5 si per cinque referendum?

Come sapete tutti il 12 giugno saremo chiamati a votare per cinque quesiti referendari in materia di giustizia, che affrontano alcuni temi assai delicati e controversi del dibattito sul funzionamento del sistema giudiziario nel nostro paese.

I referendum erano in realtà otto, di cui sei sulla giustizia, uno sul suicidio assistito e uno sulle droghe leggere, ma questi ultimi due e quello sulla responsabilità civile diretta dei magistrati sono stati dichiarati illegittimi dalla Corte Costituzionale.

Restano cinque referendum, andiamo quindi a vedere, in modo sintetico, quali sono e quali effetti potrebbero avere se fosse raggiunto il quorum e vincesse il si.

Quesito n. 5:

«Volete voi che sia abrogata la Legge 24 marzo 1958, n. 195 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della Magistratura), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: articolo 25, comma 3, limitatamente alle parole “unitamente ad una lista di magistrati presentatori non inferiore a venticinque e non superiore a cinquanta. I magistrati presentatori non possono presentare più di una candidatura in ciascuno dei collegi di cui al comma 2 dell’articolo 23, né possono candidarsi a loro volta”?».

Sostanzialmente il quesito mira a ridurre il potere delle correnti nella elezione dei membri togati del CSM. Oggi ogni magistrato che voglia candidarsi deve raccogliere le firme di non meno di venticinque colleghi per poter presentare la propria candidatura.

Di fatto questo rende quasi impossibile la candidatura di magistrati che non siano supportati dalle correnti, in quanto assai difficilmente potrebbero raggiungere il quorum di firme richieste.

Abolendo il quorum si ritiene che le elezioni possano essere aperte anche a candidati indipendenti che potrebbero far funzionare meglio il CSM, oggi considerato ostaggio delle correnti. Queste ultime ovviamente non verrebbero cancellate, ma probabilmente perderebbero un po’ del loro potere.

 

Quesito n. 4:

«Volete voi che sia abrogato il Decreto Legislativo 27 gennaio 2006, n. 25 (Istituzione del Consiglio direttivo della Corte di cassazione e nuova disciplina dei Consigli giudiziari, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera c) della legge 25 luglio 2005 n. 150), risultante dalle modificazioni e integrazioni successivamente apportate, limitatamente alle seguenti parti: art. 8, comma 1, limitatamente alle parole “esclusivamente” e “relative all’esercizio delle competenze di cui all’articolo 7, comma 1, lettere a)”; art. 16, comma 1, limitatamente alle parole: “esclusivamente” e “relative all’esercizio delle competenze di cui all’articolo 15, comma 1, lettere a), d) ed e)”?».

Il quesito è piuttosto tecnico. Oggi le valutazione sulla professionalità e competenza dei singoli magistrati è demandata ai consigli giudiziari, organi istituiti presso ogni corte di appello e composti da membri togati per due terzi, laici (avvocati e professori universitari in materie giuridiche) per un terzo.

I membri laici non hanno diritto di voto sulle decisioni che riguardano la valutazione dei magistrati. Il referendum mira ad abolire tale norma per consentire che i membri laici siano coinvolti a pieno titolo nelle deliberazioni aventi ad oggetto le valutazioni dei magistrati. Si ritiene, infatti, che lasciare tali decisioni esclusivamente ai magistrati possa salvare molti magistrati sulla base di scelte meramente corporative, mentre avvocati e accademici potrebbero esprimere una voce diversa su come sono parametrati i meriti dei magistrati. D’altra parte la diversa composizione dei numeri garantirebbe comunque al singolo magistrato che vi sia una maggioranza di colleghi e quindi di non essere vittima di antipatie corporative (es. avvocati).  A mio parere non vi sarebbe una rivoluzione ma qualcosa potrebbe cambiare nelle progressioni di carriera dei magistrati e probabilmente certi casi clamorosi di magistrati del tutto incompetenti, o matti o arroganti nei confronti delle altre parti processuali potrebbero essere opportunamente sanzionati.

 

Quesito n. 3:

