A proposito di led e luce blu.

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  • #11442
    Anonimo
    Inattivo

    Prendo spunto da una precedente breve discussione su questo blog, che partiva dal recente premio Nobel per la scoperta del led blu e divagava abbastanza a casaccio sulla materia. Due aspetti della questione venivano discussi: la luce e la percezione della luce e dei colori.
    Non sarei in condizione di approfondire la questione in maniera rigorosamente scientifica: quanto segue è un riassunto di nozioni estraibili dalla letteratura scientifica di tipo divulgativo e da ciò che rimane dei corsi di fisica al politecnico, e va preso con beneficio di inventario. Nessuna pretesa di essere esaustivi e nemmeno rigorosi nell’uso della terminologia.

    Parlando di luce e colori occorre partire dal campo elettromagnetico, argomento abbastanza complesso, trattato e trattabile secondo approcci diversi in fisica classica o quantistica. Mi limito ad accennare alla natura di campo elettrico e magnetico in maniera empirica.

    Il campo elettrico è sperimentabile attraverso la forza che si esercita tra particelle e corpi elettricamente carichi. L’esperimento banale, ma classico, consiste nello sfregare un materiale isolante e verificare che a seguito dello sfregamento esso esercita una forza debole, ma misurabile, su altri materiali (credo tutti abbiano provato prima o poi a sfregare un righello di plastica ed avvicinarlo a pezzetti di carta, ai peli del braccio o ai capelli del compagno di scuola nel banco davanti).
    Questa forza è attribuita alle cariche elettriche (agli elettroni) che si accumulano sul materiale isolante a seguito dello sfregamento.

    Il campo magnetico è sperimentabile attraverso la forza esercitata tra due conduttori percorsi da corrente elettrica, o tra un elettromagnete e un pezzo di materiale ferroso. La corrente elettrica che genera il campo è attribuita al movimento di cariche elettriche. Le stesse cariche che generano il campo elettrostatico, quando si muovono generano un campo magnetico.

    Il campo elettromagnetico è una combinazione dei due e non è altrettanto facile da sperimentare.
    Si è detto che le cariche elettriche generano effetti misurabili come forze su cariche elettriche distanti tra loro. Variando la posizione o la velocità delle cariche che generano un campo, varieranno anche i loro effetti misurati su cariche distanti, ma gli effetti a distanza non si manifestano istantaneamente. Le variazioni si propagano ad una velocità ben definita: la velocità della luce.
    In fisica (ma anche nella vita comune) i fenomeni più interessanti sono legati alla variazione delle grandezze fisiche, più che al loro valore assoluto. Un campo elettrico ci dice che da qualche parte nello spazio che ci circonda esistono delle cariche elettriche di cui possiamo stimare, per esempio, la posizione. Ma la cosa finisce lì.
    Un campo elettromagnetico ci dice però che le cariche elettriche si stanno muovendo secondo una certe legge, e questo ci consente, per esempio, di trasmettere informazione associata alla legge di moto delle cariche.
    Per inciso, e senza entrare in ulteriori dettagli, la radiazione elettromagnetica, oltre a trasportare informazione, trasporta energia attraverso lo spazio.

