Emergenza e diritti fondamentali. Il caso del Decreto Minniti.

Spesso ci lamentiamo del fatto che le norme giuridiche siano poco comprensibili, piene di cavilli che creano problemi invece di risolverle. Un altro problema di certe norme è che, a fronte di un’emergenza reale o presunta, come soluzione propongono una compressione dei diritti personali, spesso in violazione della Costituzione. Il Decreto Minniti, ovvero il DECRETO-LEGGE 17 febbraio 2017, n. 13, convertito con la legge di conversione 13 aprile 2017, n. 46, presenta entrambi i problemi.

In primo luogo, dopo che nel 2011 è stata approvata una riforma che mirava a ridurre a tre i riti per il processo civile, per favorire certezza del diritto e maggiore efficienze, è stato introdotto l’ennesimo processo speciale. Perché in questo paese, dovete sapere, ogni volta che si deve affrontare un problema si crea anche un processo civile ad hoc.

Partiamo dal dato positivo: la creazione delle sezioni specializzate nei tribunali in materia d’immigrazione e diritti di libera circolazione. Si tratta di materia complessa e pertanto la creazione di giudici appositamente preparati è da ritenersi positiva. Ma parliamo di competenza relativa alla disciplina sostanziale. C’era davvero bisogno di creare un rito ad hoc?

Prima della riforma le controversie in materia di protezione internazionale erano regolate dal rito sommario di cognizione, previsto dall’art. 702 bis del c.p.c., un rito normalmente più veloce di quello ordinario, grazie al fatto che l’istruttoria, normalmente solo documentale, è piuttosto limitata.

La decisione di rigetto della Commissione poteva essere impugnato entro trenta giorni avanti al tribunale e, contro la decisione del tribunale, poteva essere proposto reclamo avanti alla corte d’appello entro trenta giorni.

Con la riforma del 2017 cambiano alcune cose fondamentali. Prima di tutto non si applica più il 702 bis ma il 737 c.p.c., che non prevede l’obbligo dell’udienza in contraddittorio tra le parti. La motivazione è semplice: il 737, che disciplina quella che i giuristi chiamano giurisdizione volontaria, serve a risolvere normalmente problemi familiari, nei quali il giudice cerca di individuare qualche soluzione, oppure si applica a casi in cui non vi è contraddittorio (come per esempio quelli di equa riparazione). Già per questo sarebbe assolutamente inadeguato a una materia che verte su diritti fondamentali e in cui, quindi, il diritto di difesa deve essere manifestato in tutta la sua pienezza. Però diciamo che, fino a qua, il vulnus non era proprio grave.

Le cose gravi sono quelle previste in caso il tribunale emetta un decreto di rigetto.  Innanzitutto è stato abolito il grado di appello, che è invece previsto come regola generale dal nostro ordinamento, persino per le violazioni al codice della strada, invece non serve in casi che riguardano diritti fondamentali. Già questo è un primo profilo di possibile illegittimità costituzionale.

Quindi, contro il decreto si può proporre ricorso per Cassazione, entro e non oltre il termine perentorio di trenta giorni che decorrono dalla comunicazione, obbligatoria, del decreto al difensore del ricorrente. Badate bene, il codice di procedura civile prevede che il termine breve per proporre ricorso in Cassazione sia di sessanta giorni, cui si aggiungono gli eventuali trentuno giorni di sospensione feriale dei termini del mese di agosto.  Se la sentenza non è notificata, sempre secondo il codice, il termine per impugnare è sei mesi oltre agli eventuali trentuno giorni. Attenzione: nel nostro nuovo simpatico processo non si applicano i termini di sospensione feriale, per cui se la comunicazione del decreto arriva il 30 luglio il ricorso per cassazione deve essere proposto entro il 29 agosto.

Ora, già considerando la complessità della redazione di un ricorso per Cassazione, trenta giorni sarebbero troppo pochi, ma poi, come sanno gli avvocati che hanno, almeno una volta nella loro vita, presentato un ricorso avanti alla Suprema Corte, ci sono anche un sacco di adempimenti, da svolgere inderogabilmente entro la presentazione del ricorso. Per esempio, bisogna ritirare il fascicolo di parte di primo grado dal tribunale dove si è celebrato: quindi bisogna mandare qualcuno a Lecce, Palermo o Milano e ritirarlo. Poi bisogna depositare presso lo stesso tribunale una richiesta di trasmissione del fascicolo d’ufficio di primo grado, richiesta che, munita di timbro della cancelleria del suddetto tribunale, deve essere allegata in doppio originale al ricorso notificato quando lo si deposita in cassazione, insieme al fascicolo di parte di primo grado, alla copia autentica del provvedimento impugnato e una serie di altre cose. Il tutto sempre entro i termini perentori stabiliti dal decreto. Considerate che in Cassazione non c’è il processo telematico, quindi tutto si fa con la carta e recandosi personalmente in cancelleria.

Poi c’è la chicca della procura speciale. Il codice disciplina il contenuto della procura speciale da rilasciare al difensore per il giudizio di Cassazione, ma qua hanno ritenuto di dover integrare tale, articolata disciplina, con una clausole della quale proprio non si capisce il senso (o meglio, si capisce benissimo, con un po’ di malizia).  Si prevede che tale procura sia sottoscritta, a pena di nullità, in data successiva alla comunicazione del decreto di rigetto e che il difensore debba certificare la data. Avete indovinato qual è il vero scopo di tale disposizione? Io ho scoperto per caso la sua esistenza, molti avvocati certo non saranno così accorti (e sarebbe anche giustificabile, non si può neanche essere sicuri della procura per la Cassazione?). La nullità della procura determina la dichiarazione di improcedibilità del ricorso da parte della corte. Considerate che già senza tali norme la Cassazione usa qualunque cavillo per dichiarare l’improcedibilità e/o l’inammissibilità dei ricorsi, per cui capite che, per scriverne uno che abbia qualche possibilità di superare tale vaglio, trenta giorni sono davvero pochi. Se il ricorrente non si trova in Italia, sarà impossibile per lui presentare il ricorso per cassazione perché il difensore dovrebbe recarsi nel’eventuale altro paese per farsi sottoscrivere la procura con data successiva, visto che non è possibile farlo attraverso gli uffici consolari, come normalmente accade. Il bello è poi che molti ricorsi dovranno essere preparati in agosto, e si dovrà richiedere alle cancellerie competenti nello stesso periodo, a personale sotto organico per le ferie, tutta una serie di adempimenti.

La proposizione del ricorso non sospende automaticamente l’efficacia del decreto di rigetto e sin qui nulla quaestio. La cosa simpatica è che l’istanza di sospensione può essere presentata dalla parte al giudice che ha emesso il decreto (perché la Cassazione in quanto giudice del diritto e non del fatto, non può mai pronunciarsi sulla sospensione di un provvedimento impugnato, diversamente dalla corte d’appello) entro il termine perentorio di cinque giorni dalla proposizione del ricorso per cassazione. Quindi l’avvocato del ricorrente dovrà smazzarsi per fare tutte le cose di cui sopra entro trenta giorni, al fine di presentare il ricorso, ed entro cinque giorni successivamente dovrà depositare l’istanza di sospensione, a penda di decadenza, quando normalmente si può presentare, nel corso del giudizio d’appello, un’istanza di sospensione in qualunque momento, purché ne sussistano i presupposti.

 

Qua una scheda sul Decreto Minniti:

http://www.altalex.com/documents/news/2017/03/06/immigrazione-le-modifiche-normative-del-decreto-minniti

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