«Volete voi che siano abrogati: l’ “Ordinamento giudiziario” approvato con Regio Decreto 30 gennaio 1941, n. 12, risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art. 192, comma 6, limitatamente alle parole: “, salvo che per tale passaggio esista il parere favorevole del consiglio superiore della magistratura”; la Legge 4 gennaio 1963, n. 1 (Disposizioni per l’aumento degli organici della Magistratura e per le promozioni), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad essa successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art. 18, comma 3: “La Commissione di scrutinio dichiara, per ciascun magistrato scrutinato, se è idoneo a funzioni direttive, se è idoneo alle funzioni giudicanti o alle requirenti o ad entrambe, ovvero alle une a preferenza delle altre”; il Decreto Legislativo 30 gennaio 2006, n. 26 (Istituzione della Scuola superiore della magistratura, nonché’ disposizioni in tema di tirocinio e formazione degli uditori giudiziari, aggiornamento professionale e formazione dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera b), della legge 25 luglio 2005, n. 150), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art. 23, comma 1, limitatamente alle parole: “nonché’ per il passaggio dalla funzione giudicante a quella requirente e viceversa”; il Decreto Legislativo 5 aprile 2006, n. 160 (Nuova disciplina dell’accesso in magistratura, nonché’ in materia di progressione economica e di funzioni dei magistrati, a norma dell’articolo 1, comma 1, lettera a), della legge 25 luglio 2005, n. 150), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad esso successivamente apportate, limitatamente alle seguenti parti: art. 11, comma 2, limitatamente alle parole: “riferita a periodi in cui il magistrato ha svolto funzioni giudicanti o requirenti”; art. 13, riguardo alla rubrica del medesimo, limitatamente alle parole: “e passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti e viceversa”; art. 13, comma 1, limitatamente alle parole: “il passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle requirenti,”; art. 13, comma 3: “3. Il passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, non è consentito all’interno dello stesso distretto, né all’interno di altri distretti della stessa regione, ne’ con riferimento al capoluogo del distretto di corte di appello determinato ai sensi dell’articolo 11 del codice di procedura penale in relazione al distretto nel quale il magistrato presta servizio all’atto del mutamento di funzioni. Il passaggio di cui al presente comma può essere richiesto dall’interessato, per non più di quattro volte nell’arco dell’intera carriera, dopo aver svolto almeno cinque anni di servizio continuativo nella funzione esercitata ed è disposto a seguito di procedura concorsuale, previa partecipazione ad un corso di qualificazione professionale, e subordinatamente ad un giudizio di idoneità allo svolgimento delle diverse funzioni, espresso dal Consiglio superiore della magistratura previo parere del consiglio giudiziario. Per tale giudizio di idoneità il consiglio giudiziario deve acquisire le osservazioni del presidente della corte di appello o del procuratore generale presso la medesima corte a seconda che il magistrato eserciti funzioni giudicanti o requirenti. Il presidente della corte di appello o il procuratore generale presso la stessa corte, oltre agli elementi forniti dal capo dell’ufficio, possono acquisire anche le osservazioni del presidente del consiglio dell’ordine degli avvocati e devono indicare gli elementi di fatto sulla base dei quali hanno espresso la valutazione di idoneità. Per il passaggio dalle funzioni giudicanti di legittimità alle funzioni requirenti di legittimità, e viceversa, le disposizioni del secondo e terzo periodo si applicano sostituendo al consiglio giudiziario il Consiglio direttivo della Corte di cassazione, nonché’ sostituendo al presidente della corte d’appello e al procuratore generale presso la medesima, rispettivamente, il primo presidente della Corte di cassazione e il procuratore generale presso la medesima.”; art. 13, comma 4: “4. Ferme restando tutte le procedure previste dal comma 3, il solo divieto di passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, all’interno dello stesso distretto, all’interno di altri distretti della stessa regione e con riferimento al capoluogo del distretto di corte d’appello determinato ai sensi dell’articolo 11 del codice di procedura penale in relazione al distretto nel quale il magistrato presta servizio all’atto del mutamento di funzioni, non si applica nel caso in cui il magistrato che chiede il passaggio a funzioni requirenti abbia svolto negli ultimi cinque anni funzioni esclusivamente civili o del lavoro ovvero nel caso in cui il magistrato chieda il passaggio da funzioni requirenti a funzioni giudicanti civili o del lavoro in un ufficio giudiziario diviso in sezioni, ove vi siano posti vacanti, in una sezione che tratti esclusivamente affari civili o del lavoro. Nel primo caso il magistrato non può essere destinato, neppure in qualità di sostituto, a funzioni di natura civile o miste prima del successivo trasferimento o mutamento di funzioni. Nel secondo caso il magistrato non può essere destinato, neppure in qualità di sostituto, a funzioni di natura penale o miste prima del successivo trasferimento o mutamento di funzioni. In tutti i predetti casi il tramutamento di funzioni può realizzarsi soltanto in un diverso circondario ed in una diversa provincia rispetto a quelli di provenienza. Il tramutamento di secondo grado può avvenire soltanto in un diverso distretto rispetto a quello di provenienza. La destinazione alle funzioni giudicanti civili o del lavoro del magistrato che abbia esercitato funzioni requirenti deve essere espressamente indicata nella vacanza pubblicata dal Consiglio superiore della magistratura e nel relativo provvedimento di trasferimento.”; art. 13, comma 5: “5. Per il passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti, e viceversa, l’anzianità di servizio è valutata unitamente alle attitudini specifiche desunte dalle valutazioni di professionalità periodiche.”; art. 13, comma 6: “6. Le limitazioni di cui al comma 3 non operano per il conferimento delle funzioni di legittimità di cui all’articolo 10, commi 15 e 16, nonché, limitatamente a quelle relative alla sede di destinazione, anche per le funzioni di legittimità di cui ai commi 6 e 14 dello stesso articolo 10, che comportino il mutamento da giudicante a requirente e viceversa.”; il Decreto-Legge 29 dicembre 2009 n. 193, convertito con modificazioni nella legge 22 febbraio 2010, n. 24 (Interventi urgenti in materia di funzionalità del sistema giudiziario), nel testo risultante dalle modificazioni e integrazioni ad essa successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art. 3, comma 1, limitatamente alle parole: “Il trasferimento d’ufficio dei magistrati di cui al primo periodo del presente comma può essere disposto anche in deroga al divieto di passaggio da funzioni giudicanti a funzioni requirenti e viceversa, previsto dall’articolo 13, commi 3 e 4, del Decreto Legislativo 5 aprile 2006, n. 160.”?».