    Una breve digressione a proposito di grandezze fisiche e loro variazioni.
    In natura qualsiasi variazione di una grandezza fisica avviene, in pratica, a sensi alternati:
    la velocità di un elettrone non può semplicemente aumentare, a causa del limite imposto dalla teoria della relatività ma anche il senso comune ci dice che qualsiasi oggetto accelerato a qualsiasi velocità, prima o poi finisce per rallentare e fermarsi, anche se si trova in orbita attorno alla terra a causa dell’attrito con le rarissime particelle.
    Saltando una enorme quantità di passaggi storici e logici, mi limito qui a ricordare che già nel diciottesimo secolo fisici e matematici come Fourier erano arrivati a stabilire che la maggior parte delle funzioni matematiche (per esempio quelle che descrivono la legge di moto di un elettrone accelerato da un campo elettrico) si possono descrivere come somma di funzioni armoniche, ossia come una serie di oscillazioni di diversa frequenza che si sommano dando come risultato una funzione non periodica.
    Nei fenomeni che sperimentiamo quotidianamente attraverso i sensi, le grandezze che percepiamo variano in maniera relativamente lenta e il sapere che la loro variazione si può descrivere attraverso la somma di oscillazioni periodiche non ci dice granché, ma in fisica il concetto è molto utile.
    Alcune grandezze variano a volte in maniera talmente rapida che non è possibile e neanche utile descrivere il loro valore istantaneo; è sufficiente conoscere la frequenza alla quale oscillano.
    Nel caso specifico: la radiazione elettromagnetica è associabile al movimento di elettroni le cui variazioni sono talmente rapide da poter essere descritte in termini di frequenza piuttosto che dal loro valore istantaneo.
    Altro concetto buttato lì:
    sopra ho detto che la radiazione elettromagnetica trasporta energia.
    Aggiungo che l‘energia si associata alla radiazione aumenta con la frequenza.

    E veniamo alla luce.
    La radiazione elettromagnetica si manifesta nell’esperienza comune in modi diversi, in funzione della frequenza della radiazione stessa (alternativamente: in funzione dell’energia associata).
    Nella trasmissione di informazione la radiazione elettromagnetica avviene in un campo di frequenza all’interno del quale si possono realizzare circuiti elettrici sensibili alla frequenza della radiazione stessa.
    I cosiddetti canali di radio e televisione, corrispondono a frequenze specifiche. Il sintonizzatore di radio e televisione (o di un telefono cellulare o di qualsiasi dispositivo per telecomunicazioni) non fa altro che separare e distinguere i singoli canali in funzione della frequenza delle onde elettromagnetiche emesse dai trasmettitori.

    I circuiti elettronici di uso comune, per una serie di motivi che non si possono discutere qui, funzionano solo in un certo campo di frequenze. Quindi non sono in grado di utilizzare frequenze troppo altre o troppo basse, e sono in certo senso ciechi a queste frequenze. Nell’organismo umano, per contro, non esistono meccanismi adatti a rilevare radiazione elettromagnetica nel campo di frequenze utilizzate per le trasmissioni.

    Che succede della radiazione al di fuori di questo campo di frequenze?
    Ovviamente non va persa; c’è associata una quantità di energia e l’energia non si perde mai.
    La radiazione al di fuori del campo di frequenza dei dispositivi di telecomunicazione può essere rilevata attraverso meccanismi diversi da quelli utilizzati dai ricevitori elettronici e in particolare l’evoluzione ha prodotto negli esseri viventi meccanismi in grado di rilevare la radiazione elettromagnetica in un campo di frequenze centrato nell’intorno delle frequenze più comuni sulla faccia della terra.

    La radiazione più comune sulla faccia della terra altro non è che la luce solare, ossia radiazione elettromagnetica a frequenze enormemente più alte di quelle a cui avvengono le trasmissioni radio.
    Ciò che chiamiamo luce è in pratica radiazione elettromagnetica emessa da un corpo caldo (un gas nel caso del sole) le cui particelle, che sono elettricamente cariche, si muovono di moto casuale, urtano tra di loro e con le pareti del contenitore. Il movimento caotico delle particelle cariche genera radiazione elettromagnetica che trasporta verso l’eterno l’energia prodotta nel sole dalle reazioni di fusione nucleare che trasformano l’idrogeno in elio e altri nuclei atomici più pesanti.
    Il movimento caotico è determinato dalla temperatura; la velocità media delle particelle aumenta con la temperatura e l’emissione termica avviene in un campo di frequenze (il termine usato in fisica è: “spettro”) continuo, il cui valor medio cresce al crescere della temperatura e la radiazione di un corpo come il sole dipende dalla sua temperatura alla superficie.

