C’è un’ultima “domanda”

Premessa:

Da un paio di giorni sta impazzando (anche grazie a una certa propaganda fatta dai siti della galassia grillina, a cui mi secca un pochino accodarmi) il video di Alessio Grancagnolo, studente di Giurisprudenza all’Università di Catania, che ha fatto un intervento durante un convegno nel quale la ministra Maria Elena Boschi era venuta a discutere e spiegare la riforma costituzionale che si voterà ad ottobre.

Sono stata una studentessa anche io, davvero fino a troppo poco tempo fa per mettermi su un piedistallo rispetto a questo ragazzo, a questo collega. Allo stesso tempo, però, faccio presente che non solo il suo “intervento” non era previsto (in quanto non si trattava di un dibattito, ma di un convegno, che ha una durata fissa e limitata e alla cui fine si dovrebbero fare delle domande dall’oggetto definito, non dei comizi), ma che si è anche protratto per (circa) il doppio del tempo previsto e concesso agli altri studenti che sono intervenuti, motivo per il quale ad un certo punto è stato costretto ad intervenire il rettore. Come, credo, sappia chiunque sia stato a questo tipo di incontri, superare il tempo previsto per le domande è una grave mancanza di rispetto: in primo luogo perché non è giusto nei confronti degli altri, che hanno contenuto le proprie domande proprio in ragione del tempo limitato a disposizione, ma secondariamente perché anche i relatori possono avere altri impegni e il tempo “rubato” sarà stato sottratto non solo a loro, ma anche ai partecipanti dei successivi appuntamenti in programma.

La ministra comunque ha risposto all’intervento, risposta che sarà indubbiamente migliore della mia, però per forza di cose (sempre perché bisogna cercare di contenere i tempi il più possibile), ha dovuto “stringere” il succo della questione ed ignorare molti passaggi, concentrandosi sull’essenziale. Ecco perché, con un po’ più di calma e tempo a disposizione, cercherò di dare ad Alessio una risposta più completa, anche quotando alcuni passaggi e debunkando alcune inesattezze. Preparatevi perché sarà una cosa piuttosto lunga.

 

Metodo (comincia a 1.32, finisce a 3.24):
• Nessuna questione di fiducia è stata posta sulla riforma costituzionale. Sono stati usati certamente canguri e ghigliottine, ma ciò è stato fatto in risposta a un massiccio e strumentale ostruzionismo delle opposizioni (in particolare Lega e Sel), le quali hanno presentato migliaia di emendamenti completamente inutili ed elaborati tramite software. Comunque, ammesso e non concesso che si possa parlare di “forzatura” (ma poi dipende per cosa, il voto notturno è una forzatura?), il meccanismo ex art. 138 Cost. è stato rispettato alla lettera. Quanto alla “minaccia” di tornare ad elezioni, che comunque io non ricordo in questi termini, c’è il fatto che il governo su questa riforma ha puntato tutta la sua azione e pertanto credo che le sue dimissioni siano perfino doverose se la riforma non dovesse passare.
• La sentenza della Consulta citata (la 1/2014) sull’abolizione del porcellum ha anche espressamente stabilito che il presente parlamento è perfettamente legittimato ad operare. Per di più, la situazione di ingovernabilità che si è creata contribuisce ad aumentare molto la presenza delle opposizioni nelle aule, anche visto che il partito uscito “vincitore” alle elezioni non ha la maggioranza al Senato.
• Come ha spiegato anche Fusaro (Carlo, non Diego), quella della “modifica di 51 articoli” è solo una mezza verità. Gli articoli effettivamente modificati sono in effetti 47 (non 51 come detto nel video, ma comunque tanti), ma per molti di questi si tratta di modifiche “collaterali”: se ad esempio io nella riforma costituzionale tolgo le provincie, dovrò necessariamente modificare tutti gli articoli contenenti la parola “provincie”, e quindi per forza il numero sale.
• Il discorso sull’iniziativa legislativa ha una sua valenza, ma non mi pare che ci siano state esattamente sollevazioni popolari né quando il Governo Renzi ha giurato mettendo al primo punto del proprio programma di governo la riforma costituzionale (cosa che peraltro aveva fatto già prima il Governo Letta), né quando fu approvata la riforma del titolo V nel 2001, anche quella fortemente sponsorizzata dal governo in carica allora. Senza considerare che “la maggioranza di turno“, è proprio una maggioranza parlamentare.