Questo lungo quesito si propone di distinguere in modo definitivo le carriere dei magistrati giudicanti da quelle requirenti, obbligandoli a scegliere quale funzione esercitare all’inizio della carriera e rendendo impossibile cambiare successivamente.

Si tratta a mio parere di un referendum dal valore prettamente simbolico, visto che ormai sembra che i passaggi da una funzione all’altra siano abbastanza rari.

In effetti un’effettiva differenziazione tra la magistratura requirente e giudicante richiederebbe probabilmente una riforma costituzionale e, soprattutto, una scelta precisa su cosa dovrebbe essere il pubblico ministero.

Si tratta comunque di passo avanti, se vince il si.

 

Quesito n. 2:

«Volete voi che sia abrogato il Decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447 (Approvazione del codice di procedura penale), risultante dalle modificazioni e integrazioni successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: articolo 274, comma 1, lettera c), limitatamente alle parole: “o della stessa specie di quello per cui si procede. Se il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, le misure di custodia cautelare sono disposte soltanto se trattasi di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni ovvero, in caso di custodia cautelare in carcere, di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni nonché’ per il delitto di finanziamento illecito dei partiti di cui all’articolo 7 della legge 2 maggio 1974, n. 195 e successive modificazioni.”?»

Questo è un quesito veramente rilevante sui diritti dei cittadini sottoposti a processo penale. Si tratta infatti dell’applicazione della misura cautelare quando sussiste il pericolo di commettere reati dello stesso tipo di quello per cui si procede. Se passa il si non potrà più essere irrogata la misura cautelare per il solo motivo del pericolo di reiterazione del reato. Va precisato che, allo stato attuale, la misura cautelare della custodia può essere disposta, per tale motivo, solo il reato per cui si procede sia punito con pena non inferiore nel massimo a quattro anni, cinque se si vuole disporre la custodia cautelare in carcere. Di tutti i quesiti è quello che mi lascia più perplesso e sarei orientato per il no. Infatti impedirebbe l’applicazione di misure cautelari in varie tipologie di reati, come lo stalking, le persecuzioni, la violenza privata, ecc. in cui invece spesso il profilo della reiterazione è fondamentale per evitare che la vittima possa essere colpita nuovamente o che altre vittime possano esserlo.

Penso che per limitare l’abuso della custodia cautelare ci vorrebbe qualche altro tipo d’intervento, non realizzabile tramite referendum.

 

Quesito n. 1:

«Volete voi che sia abrogato il Decreto Legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 (Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell’articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190)?»

Il quesito si pone l’obiettivo di abrogare il decreto legislativo conosciuto come Severino, dal nome del Ministro della Giustizia in carica al momento della sua emanazione.

Il decreto prevede attualmente un meccanismo automatico che, in caso di condanna definitiva per alcune categorie di reati, vi sia la decadenza dalla carica elettiva, l’incandidabilità e l’ineleggibilità.

Per le cariche politiche nelle amministrazioni territoriali è prevista anche una sospensione dall’incarico in caso di condanna non definitiva in primo grado.

Va precisato che anche prima di tale esistevano  ed esistono ancora le cosiddette pene interdittive accessorie, cioè delle sanzioni che il giudice può irrogare a coloro che siano condannati per certi tipi di reati e che prevedono la decadenza dai pubblici uffici e l’impossibilità di candidarsi.

Se vince il si chi viene condannato in via definitiva per certi reati può essere sottoposto anche a pena interdittiva, ma il meccanismo non è automatico, potendo il giudice tener conto di vari fattori, ad esempio del caso in cui il fatto costituisca un reato ma non sia di gravità tale da richiedere una sanzione interdittiva.

Inoltre non ci sarebbe più alcuna sospensione per gli eletti negli locali in caso di condanna non definitiva.

A mio parere la Legge Severino, che costituisce comunque un prodotto del grillismo giudiziario, ha creato effetti distorsivi nella pubblica amministrazione in quanto prevede l’applicazione di meccanismi automatici di esclusione dalle cariche elettive a fronte di possibili condanne per reati dai contorni assai fumosi e incerti, come il traffico d’influenze, l’abuso d’ufficio e il concorso esterno in associazione mafiosa, alimentando indagini spettacolo da parte di magistrati alla Woodcock e determinando uno sbilanciamento tra politica e magistratura a tutto vantaggio di quest’ultima che ha assunto un enorme potere di ricatto.

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