Arabia Felix

Nel secolo scorso, quando la cultura e la ricerca delle origini passate era considerata ancora un valore, missioni archeologiche, molte italiane, portarono alla luce le civiltà preistoriche del sud-ovest della penisola arabica, ora racchiuse nello Yemen. Civiltà che già nel paleolitico avevano raggiunto conoscenze avanzate di idraulica. Ma questo breve e non esaustivo racconto parte molto dopo. Dai regni di Saba, le civiltà sudarabiche e l’Arabia Felix romana.

 

Pur avendo vissuto all’interno, seppur ai confini, del Rub’ al-Khali, la città di riferimento era Ma’rib, capitale dell’antico regno di Saba, città mitologica, mista a leggenda, la cui regina Bilqīs viene citata per l’incontro con re Salomone, vero o leggendario che fosse. Ma in quel tempo stare fra le rovine del palazzo della regina e le colonne del tempio della luna, circondato dalla sabbia del deserto, mi ha riportato alla Bibbia, a Salomone e a tutte quelle cose lì che pensavo lontane, epiche e immaginarie, mentre ci stavo seduto sopra. Forse per questo ho subìto il fascino di quei luoghi quasi indistinti fra Storia e Leggenda.

 

Il Rub' al-Khali

Il Rub’ al-Khali

 

L’Arabia fu un territorio dimenticato per secoli. Dagli europei dopo la fine della cultura romana e dagli arabi che costruirono le loro capitali nei nuovi territori di conquista, avendo fondato una civiltà fiorente e prestigiosa a contatto con l’Europa, dimenticandosi la loro terra di origine. Infatti i primi esploratori dello Yemen furono arabi nel XIII secolo, mentre gli europei, nel XV secolo, alla fine del Rinascimento, cominciarono ad appassionarsi non solo delle origini della cultura islamica che aveva condizionato lo sviluppo dell’Europa, ma anche dell’altra cultura, più antica da cui affiorava il ruolo di una delle più ricche del passato. Così si riscoprì l’Arabia Felix romana che nasceva dall’abbondanza e dalla rarità delle mercanzie che arrivavano nell’Impero, come l’incenso e la mirra.

 

Fu Eratòstene di Cirene, direttore dell’immensa biblioteca di Alessandria, morto nel 195 a.c. che fece conoscere al mondo e parlò per primo di “Arabia Felix” descrivendola come terra fertile, ricca di fauna e abitata da quattro popoli: i Sabei, i Minei, i Kattabani e i Khatramotiti, fra i quali i Sabei erano i più importanti.

 

Nel 24 a.c., in seguito all’incremento dei consumi di sostanze aromatiche provenienti da questi confini dell’Impero, Augusto incaricò Elio Gallo, prefetto d’Egitto, di conquistare l’Arabia Felice. La spedizione si rivelò un fallimento: passato il mar Rosso ci vollero sei mesi per arrivare a Ma’rib, assediarla per sei giorni fino a terminare l’acqua e ritirarsi al punto di partenza in 60 giorni, lasciando ai posteri un dettagliato rapporto della spedizione.

 

Altre fonti particolareggiate furono rese da Strabone di Amasia (60 ac-20dc) che riporta una divisione in cinque Stati, in base alla specializzazione di attività: i guerrieri, gli agricoltori, gli artigiani, i produttori di mirra e i produttori di incenso. E da Plinio il Vecchio, nel cui periodo i commerci con l’Arabia aumentarono di intensità, tanto che nel 50 d.c. erano divenuti consuetudinari, fino a redigere il Periplo del Mare Eritreo, una guida per i commercianti che illustrava le tappe costiere dai porti egiziani all’India. L’ultimo ad interessarsi dell’Arabia Felix fu Tolomeo nel II sec d.c. poi tutto cadde nell’oblio fino alla curiosità neoclassica del Rinascimento.

 

Resti della storica diga di Ma'rib

Resti della storica diga di Ma’rib

 

L’antica civiltà di Saba si fondava sulla diga costruita sul Wadi Dhanah. I primi sbarramenti in terra con una rete di canalizzazioni furono datate già nel 2.000 a.c., ma la prima vera diga fu costruita fra il 700 e il 750 a.c. Mentre le attuali rovine della vecchia diga risalgono al VII sec e rappresentano tutt’ora una meraviglia ingegneristica del passato. La prosperità e l’esistenza stessa dei Sabei dipendevano dalla grande diga, un’opera lunga circa 700 m, ricoperta da materiale cementizio e lastre di pietra. Tratteneva le acque del wadi, ne riduceva la velocità, le faceva passare fra due chiuse che alimentavano una canalizzazione sempre più frazionata atta a irrigare i campi a nord e a sud di Mar’ib, portando grandi quantità di limi e argille che fertilizzavano i campi.