    Alle energie che corrispondono alla luce solare i meccanismi in grado di rilevare la radiazione sono a livello microscopico. Alcune cellule della retina contengono proteine la cui forma viene alterata temporaneamente dalla radiazione elettromagnetica incidente; l’alterazione della proteina provoca reazioni chimiche che liberano neurotrasmettitori che a loro volta vengono recepiti dalle sinapsi di cellule nervose specializzate. La reazione viene alla fine trasmessa alle aree del cervello dedicate ad elaborarla.
    A livello microscopico la fisica classica perde visibilmente colpi. Nel caso specifico la fisica classica non spiega il motivo per cui alcune grandezze vengono “quantizzate”, ossia non possono assumere valori arbitrari ma solo valori specifici. Saltando a piè pari una serie di considerazioni che riempirebbero parecchi volumi, in conseguenza di quanto sopra le reazioni a livello cellulare della retina risultano avvenire a specifici livelli di energia e non su tutto lo spettro della luce solare.

    L’occhio umano ha pertanto evoluto, tra diversi possibili meccanismi, tre diversi tipi di fotorecettori (i cosiddetti coni) sensibili a tre livelli energetici (o frequenze) della luce solare. Le tre frequenze sono quelle che corrispondono ai colori rosso, giallo e blu.
    La luce solare (quella che chiamiamo luce bianca) ha, come detto sopra, uno spettro continuo e quindi attiva simultaneamente i tre recettori.
    I LED (Light Emitting Diode) emettono radiazione elettromagnetica attraverso meccanismi completamente diversi da quelli alla base della radiazione termica del sole.
    La radiazione non è causata da agitazione termica caotica ad alta temperatura, ma da meccanismi legati ai salti di energia degli elettroni all’interno di un reticolo di cristalli semiconduttori. Alle scale tipiche degli atomi dei cristalli le energie sono quantizzate e l’energia emessa da un LED non ha lo spettro continuo della luce solare ma un spettro discreto. Il led emette cioè radiazione ad una specifica frequenza, o se si preferisce, luce monocromatica.
    Detto che la luce solare (bianca) ha uno spettro continuo, è praticamente impossibile riprodurla tramite dei LED monocromatici.
    E’ però possibile simularla, ingannando l’occhio umano mediante una luce tricromatica composta dalle tre frequenze alle quali sono sensibili i tre recettori della retina. I tre recettori sono comunque non sensibili alle frequenze intermedie e quindi non sono in grado di distinguere lo spettro continuo dallo spettro discreto della luce tricromatica.

    Quindi c’è una differenza tra luce bianca e ciò che percepiamo come luce bianca.
    C’è differenza tra la luce solare, la luce di una lampadina e la luce bianca prodotta da tre led.
    E al di là delle sfumature di colore, ci sono differenze fisiche importanti che si possono approfondire, se l’argomento interessa, per quando riguarda le conseguenze in termini energetici e per quanto riguarda in generale le percezioni sensoriali e la rappresentazione che attraverso di esse ci facciamo della realtà.

    #11443
    Antonella Baroni
    Partecipante

    vuoi farne una cosa a puntate?
    a me è stato utile, e sarei per la pubblicazione…vediamo se c’è Pallacorda stasera…possiamo sempre rimediare in altro modo, comunque.
    mi piacerebbe mettessi un accenno ad animali che hanno percezione diversa del fenomeno ‘luce’, da noi.
    magari la prossima volta, ma anche questa, se vuoi 🙂
    attendiamo per un po’ di ore che dice il mod , e intanto grazie 🙂

    #11444
    Anonimo
    Inattivo

    Aspetta a contattare Pallacorda.
    Ho cose da aggiungere, se ti interessano le puoi leggere.
    francamente non mi interessa pubblicare.

    #11445
    Antonella Baroni
    Partecipante

    potrebbe interessare a molti caproni, il riassunto di cose che fosre hanno dimanticato, forse mai studiato, forse mai compreso…potrebbe essere utilissimo anche a mille domande e risposte, che sono meglio di stare aprendere in giro qualche baluba, no?