 

Merito (comincia a 3.25):
• Posto che non è costituzionalmente vietato in alcun modo cambiare la forma di Governo dell’Italia, anche col combinato disposto dell’Italicum rimaniamo in un sistema parlamentare. Permane infatti il vincolo di fiducia fra il parlamento e il Governo, solo che ad esprimerlo è la sola Camera dei Deputati, mentre al Senato vengono affidate altre competenze. Allo stesso modo permane anche l’elezione indiretta del Presidente della Repubblica, per la quale vengono allargate le maggioranze prescritte (in maniera tale che la lista vincitrice, da sola, non può nominare il PdR). Mi sfugge come si possa parlare di “cambiamento di forma di Stato” (concetto del tutto diverso), visto che l’Italia anche con una forma di Governo presidenziale rimarrebbe uno Stato democratico costituzionale (e non certo una monarchia assoluta o uno stato confessionale o uno stato dittatoriale).
• Riguardo le criticità dell’Italicum, posto che l’argomento rimane scollegato dalla riforma costituzionale che si voterà ad ottobre, porre la questione di quanti voti abbia preso al primo turno il vincitore del ballottaggio è, a mio parere, decisamente fuorviante. In primo luogo perché il vincitore del ballottaggio per definizione prende almeno il 50+1% dei voti validi durante il secondo turno, in secondo luogo perché se così fosse tutti i sistemi elettorali che prevedono un doppio turno (dall’elezione del sindaco al doppio turno alla francese) sarebbero incostituzionali. La realtà è che l’Italicum non solo introduce una soglia, ma due: il 40% e il 50+1%, in modo da garantire sì la governabilità ma anche che la lista a cui viene attribuito abbia un mandato popolare forte.
• Non è che sia chiarissimo quello che intende quando parla della “supremazia legislativa” dei governi, anche perché la riforma costituzionale pone molti limiti al ricorso alla decretazione d’urgenza, recependo in toto la giurisprudenza costituzionale pronunciata dagli anni ’90 ad oggi. Faccio comunque notare che già adesso il governo ha potere di iniziativa legislativa e che un parlamento di fatto paralizzato dal bicameralismo e da maggioranze instabili non è in grado di legiferare, autonomamente, alcunché.
• A dire il vero i costituzionalisti che vedono nella riforma Boschi un’apertura a derive autoritarie sono pochi, ad esempio prendendo come spunto la “commissione dei saggi” nominata dal governo Letta proprio per elaborare la riforma costituzionale, solo 4 si sono espressi per il NO. Comunque, l’unico meccanismo di salvaguardia rimosso dalla riforma Boschi a tutela della democrazia è il bicameralismo perfetto (introducendo però alcune garanzie ulteriori, tipo le già citate maggioranze allargate per l’elezione del PdR e la limitazione della decretazione d’urgenza), quindi simili preoccupazioni mi sembrano molto ingiustificate, col massimo rispetto per i giuristi che le hanno espresse.
• La composizione del nuovo Senato ricalca quella del Bundesrat tedesco, parzialmente modificata (in quanto i consiglieri regionali non saranno espressione del “governo” della regione, ma di tutte le forze politiche in proporzione, più i sindaci) per adattarla al sistema italiano, che non è federale ma regionale.
• La lamentela sulla lunghezza degli articoli, sempre per citare Fusaro, dimentica che il bicameralismo perfetto è semplice da normare, molto meno da attuare: per forza di cose invece è il contrario per il bicameralismo differenziato, che deve distinguere le competenze delle varie camere, è così dappertutto. In ogni caso, le parole usate nella riforma Boschi per normare il processo legislativo sono la metà di quelle usate nella costituzione tedesca per lo stesso argomento, che come già detto ha un meccanismo simile al nostro.
