X – Agosto

X Agosto

Era pomeriggio ed era caldo. Un caldo pezzente.
Era agosto, un fottuto agosto padano di quelli che anche il termometro suda e sotto le ascelle spuntano le pinne. Un vero schifo, per capirci.

Erano tutti in ferie.
Eh già.
Le ferie d’agosto, mito intoccabile di ogni famiglia italiana: la Seicento con su il canotto a centoallora sull’Adriatica e poi è già riviera e sole e mare e ombrelloni con sotto i bambini che piangono, le nonne a far parole crociate e i nonni a sbrodolare gelati.
Era tanti anni fa.
E sembrava proprio tutto uguale: uguale all’anno prima e probabilmente a quello che sarebbe stato l’anno a seguire. Almeno così pareva.
Eppure.

Nel bel mezzo di quello stupido mese, nel bel mezzo di quella stupida pianura, nel bel mezzo di quelle stupide vacanze qualcosa accadde.
Ovvero
che una donna come tante ce n’era nel bel mezzo di quello stanzone d’ospedale urlava e gemeva ringraziando Nostrosignore – con intercalare delle bestemmie del marito – per il dono del figlio che stava per arrivare. Il quarto, a voler essere precisi. Mille Grazie Davvero.
Cioè, non che non fosse benvoluto questo Benedetto Bambino però capirete che quattro son pur sempre quattro, mica la famiglia della pubblicità delle merendine, ecco.
E un operaio è pur sempre un operaio, coi suoi cazzi l’officina le rate del millecento i libri per il grande che quest’anno c’ha l’esame di quinta e adesso questo qui dove lo mettiamo a dormire che son già tre letti in una cameretta?
E capirete che tutto questo non è che sia stata proprio l’Accoglienza Massima in Pompa Magna per un pargolo che colpe certo non ne aveva. Non ancora quantomeno.

E fu probabilmente per questo che quel piccoletto nacque tutto giallo e striminzito, con la testa grande tre volte il corpicino e tre peletti biondi in mezzo al cranio pallido e itterico. Una roba brutta insomma, tant’è che lo dicevano tutti: dicevano che era una roba brutta e che gli altri eran bellini ma questo proprio gli era venuto male e che forse era il caso di fermarsi per davvero.
E per fortuna che quei due si amavano nel nome di Nostrosignore e quindi ringraziarono nuovamente per quel dono se così si poteva chiamare.
E poi piansero quaranta giorni e quaranta notti e poi apparve loro in sogno un angelo che disse non temete mi manda Nostrosignore che dice lo so, vi ho fatto un brutto scherzo ma se avrete fede andrà tutto bene e vedrete che cose così non vi capiteranno mai più. Intanto mi dispiace ma cosa fatta capo ha.
E sparì.
E di nuovo piansero quaranta giorni e quaranta notti e anche il piccoletto piangeva e non dormiva e loro pensavano cominciamo bene.

Ma stiamo andando troppo oltre, la storia continua ma tutto si capiva già da allora, nel bel mezzo di quel cazzo di pomeriggio d’agosto si capiva cos’era accaduto. Si capiva dalle urla della pia donna e si capiva dai sacramenti del bravo operaio, si capiva dallo svenimento dell’ostetrica e dal fatto che quattro infermiere quel giorno rassegnarono le dimissioni e partirono volontarie a curar pinguini in Antartide, si capiva dai vagiti degli altri neonati che gattonando fuggirono dal reparto e in segno di protesta occuparono mezza geriatria e depositarono svariati chili di popò davanti all’ingresso di medicina seconda.

Tutto questo – come dicevo – era tanti anni fa.
Era il dieci agosto, il sole splendeva alto, di lì a poco le stelle sarebbero cadute copiose a inondar quest’atomo opaco del Male, con tutti sotto abbracciati a naso in su a esprimere desideri che mai si sarebbero avverati.

Era tanti anni fa, ed era quando son nato io.

 

By Slego ancora troppo nervoso

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