    #11446
    Pallacorda
    Amministratore del forum

    A proposito della luce bianca: l’occhio è molto sensibile alla tonalità del bianco.
    Unendo LED di diverse lunghezze d’onda si ottiene spesso luce “fredda”, molto sgradita per l’illuminazione di abitazioni.
    Per questo le lampade LED fanno molta fatica ad essere utilizzate comunemente nelle case. Le lampade LED migliori sono ovviamente più costose.

    L’indice che quantifica l’approssimazione dello spettro di una lampada rispetto a quello dell’emissione di corpo nero è il Color Rendition Index.

    E’ il mio campo di ricerca, nel caso ve lo chiedeste 😛

    #11448
    Antonella Baroni
    Partecipante

    beh…allora…io che sarei una che ‘arreda’, ho spesso il problema della tipologia di luce…e quella ‘fredda’ è la meno gradevole per gli ambienti di permanenza, , memntre è ottima per per zone di passaggio, magari a forte attenzione estetica, come una scala, o un corridoio, o alcuni angoli ‘polarizzanti.
    quindi ovviamente mi interessa molto, anche perchè modifica l’affaticamento nel tempo degli occhi, e la percezione degli altri colori dell’ambiente…oltre essere che una questione di risparmio energetico di tutto il baraccone.
    quindi secondo me approfondire, in qualsiasi modo sia, la cosa, ha moltissimo risvolti interessanti, di tutti i tipi 🙂

    #11455
    Anonimo
    Inattivo

    Continuando sull’argomento.

    LED vs lampade a incandescenza.
    La lampadina ad incandescenza, a differenza del LED, utilizza lo stesso meccanismo di emissione del sole, riscaldando un filamento ed emettendo uno spettro continuo.
    Nella luce emessa dalla lampadina (ma anche in quella del sole) sono pertanto presenti componenti a bassa e alta frequenza alle quali i recettori della retina non sono sensibili. Questa radiazione è pertanto inutile ai fini dell’illuminazione per l’occhio umano.

    Le frequenze più basse (nel cosiddetto infrarosso) vengono per lo più assorbite dalla maggior parte delle superfici e finiscono per riscaldare il corpo sul quale incidono e lo stesso vetro della lampadina.
    Il riscaldamento della lampada e delle superfici illuminate è indice del cattivo rendimento delle lampade ad incandescenza.

    I LED emettono luce solo nelle tre frequenze a cui sono sensibili i recettori della retina, e non “sprecano” energia emettendola là dove l’occhio non la può utilizzare; da qui il loro alto rendimento.

    Le lampadine a fluorescenza utilizzano meccanismi di emissione diversa, ed emettono uno spettro continuo ma più stretto delle lampade ad incandescenza: il loro rendimento sta tra i LED e le lampade a incandescenza e su queste non mi dilungo.

    Per quanto riguarda le tonalità di bianco, quelle a cui comunemente si fa riferimento in termini di luce calda o fredda:
    Fin qui ho detto che la luce bianca ha uno spettro piatto ed eccita in egual misura i tre recettori della retina. Si tratta di una approssimazione; andando nel dettaglio si vede che lo spettro della luce solare non è esattamente piatto, è in realtà “abbastanza piatto” nel visibile, con componenti nell’infrarosso e nell’ultravioletto che sono descritte dal cosiddetto spettro di emissione di corpo nero, descritto per la prima volta da Max Planck in base alla teoria quantistica, riveduto e corretto sperimentalmente per tenere conto di fenomeni quali l’assorbimento selettivo di alcune componenti da parte dell’atmosfera.
    La frequenza alla quale il corpo nero emette con maggior intensità è comunemente chiamata Temperatura di Colore e corrisponde alla temperatura superficiale del corpo nero. In maniera alquanto grossolana la temperatura di colore distingue tra le varie tonalità di luce bianca.
    Interessante notare che la terminologia è abbastanza fuorviante rispetto alla realtà fisica: normalmente si definisce calda la luce emessa con una temperatura di colore spostata verso il giallo (a metà strada tra rosso e verde) che in realtà corrisponde al’emissione di un corpo più freddo del sole. La temperatura delle lampade ad incandescenza sta intorno a 3,000 gradi kelvin, mentre il sole sta intorno ai 5,500.
    Finora ho evitato grafici e formule, ma qui ci sta almeno una immagine dello spettro di emissione di corpo nero.

