Negazionisti al potere

C’è una storia che va raccontata riguardo ai negazionisti scientifici, una storia che ha come protagonisti centinaia di migliaia di morti e che potrebbe accadere ovunque, senza esclusioni di razza o nazionalità, basta che le ideologie politiche si mescolino all’evidenza scientifica. E’ successo in Sudafrica e non molto tempo fa.

 

La crisi iniziò già durante il governo Mandela con la politicizzazione dell’aids, la frammentazione del sistema sanitario e le equivoche scelte dei suoi ministri, come rendere indisponibile l’AZT (zidovudina), un farmaco che avrebbe potuto ridurre la trasmissione del virus dalla madre al neonato di circa il 50%. A sostegno di questa decisione, il governo affermò che la cura era troppo costosa, malgrado l’abbassamento dei prezzi da parte della Glaxo-Wellcome, e dichiarò di voler puntare sulla prevenzione e non sulla cura, dimenticandosi completamente che combattere la trasmissione del virus dalla madre al neonato era, ed è tutt’ora, una misura preventiva.

 

In reazione a ciò, nacque la Treatment Action Campaign (TAC), un’associazione di attivisti, il cui scopo era quello di assicurare la prevenzione dell’infezione, la cura dei malati e di fare pressione sul governo e sulle case farmaceutiche affinché rendessero i trattamenti maggiormente economici ed accessibili. Ad oggi, gli obiettivi dell’associazione sono gli stessi.

 

Dopo cinque anni dalla caduta dell’apartheid in Sudafrica, alle elezioni del 1999, Mbeki successe al governo Mandela in un clima di forte disuguaglianza sociale, disoccupazione altissima e corruzione incontrollabile. Fu nominata Ministro della Salute la dottoressa Manto Tshabalala-Msimang, simpatizzante delle idee dissidenti e negazioniste sulla relazione hiv-aids, in un Paese già straziato dall’epidemia, tanto che l’aspettativa di vita media in quegli anni era crollata sotto i 50anni e sarebbe calata ulteriormente.

 

Nel novembre successivo alla sua elezione, il neo presidente comunicò che “dalle sue ricerche in internet” aveva appurato la tossicità dell’AZT (uno dei pochi farmaci esistenti allora per combattere l’hiv) trovando ampio appoggio da Tshabalala-Msimang. Fu distrutto il piano quinquennale precedente, privandolo della strategia di prevenzione nella trasmissione materno-fetale attraverso la nevaripina per le donne incinte, tutt’ora caldamente consigliata dal WHO.

 

Ma fu ulteriormente esasperata una situazione già critica, suscitando lo sgomento della comunità scientifica internazionale, quando il governo creò un organismo privo di esperti del settore, trascurando le associazioni interessate. Al personale scetticismo di Mbeki riguardo l’AZT si aggiunse ladesione a teorie scientifiche superate, portandolo nell’area dei cosiddetti dissidenti, fino all’istituzione del Presidential International Panel of Scientists on HIV/AIDS, fra i quali spiccavano Peter Duesberg e Harvey Bialy. (Anni dopo Beppe Grillo continuava a diffondere in Italia, attraverso i suoi squallidi spettacoli, le stesse idee mortali dei dissidenti e le false teorie sull’aids)

 

In concomitanza con l’apertura della XIII conferenza AIDS del 2000 in Sudafrica, la rivista Nature pubblicò quella che fu chiamata la dichiarazione di Durban, nella speranza di chiarire definitivamente la posizione degli scienziati riguardo all’AIDS, firmata da 5.000 medici, scienziati e ricercatori del settore. Ma nel discorso inaugurale della conferenza, che spettava proprio al presidente sudafricano, nonostante avesse gli occhi del mondo puntati addosso per le sue discutibili posizioni, Mbeki non fece alcun riferimento alla dichiarazione di Durban, e aggirò la questione citando un vecchio rapporto dell’OMS datato 1995, affermando che “la maggior causa di morte nel mondo era l’estrema povertà”. Seguì il discorso di Mandela carico di speranza, mentre contemporaneamente veniva pubblicato il primo rapporto del Panel che cancellava tutti i progressi fatti nel campo dell’educazione e dell’informazione, mettendo anche in discussione la validità del test ELISA.

 

La conseguenza del sostegno alle teorie dei “denialists” fu la messa in discussione del ruolo stesso dei farmaci antiretrovirali che combattevano il virus HIV. Arrivarono aspre critiche al governo dal mondo scientifico e non, tra cui quelle del giudice della Suprema Corte d’Appello del Sudafrica Edwin Cameron che nel suo discorso annuale alla Harvard Law School, affermò: “The cost in human lives and suffering of denialist – inspired equivocation in national AIDS policy can be described only as horrendus”.

