pubblico consapevolmente espongono fatti materiali non rispondenti al vero ovvero omettono fatti materiali rilevanti la cui comunicazione è imposta dalla legge sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale la stessa appartiene, in modo concretamente idoneo ad indurre altri in errore, sono puniti con la pena della reclusione da tre a otto anni.
    Alle società indicate nel comma precedente sono equiparate:
    1) le società emittenti strumenti finanziari per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell’Unione europea;
    2) le società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un sistema multilaterale di negoziazione italiano;
    3) le società che controllano società emittenti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell’Unione europea;
    4) le società che fanno appello al pubblico risparmio o che comunque lo gestiscono.
    Le disposizioni di cui ai commi precedenti si applicano anche se le falsità o le omissioni riguardano beni posseduti o amministrati dalla società per conto di terzi.”.

    Le nuove disposizioni tendono quindi a sanzionare tutte quelle comunicazioni che gli amministratori possano rivolgere ai terzi o ai soci, che alterino in maniera sensibile la conoscenza degli stessi della reale situazione della società, portando, evidentemente, a scelte che potrebbero rivelarsi dannose per loro.
    Pensiamo all’ipotesi più semplice e comune di un investitore cui sia richiesto di partecipare al capitale di una società. Oppure pensiamo a un imprenditore cui sia richiesto di entrare in affari con altra società. In entrambi i casi, la comunicazione di informazioni false può indurre tali soggetti a scelte patrimoniali rilevanti che non sarebbero invece effettuate qualora si fosse a conoscenza del fatto che, magari, la società ha un livello di indebitamento molto più elevato o che non possa vantare realmente tutti gli asset dichiarati.
    Corretta mi para la distinzione per le società quotate. In questo caso l’impatto del comportamento fraudolento è molto più grave, coinvolgendo grandi quantità di investitori e di risparmiatori, potendo anche, in alcuni casi, condizionare un intero mercato o l’economia nazionale.
    Tuttavia, per le società non quotate, in particolare per le srl, sarebbe opportuno rivedere una serie di disposizioni del codice civile che consentono agli amministratori disonesti di nascondere le informazioni di bilancio, con il rischio di depotenziare parzialmente il reato di false comunicazioni sociali.
    Sarebbe inoltre opportuno che tale reato includesse anche il fenomeno degli indirizzi finti, cioè quei casi, moltissimi, di società che dichiarano al registro delle imprese una sede che non corrisponde poi alla sede reale della società, riuscendo così spesso a sottrarsi alle azioni esecutive dei creditori.

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