    http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/1/19/Black_body.svg/440px-Black_body.svg.png

    Notare che la radiazione sulle ascisse è indicata attraverso la lunghezza d’onda, che è inversamente proporzionale alla frequenza: sta a dire che nel grafico le frequenze più alte (ultravioletto) stanno a sinistra e le più basse (infrarosso) a destra.
    Se è vero che una immagine rende più di mille parole, evito di dilungarmi in commenti, se non per notare che la maggior parte della radiazione emessa dal sole si trova in effetti nella zona dell’infrarosso, non utilizzata dall’occhio umano, e che la lampadina ad incandescenza, che produce una luce più “calda” sta messa ancora peggio. Su questo punto faccio una considerazione aggiuntiva più avanti.

    Qualsiasi monitor a LED consente attraverso il menù di set-up di alterare il bilanciamento del bianco, ossia di alterare l’intensità delle componenti in modo da ottenere una temperatura di colore più realistica o più piacevole. I LED bianchi in commercio attualmente sembrano produrre una luce fredda; non credo si tratti di una limitazione intrinseca alla tecnologia quanto di una scelta. Bilanciando diversamente l’intensità delle componenti tricromatiche dovrebbe essere possibile ottenere qualsiasi temperatura. Forse la tonalità fredda è scelta perché in questo modo i colori risultano più vivaci e contrastati. La tecnologia LED è abbastanza giovane e mi aspetto che col tempo l’offerta commerciale si amplierà per offrire una scelta di temperature, cosa peraltro avvenuta in passato per le lampade a fluorescenza.
    I programmi di fotoritocco che consentono di modificare la tonalità di una fotografia, agiscono mediante lo stesso meccanismo, amplificando o attenuando con pesi diversi le tre componenti cromatiche della fotografia.

    Limiti della percezione sensoriale:
    Il fatto che la retina sia sensibile solo ad una parte della luce emessa dal sole, e sia quindi in grado di percepirne solo una parte, può indurre alcune considerazioni che esulano dall’ambito propriamente fisico.
    La considerazione più immediata sta nel fatto che il colore, che percepiamo come una qualità fisica degli oggetti che osserviamo, non è in realtà una qualità fisica ma una estrapolazione dei dati parziali che il sistema nervoso riceve dai fotorecettori.
    Se la retina avesse un sensore posizionato tra il rosso e il verde, saremmo in grado di distinguere un segnale bicromatico composto dalla sovrapposizione di due segnali monocromatici centrati su rosso e verde da un segnale monocromatico centrato a metà dei due, che li eccita in eguale misura. Quindi, quello che percepiamo come giallo, giallo propriamente non è, a meno di non accordarci su ciò che veramente si intende per giallo.

    Le stesse considerazioni si potrebbero fare per altri aspetti dell’informazione sensoriale (visiva e non visiva) e della loro percezione tramite il sistema nervoso centrale; la conclusione di queste considerazioni porta inevitabilmente a concludere che la realtà che percepiamo attraverso i sensi è pesantemente mediata dai limiti fisici dei sensori di cui siamo dotati e dal sistema nervoso che ne elabora i segnali e, per dirla in maniera molto rozza, le cose non stanno esattamente come ci sembra. A questa considerazione si era ovviamente giunti per altre strade da secoli, ma qualche dato oggettivo è utile a rafforzare il concetto.

