Alzheimer e affini

Una piccola premessa per definire che non tutte le demenze vengono ricondotte all’Alzheimer, che rimane comunque la maggiore causa nella degenarazione del cervello. La seconda causa è l’encefalopatia vascolare o deterioramento cognitivo vascolare. Irreversibile e causata da una serie di piccoli ictus. Il termine si riferisce ad un gruppo di sindromi, tutti causati da lesioni vascolari nel cervello. Si legge che è importante la diagnosi precoce, ma essendo irreversibile e senza cura, non so cosa possa significare. Ed è questo ciò con cui ho a che fare tutti i giorni e per tutte le settimane, da qualche anno. Non sono un medico, quindi non in grado di approfondire oltre. Ma, essendo la malattia senza cura, ho avuto modo di capire che i medici sono incapaci di gestirla e lo dimostrano (troppo spesso) con l’indifferenza. (“La ricoveri in un centro specializzato”, è stato l’ultimo referto scritto del neurologo) Tanto da chiedermi a cosa serve la visita neurologica periodica.

 

In Italia sono circa un milione le persone affette da una forma di demenza, un problema ignorato e come molti altri, gravato direttamente sulle famiglie (per chi la famiglia ce l’ha).

 

Dal 2015 sono attivi negli ospedali i centri UVA (Unità Valutativa Alzheimer) che (teoricamente) dovrebbero occuparsi del problema delle demenze in generale, ma qui, Regione considerata di eccellenza, sono pochi i medici preparati, o almeno (trattandosi di malattie degenerative irreversibili) abbiano un po’ di empatia. Gli UVA vengono gestiti nei reparti di neurologia (che hanno tanti altri enormi problemi) quando, secondo il mio piccolo e modesto parere, avrebbero potuto specializzare medici nei reparti di geriatria, o, dato il numero considerevole di casi, farne una specializzazione assestante. Dalla pessima esperienza che ha portato mia mamma ad un ricovero urgente, dovuto ai farmaci che le hanno somministrato, m’è rimasta la convinzione che qui non funzionano per niente.

 

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L’ammalato di demenza non è l’immagine della persona assente raffigurata nei film (neanche all’ultimo stadio, in cui è allettata) ma ha un’attività frenetica mista a crisi depressive. Non riesce più ad avere la cognizione di spazio e di tempo, quindi la frenesia si trasforma in caos. Come togliere i vestiti dall’armadio per metterli nel frigorifero. Nascondere le cose essenziali, come gli occhiali, nei posti più impensati. Trasformare la camera in un caos a cui non si riesce a far ordine, mentre si è occupati ad impedire che quel disordine non invada tutta la casa.

 

L’igiene è un altro fattore di attenzione, sul mangiare, la biancheria intima, i rifiuti gettati ovunque. Il bagno sta a fianco alla sua camera, ma non riesce ad individuarlo (pur lasciando la porta aperta e la luce accesa durante la notte). Inizialmente l’incontinenza è stata un grosso problema, fino alla scoperta dei mutandoni usa e getta. Poi ci furono le azioni irrazionali pericolose. Dopo che ha bruciato diverse padelle, mettendole sul gas vuote, ora chiudo il rubinetto centrale e spesso mi sveglio nel cuore della notte con il dubbio di averlo lasciato aperto.

 

Trovo maglie e vestiti appesi in giardino, in cucina, posate sparse in tutta la casa, cibo ammuffito nel suo armadio. L’ultima volta che si fece il bagno da sola, trovai tutti i detersivi aperti e non sapendo con cosa si stava lavando, contattai l’assistente sociale, che fortunatalmente ora regolarmente viene per aiutarla a fare il bagno.

 

La casa è un caos che non riesco a gestire, la sua malattia è più forte della mia resistenza. Qualche giorno fa ho parlato con una conoscente “infermiera” che mi ha dato tutta la sua solidarietà, avendo la mamma nelle stesse condizioni, dicendomi che stava dando di matto. Paramedici e assistenti sociali sono perfettamente al corrente di ciò che significhi la demenza, peccato che i medici vivano in un altro mondo, escludendo il medico di famiglia che spesso si scandalizza (giustamente) per il tormento dovuto agli esami specialistici, che non servono un cazzo. Un distacco enorme e pochi medici hanno la capacità di chiedere per capire la situazione, la maggior parte segue freddamente le linee guida del ministero, non valutando altro se non lo stipendio a fine mese.

 

 

 

E vivo fortunatamente con mia mamma che non ha mai manifestato tendenze aggressive, per ora, perché la malattia potrebbe comportare anche questo: il dover convivere con una persona irrazionale e aggressiva. Ho conosciuto una persona che mi ha raccontato quanto fosse aggressiva sua moglie, che scappava ad ogni occasione, per essere poi recuperata dalla polizia. Aveva il viso distrutto.

 

In Italia non esistono strutture pubbliche per queste problematiche, ma ci sono una miriade di strutture private dove ricoverare gli anziani (non sempre in grado di gestire la demenza e l’alzheimer). L’accesso non è immediato perché pur essendo molte, la richiesta è superiore, quindi c’è una graduatoria. Le rette (non quelle di lusso) variano fra i 2.500 e i 3.000 euro/mese. La Regione (questa Regione prima di Fedriga, ora non so) partecipa per circa la metà, il resto ce lo mette la pensione dell’anziano. E chi ha la pensione minima è fuori e può contare solo sulla famiglia, se ce l’ha. Mi sono informato, ma non ho mai preso in considerazione l’opzione, nonostante le direttive del neurologo.

 

Perché c’è un lato di questa malattia che i medici (per formazione professionale) sono lungi da comprendere. Quella parte emotiva/emozionale nel cervello che continua a funzionare, anche nei momenti più bassi di depressione. Ci si deve vivere quotidianamente per capire, anche quando non mi riconosce come suo figlio, riesco a tranquillizzarla (e lo accetta) finché non dimentica il precedente e gli si apre nella mente un mondo nuovo. (Nel suo subconscio sa che ha di fronte una persona di cui si può fidare, finché emerge l’immagine di suo figlio) Dorme molto (e quando dorme sono qui in rete) ma secondo il neurologo dovrebbe alzarsi alle 8 del mattino, cosa assurda.

 

A parte la situazione caotica, ci si convive, fra le immaginabili difficoltà. Qualche riscontro (risolto) da parte dell’assistente sociale. Ma sono gli “specialisti” ospedalieri a lasciarmi sempre più perplesso. Un’assistenza che non va oltre al “piano terapeutico” di un farmaco che “forse” rallenterebbe la malattia. Visite mediche che non durano più di cinque minuti.

 

Per questo ci si rinchiude nei propri mali e nelle proprie malattie.

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