 

La più antica testimonianza sui Sabei è contenuta nella Bibbia, quando la regina di Saba visitò re Salomone d’Israele, che regnò attorno al 920-960 a.c. e l’episodio riportato sugli antichi scritti, voleva probabilmente marcare una rotta commerciale consolidata che arrivava dall’Arabia meridionale portando oro, incenso e mirra. Per cui, secondo la Bibbia, nel X sec a.c. il regno di Saba deteneva già il monopolio dell’incenso. La stessa Bibbia, nei suoi vari libri, documenta tutta l’intensa attività commerciale dei Sabei che oltre all’oro e all’incenso, trasportavano spezie, aromi, gioielli, pietre preziose e schiavi. L’incontro fra la regina di Saba e re Salomone è citato anche nel Corano come un episodio avvenuto 16 secoli prima, attingendo dalle narrazioni leggendarie del Talmūd ebraico. E fu proprio per la devozione verso il Corano che i suoi autori si spinsero a citare il nome della regina, che divenne anche quello della Bibbia e che si è tramandato fino ai giorni odierni, famoso soprattutto nel mondo arabo: la regina Bilqīs.

 

La penisola araba e la via dell'incenso

La penisola araba e la via dell’incenso

 

Avevano una lingua semitica, il “sudarabico”, imparentato con l’arabo e l’etiopico. La scrittura si basava su un alfabeto di 29 consonanti ed era il più ricco fra le lingue semitiche. Nel corso del II millennio a.c. fu elaborato sulla costa siriana un alfabeto a cui ogni suono corrispondeva un segno, che semplificò enormemente quelli usati in precedenza, come i geroglifici egizi o il cuneiforme mesopotamico. Fu adottato dai Fenici, dagli Ebrei e dai Greci, ma pare che i sistemi di scrittura sudarabici non derivassero da nessuna di queste forme di alfabeto e rimangono fra le scritture semitiche, le più belle e armoniche.

 

La storia sudarabica in generale durò circa 16 secoli, dall’epoca in cui la regina di Saba si recò in Israele a far visita a Salomone, fino alla conquista persiana dell’Arabia meridionale, attorno al 570 d.c. Il primo millennio fu caratterizzato dai vari regni insediati nella parte interna dello Yemen in costante lotta fra loro per la supremazia delle grandi rotte carovaniere che trasportavano beni esotici sulle coste del Mediterraneo e nel Golfo Persico. In questa fase l’attenzione era rivolta lungo il deserto, ignorando completamente gli altopiani alle spalle, e fu chiamato “periodo dei regni carovanieri”. Dal I secolo d.c. l’attenzione politica ed economica si rivolse agli altopiani e di conseguenza al mare, essendo ormai entrato in funzione il commercio marittimo.

 

Ma’rib sorgeva a una decina di chilometri dalla diga ed era la più grande città fortificata dell’Arabia meridionale. A circa 3 chilometri sudest si trovano i resti del Mahran Bilqīs, o tempio d’Awam. Ad un chilometro a ovest si trovano le rovine del Al-Amaid, di cui restano in piedi cinque pilastri, il Bar’an temple meglio conosciuto come il palazzo della regina di Saba. La decadenza della cultura sabea fu probabilmente dovuta al cedimento definitivo della diga (sembra fosse crollata altre quattro volte nei suoi secoli di storia) da cui l’intera civiltà dipendeva. Nello stesso periodo, verso il VI secolo d.c. i Persiani conquistarono i regni sudarabici e li convertirono all’islam ponendo definitivamente fine alle civiltà sabee.

 

Gli antichi resti del palazzo della regina di Saba

Gli antichi resti del palazzo della regina di Saba

 

Del lascito dei 1600 anni di vita dell’Arabia Felix, parte se l’è portato via il vento e se lo è divorato il deserto, ma molto è ancora sepolto sotto la sabbia e moltissime spedizioni archeologiche hanno portato alla luce miriadi di reperti, trasformandoli in Storia, tanto che Ma’rib è riconosciuta dall’UNESCO come World Heritage Site essendo un centro di storia e di cultura inestimabili. Eppure…

 

…come da copione, l’indignazione è sempre manipolata: il mondo intero si è scandalizzato quando i talebani hanno distrutto i Buddha di Bamiyan, poi sono apparsi su tutte le testate giornalistiche del pianeta i danni compiuti dai fanatici dell’ISIS a Palmira. Ma poco è trapelato riguardo ai disastrosi e irreparabili danni arrecati a Ma’rib sulle rovine dei templi patrimonio UNESCO e sui resti dell’antica diga, meraviglia ingegneristica del passato, dai bombardamenti degli aerei sauditi in una sanguinosa guerra tutt’ora in corso e completamente ignorata.

Edit 1: all’epoca non ho mai avuto il piacere di vedere il palazzo della regina come nella fotografia postata qui sopra, le cinque colonne raffigurate nella foto erano per quasi un terzo sepolte nella sabbia e tutto ciò che si vede, la scalinata, la corte, è il successivo risultato di un enorme lavoro di scavo e di ricerca da parte dell’instancabile lavoro di studiosi e archeologi internazionali, con i permessi dell’allora governo yemenita. La manutenzione dovrebbe essere costante a causa delle grosse tempeste di sabbia che periodicamente sepelliscono tutto. Purtroppo fra le bombe e la conseguente mancanza di cura e custodia, l’Arabia Felix sembra destinata a ritornare nell’oblio, sepolta dalla sabbia.

Edit 2: la scelta dello scorpione nella copertina è data dal fatto che assieme a dei grossi ragni gialli e pelosi, erano i maggiori rappresentanti della fauna del deserto.

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