• “A me sembra che questa riforma provochi una modifica netta di quella forma repubblicana che l’art. 139 individua come limite assoluto alla revisione costituzionale“. Cioè, diventeremmo una monarchia… ?
• Relativamente alla questione di quali parti della costituzione si modifichino, la norma parla chiaro: solo la seconda parte della Costituzione viene modificata. Non è chiaro quali principi verrebbero contraddetti o modificati surrettiziamente dall’abolizione del bicameralismo perfetto o dalla riorganizzazione delle competenze stato/regioni (visto che in soldoni di questo si tratta).
• “Sembra una riforma scritta sulla base degli accordi politici del momento“. Onestamente, non mi risulta che le leggi possano essere fatte in altro modo. Anche la Costituente ha visto avvicendarsi accordi e compromessi tutti politici.
• Sulla competenza dei parlamentari di maggioranza non discuto, ma per definizione i politici non sono dei tecnici. È stata chiamata una commissione di “saggi” i cui risultati sono stati tenuti in debito conto, però non mi pare corretto giudicare la riforma (qualsiasi riforma) sulla base di chi l’ha votata.
• La personalizzazione del quesito è sicuramente un problema e a mio modo di vedere è stata una mossa sbagliatissima di Renzi porre per primo la questione in questi termini. Comunque, è logico e naturale che un governo che ha messo come punto centrale del suo agire la riforma costituzionale si dimetta se quella riforma non va in porto, è persino doveroso chiederlo e pretenderlo, perché significa che la base su cui ha impostato la propria azione politica non è condivisa e non si deve mai governare contro il popolo. Comunque, ora come ora, a me pare che siano proprio i comitati del NO a personalizzare il quesito, cosa che ritengo sarebbe avvenuta anche se renzi non avesse legato le sorti dell’esecutivo al referendum. Infine, quello che lui chiama “tour propagandistico” è proprio andare porta a porta a spiegare il merito della riforma, o ritiene che debbano essere presi in considerazione solo gli appelli e la propaganda di chi la pensa come lui? Convegni e spiegazioni, questo significa discutere del merito.
• La Boschi ha detto che “chi vota NO vota come Casapound“. Il che è perfettamente vero ed indiscutibile. Casomai si potrà ritenere intellettualmente scorretto (e lo è, lo è pure tanto), perché uno contrario alla riforma non necessariamente avrà le stesse riserve di un casapoundino o le sue stesse idee, però è allo stesso modo scorretto dire che le leggi fatte da questa maggioranza, riforma costituzionale inclusa, sono sbagliate perché le ha votate anche Verdini (che è proprio quello a cui voleva ribattere la Boschi).

 

Insomma, that’s It. Personalmente non credo che il comizio sia tutta farina del sacco dello studente, mi pare d’aver sentito che dietro ci sia il Senatore Campanella ma anche senza dar credito a queste voci le argomentazioni esposte non sono nulla di nuovo (mezze verità incluse) e girano nella galassia dei sostenitori del NO da un po’. Non che non ci siano motivi per essere contrari alla riforma (anche se io, come credo si sarà capito, sono decisamente favorevole), ma sarebbe meglio, secondo me, tenere concentrato il dibattito sul merito della questione. Senza gridare alla censura (ma poi, di cosa?), senza vedere complotti negli avvicendamenti editoriali dei giornali, senza esprimersi in termini apocalittici se dovesse prevalere un risultato o l’altro. Tanto vinca il SI o vinca il NO saremo sempre qui, a lamentarci e a tirare avanti, come abbiamo sempre fatto.

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