Arrendetevi

Prima leggete questo:

Arrendetevi! Siete circondati dal popolo italiano. Uscite con le mani alzate. Nessuno vi toccherà. Il vostro tempo è finito, non abusate della fortuna che vi ha assistito finora. Di voi, ormai, nelle piazze, tra la gente, si parla al passato, come di persone estinte. Quando apparite in televisione scatta l’insulto che equivale al vilipendio di cadavere […]

Nessuno, tra coloro che vi è vicino, ha il coraggio di dirvi che è finita, che è finita male, e che voi, da qualunque punto si voglia considerare: economico, sociale, politico, amministrativo, siete dei falliti. Gli italiani sentono, come guidati da un istinto animale, di essere a un bivio e che continuare con voi è un suicidio. Vi hanno perdonato tutto, al di là della decenza, ma ora non vi possono condonare anche il fallimento di una Nazione. Dovete rendervene conto, dovete andarvene prima di essere cacciati dalla rabbia popolare, è un consiglio amichevole quello di dirvi ” Arrendetevi “. Questo ventennio è stato un Vietnam per gli italiani, ma voi avete ancora la possibilità di salire sull’ultimo elicottero come gli americani sui tetti di Saigon nel 1975.

Siete terrorizzati, in preda di attacchi d’ansia, al pensiero di perdere il potere, di qualcuno che potrà rovistare nei vostri cassetti, capire, scoprire, denunciare. Vi consiglio comunque uno, due, tre, cento passi indietro. Se anche vinceste queste elezioni avrete solo rimandato il cambiamento, durerete un anno, forse meno, ha senso?
Fate una pubblica ammissione di colpa e chiedete agli italiani di perdonarvi. Arrendetevi. La vostra stessa presenza è diventata insopportabile. Il vostro tirarvi fuori da ogni responsabilità, lo scuotere le piume e minacciare come dei guappi, lo stalking a cui sottoponete gli italiani sono al di là di ogni sopportazione. Arrendetevi. Non potrete dire che non vi ho avvisato.

Poi ascoltate questo (il primo minuto):

E ora ascoltate questo:

E infine leggete questo:

Da molti, anzi da troppi anni, le crisi di Governo erano poste e risolte dalla Camera attraverso più o meno tortuose manovre ed agguati, tanto che una crisi veniva regolarmente qualificata come un assalto, ed il Ministero rappresentato da una traballante diligenza postale.
Ora è accaduto per la seconda volta, nel volgere di un decennio, che il popolo italiano – nella sua parte migliore ha scavalcato un Ministero e si è dato un Governo al di fuori, al disopra e contro ogni designazione del Parlamento.
Il decennio di cui vi parlo sta fra il maggio del 1915 e l’ottobre del 1922. Lascio ai melanconici zelatori del supercostituzionalismo il compito di dissertare più o meno lamentosamente su ciò.

Io affermo che la rivoluzione ha i suoi diritti. Aggiungo, perché ognuno lo sappia, che io sono qui per difendere e potenziare al massimo grado la rivoluzione delle «camicie nere», inserendola intimamente come forza di sviluppo, di progresso e di equilibrio nella storia della Nazione.

Mi sono rifiutato di stravincere, e potevo stravincere. Mi sono imposto dei limiti. Mi sono detto che la migliore saggezza è quella che non ci abbandona dopo la vittoria. Con 300 mila giovani armati di tutto punto, decisi a tutto e quasi misticamente pronti ad un mio ordine, io potevo castigare tutti coloro che hanno diffamato e tentato di infangare il Fascismo. Potevo fare di questa Aula sorda e grigia un bivacco di manipoli: potevo sprangare il Parlamento e costituire un Governo esclusivamente di fascisti. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto.

Gli avversari sono rimasti nei loro rifugi: ne sono tranquillamente usciti, ed hanno ottenuto la libera circolazione: del che approfittano già per risputare veleno e tendere agguati come a Carate, a Bergamo, a Udine, a Muggia. Ho costituito un Governo di coalizione e non già coll’intento di avere una maggioranza parlamentare, della quale posso oggi fare benissimo a meno, ma per raccogliere in aiuto della Nazione boccheggiante quanti, al di sopra delle sfumature dei partiti, la stessa Nazione vogliono salvare.

Prima di giungere a questo posto, da ogni parte ci chiedevano un programma. Non sono ahimè i programmi che difettano in Italia: sibbene gli nomini e la volontà di applicare i programmi. Tutti i problemi della vita italiana, tutti dico, sono già stati risolti sulla carta: ma è mancata la volontà di tradurli nei fatti. Il Governo rappresenta, oggi, questa ferma e decisa volontà…

 

La storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa. [Karl Marx]

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