Alla console Mario Draghi

La crisi economica seguita alla crisi sanitaria dovuta alla pandemia del coronavirus ha sconvolto le vite dei cittadini di tutto il mondo. Una volta finito lo straziante capitolo delle sofferenze e delle morti bisognerà cominciare a pensare alla situazione della economia mondiale.

Di sicuro il fermo produttivo di una moltitudine immensa di aziende e la disoccupazione enorme che ne consegue consegnerà, chi più chi meno, una situazione al limite della catastrofe. Pur riconoscendo che la crisi non risparmierà nessuno, sfortunatamente bisogna ammettere che l’Italia è in una condizione molto difficile. Più di molte altre nazioni.

Il futuro economico è talmente incerto che ha spinto Mario Draghi a scrivere un editoriale al Financial Times.
Di seguito alcuni brani con un mio commento.

“Le azioni che i governi stanno intraprendendo per scongiurare la crisi dei loro sistemi sanitari sono coraggiose e necessarie, e devono essere sostenute.
Tuttavia, queste azioni comportano anche enormi e inevitabili costi economici.”

In pratica l’apertura consiste nel cercare di far comprendere ai decisori economici e politici che questa crisi non è una crisi ciclica classica derivata da fattori finanziari o produttivi ma uno shock economico assolutamente unico nel suo genere. Come tale le contromisure standard non sono né saranno sufficienti.

“Le guerre – il precedente più rilevante – sono state finanziate con l’aumento del debito pubblico. Durante la Prima guerra mondiale, solo una quota compresa tra il 6 e il 15% della spesa bellica di Italia e Germania è stata finanziata con le tasse”

L’unico scenario di riferimento che Draghi paragona a quello attuale è quello della I guerra mondiale. Le aziende venivano “chiuse” dalle bombe, adesso dal coronavirus. Durante la guerra le aziende sane che non venivano distrutte erano forzatamente riconvertite — quando possibile — per produrre articoli bellici mentre adesso praticamente tutto il settore di non prima necessità è forzatamente chiuso. Una differenza non di poco conto nella similitudine ma ininfluente sul ragionamento generale attuale.

“Per questo le banche devono cominciare rapidamente a prestare fondi a costo zero alle aziende disposte a salvare posti di lavoro
[…]
Alcune aziende potrebbero essere in grado di assorbire la crisi per un breve lasso di tempo, indebitandosi
[…]
Inoltre, se l’epidemia di virus e i relativi blocchi dovessero perdurare più a lungo, realisticamente queste aziende potrebbero rimanere in attività solo nella misura in cui il debito accumulato per mantenere i dipendenti al lavoro finora venisse cancellato.”
[…]
Se si vogliono proteggere i posti di lavoro e la capacità produttiva, in entrambi i casi i governi dovranno assorbire gran parte della perdita di reddito causata dalla chiusura del paese.
[…]
I debiti pubblici cresceranno, ma l’alternativa – la distruzione permanente della capacità produttiva e quindi della base fiscale – sarebbe molto più dannosa per l’economia e, in ultima analisi, per la credibilità dei governi.”

Qua sta l’aspetto fondamentale dell’editoriale dell’economista italiano. Draghi non entra nel merito tecnico della soluzione; offre una prospettiva di lavoro generale. Vanno però prima fatte alcune premesse, noiose ma fondamentali.

Il QE della BCE consiste nel poter acquistare quantità grandi di titoli di stato e obbligazioni private sul mercato secondario per far diminuire i tassi di interesse. Le banche private che detengono ad esempio titoli di stato con basso rendimento preferiranno impiegare i soldi in modo più produttivo vendendo alla BCE i propri titoli e ricevendo soldi da immettere in forma di prestito a privati e aziende.
In USA hanno recentemente modificato il QE introducendo la possibilità di comprare titoli pubblici e obbligazioni private — quelli che vengono definiti corporate bond — di banche e aziende private sul mercato primario; ovvero all’emissione dell’obbigazione.
La differenza tra mercato primario e secondario è proprio questa: che nel mercato secondario gli acquisti vengono fatti su titoli e azioni già presenti nel mercato. Se la FED può comprare anche obbligazioni di nuova emissione, questo facilita enormemente la raccolta di risorse da parte di aziende in difficoltà perché momentaneamente sollevate dal dover trovare compratori a prezzi di mercato che potrebbero essere insostenibili.

Draghi va più in là. Non lo specifica chiaramente ma le solite politiche non vanno bene per questa crisi. Parla espressamente di cancellazione del debito privato nel senso di un suo spostamento verso il debito pubblico. Il problema è appunto la durata del fermo. Molte aziende potrebbero riuscire ad andare avanti ma molte potrebbero indebitarsi talmente tanto da non poter portare più avanti la produzione. Gli strumenti per evitare questo scenario catastrofico possone essere vari — anche se mai provati — come ad esempio forzare la BCE a comprare anche le obbligazioni di aziende pubbliche senza richiedere la periodica cedola oppure senza riscattarle a scadenza, immettendo altra moneta. In pratica regalare i prestiti.

Un’altra possibilità è utilizzare il debito pubblico nazionale per ripianare debiti privati e mantenere attivi i vari sussudi pubblici. Questo aumento enorme di debito pubblico poi verrebbe acquistato dalla BCE in maniera praticamente illimitata. E’ come se lo stato dicesse alle varie bance private: “prendete l’obbligazione di quella ditta, prestate soldi senza interessi a quell’altra, tanto se poi non vi ripagano lo faccio io, stato, tramite la BCE”. In pratica una monetizzazione finanziaria, fittizia, non so bene come chiamarla.

“La velocità a cui si stanno deteriorando i bilanci privati – a causa di una pure inevitabile e auspicabile chiusura di molti paesi – deve essere affrontata con altrettanta rapidità nel dispiegare le finanze pubbliche, nel mobilitare le banche e nel sostenerci l’un l’altro, come europei, per affrontare questa che è, evidentemente, una causa comune.”

La parte finale Draghi la dedica probabilemte a chi pensa di poterne venire fuori da solo — sia come macroregione che come nazione — essendo oramai l’economia e la finanza intrecciata in modo totale. Ad esempio una ditta americana che fa computer ed ha la produzione del processore negli stati asiatici, con il blocco forzato della fabbrica asiatica, si trova con la catena produttiva ferma anche nel caso sia esclusa o abbia passato la crisi del coronavirus. Anche all’interno dell’europa la situazione non è facile. Sempre come esempio si potrebbe pensare ad una ditta Norvegese che fabbrica sedie e ha all’interno del suo portafoglio clienti un’azienda molto grossa Spagnola. Se la ditta spagnola si ferma diventa un problema. Certo, continuerà a produrre ma probabilmente dovrà diminuire, almeno momentaneamente, la produzione con licenziamenti oppure con indebitamenti insostenibili nel lungo periodo.

Insomma, passato lo shock è ora di pensare alle soluzioni. Che non sono quelle che venivano utilizzate in passato.

I commenti sono chiusi.