    Sarebbe possibile una percezione più completa dell’informazione contenuta nei segnali luminosi?
    E se sì, come mai l’evoluzione non ci ha dotato di fotorecettori sensibili, per esempio, all’infrarosso?
    La risposta è sì, sarebbe possibile, ma anche no. Forse ni.
    L’evoluzione, innanzitutto, fornisce una soluzione adattativa all’ambiente, non necessariamente la soluzione migliore in assoluto. Poiché le mutazioni oggetto di selezione naturale sono casuali, è possibile che certe soluzioni non si siano evolute semplicemente perché poco probabili.
    Ma ci sono altre considerazioni su base fisica.
    La retina non è l’unico componente del complesso sistema visivo.
    La retina fa la funzione che in passato veniva svolta dalla pellicola e che nelle fotocamere moderne viene svolta dai sensori a stato solido.
    Perché una macchina fotografica funzioni, occorrono altri componenti, in particolare un’ottica (le lenti dell’obbiettivo) che consenta di focalizzare l’immagine sulla pellicola (o sul sensore, o sulla retina).
    I rettili hanno sviluppato dei recettori per l’infrarosso sensibili alla temperatura del corpo dei mammiferi, che consentono loro la caccia al buio, quando i mammiferi sono ciechi, per mancanza di luce, e guidano inconsapevolmente i rettili predatori attraverso la radiazione emessa non dal sole, ma dal loro stesso metabolismo.
    Possiamo dire che i rettili “vedono” nell’infrarosso qualcosa che noi non vediamo?
    Di nuovo: sì e no.
    I rettili sono dotati di sensori all’infrarosso, ma non di un sistema ottico che consenta di focalizzarli, perché il cristallino (così come i materiali trasparenti più comuni quali vetro e acqua) è opaco all’infrarosso.
    L’evoluzione non ha prodotto una proteina, un tessuto, un organo adatti a costruire una lente per l’infrarosso: i serpenti possono solo percepire vagamente la presenza di un oggetto caldo, possono percepire probabilmente la sua posizione e la sua dimensione, ma non possono mettere a fuoco i dettagli.
    Probabilmente, aiutandosi con altri sensi quali l’olfatto, possono distinguere un toporagno da un mucchietto di sabbia calda, ma non lo possono “vedere” nel senso che intendiamo noi. Potremmo considerarlo un sesto senso diverso dalla vista, e non abbiamo modo di immaginare come il rettile percepisca questa informazione sensoriale perché non solo non abbiamo i sensori, ma neanche i circuiti cerebrali che li elaborano e generano la percezione.

    Per quanto riguarda l’ultravioletto, pare invece che gli uccelli siano dotati di un recettore retinale per l’ultravioletto e siano quindi in grado di vedere, nel senso proprio del termine, dei colori aggiuntivi rispetto a quelli che percepiamo noi.
    Pare, sottolineo il “pare”, che questi colori aggiuntivi siano utilizzati per distinguere diverse sfumature nel piumaggio, già eccezionalmente variegato ai nostri occhi, in alcune specie di uccelli.
    Le sfumature di colore delle piume pare (di nuovo) abbiano un ruolo importante nelle strategie di corteggiamento e accoppiamento, e quindi assumono un ruolo nella strategia riproduttiva. Si tratta in sostanza una specie di carattere sessuale secondario.
    Negli umani questo recettore non si è sviluppato, oppure è andato perso, probabilmente perché le strategie riproduttive dell’ homo sapiens si basano su criteri diversi. Diciamo che l’ homo sapiens bada probabilmente al sodo, e meno alle sfumature, di quanto facciano i volatili.

    #11457
    Pallacorda
    Amministratore del forum

    Secondo me si puo’ postare.
    Bisogna sicuramente spezzare in piu’ parti, direi tre per quello che e’ stato scritto finora.

    E non ci vedo nulla di male nell’aggiungere grafici. E pure qualche bella immagine di LED, che fa colore 😀

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