 

La risposta alle critiche piovutegli addosso avvenne tramite una lettera aperta pubblicata dal The Washington Post il 19 aprile. Qui Mbeki sottolineò “la coincidenza tra la fine dell’apartheid e lo scoppio dell’epidemia”, inserendo l’evento in una cornice fatalistica; inoltre, secondo il presidente, il Sudafrica, avendo sofferto più di ogni altro paese le sofferenze causate dal dominio bianco, doveva auto-attribuirsi il ruolo di portavoce dei paesi africani. Infatti, nella poco condivisibile battaglia contro l’introduzione degli antiretrovirali e contro l’ammissione di trovarsi in una gravissima emergenza di sanità pubblica, vi erano elementi persecutori quali il tema della “cospirazione contro gli africani” e le loro aspirazioni di “rinascita”, ambizioso obiettivo sbandierato da Mbeki fin dalla sua elezione a Presidente.

 

Mbeki continuò a parlare pubblicamente di AIDS in televisione. Affermò di non essere preparato ad affrontare un pubblico test HIV perché ciò avrebbe significato sostenere un “particolare” punto di vista scientifico. Nelle sue parole, ‘I go and do a test – I am confirming a particular paradigm’ . Mbeki ribadì poi l’insicurezza dei farmaci anti-HIV: ’I think it would be criminal if our government did not deal with the toxicity of these drugs (…) Let’s stop politicizing this question, let’s deal with the science of it’.

 

Lo scontro fra le associazioni locali assieme alla comunità scientifica internazionale da un lato, contro il governo sudafricano supportato dai consulenti negazionisti (americani, europei e australiani) si fece sempre più aspro. La battaglia per la fornitura di nevirapina per prevenire il contagio dalla madre al bambino al momento della nascita era ancora in corso, sebbene numerosi studi scientifici avessero già dimostrato l’efficacia della terapia. L’UNAIDS aveva sostenuto che non c’erano “justification to restrict use to research settings” e che la prevenzione MTCT (Mother to child transmission of HIV) era indispensabile nella lotta all’epidemia. Con una stima di 5.000 nascite di bambini sieropositivi ogni mese, la possibilità di prevenire 30.000 infezioni da HIV ogni anno rappresentava una discreta base di partenza. Inoltre la Boeringher Ingelheim, industria produttrice del farmaco, si era offerta di rifornire gratuitamente per un periodo di 5 anni i paesi in via di sviluppo.

 

Nel frattempo il dott. Roberto Giraldo, un nutrizionista statunitense, venne invitato, nel novembre del 2002, ad esporre le proprie teorie presso il Department of Health, e ad un congresso dei ministri della salute della Southern African Development Community (SADC) nel gennaio 2003. La sua posizione sosteneva che le ricerche effettuate fino allora erano eccessivamente incentrate sul sesso che, secondo la sua opinione, poco aveva a che fare con l’AIDS. L’epidemia poteva essere trattata, e sconfitta, tramite una dieta appropriata. Il ministro della salute accolse con entusiasmo questa teoria e lanciò un programma di nutrizione basato su aglio e olio d’oliva, ritenuti fondamentali per il rafforzamento del sistema immunitario.

 

Nello stesso periodo si forniva l’AZT in alcune cliniche ostetriche delle township nere. La suddetta provincia, la Western Cape che passò sotto il controllo del Democratic Alliance Party nel gennaio 2001 e vide estendere la prevenzione MTCT ad un numero sempre maggiore di cliniche. E nella township di Khayelitsha, a Cape Town, venne istituito il primo sito pilota provinciale per la fornitura della terapia antiretrovirale, grazie all’azione di MSF.

 

Mbeka lanciò un appello per depoliticizzare l’AIDS (!) e rilasciò un’intervista alla BBC sminuendo la portata del problema: il presidente ripeté che il virus era solo uno dei fattori che aggravavano le malattie vessanti il paese e che il governo voleva dare una risposta onnicomprensiva. Di fronte alle previsioni che indicavano 7 milioni di morti per AIDS nei successivi dieci anni, Mbeki additò la violenza come prima causa di morte nel paese, con un’incidenza del 54% sul totale. Ancora una volta il presidente si basava su dati obsoleti, vecchi di una decina d’anni, quando ancora l’infezione da HIV marciava a ritmi nettamente più lenti.

 

Chi invece comprendeva e poneva l’accento sulla drammaticità della situazione era il MRC (Medical Research Council) che, con uno studio sul biennio 1999-2001, metteva l’AIDS in testa alle cause di morte in Sudafrica. La percentuale era del 25% e raggiungeva addirittura il 40% nella fascia d’età 15-49 anni. Queste statistiche insieme alle affermazioni del presidente del MRC, nonché membro del Presidential Advisory Panel, professor Malegapuru Magkoba, risultarono sgradite al governo.

 

Dopo quattro anni spesi nel tentativo di convincere il governo ad istituire un programma di prevenzione MTCT, la TAC citò in giudizio il ministro della sanità nazionale e i 9 ministri della salute provinciali. La sentenza del giudice Chris Botha del 14 dicembre 2001 sancì la vittoria della TAC. La Corte ordinò allo Stato l’istituzione dell’uso della nevirapina in tutte le strutture sanitarie pubbliche con l’obbligo di presentare alla Corte stessa entro il 31 marzo 2002 un piano finalizzato all’ampliamento di questo progetto.

 

Come ampiamente previsto, il governo, e in particolar modo il ministro Tsabalala-Msimang, spinse per il ricorso in appello contro questa decisione, sostenendo che, benché il diritto alla salute dei bambini fosse indiscutibile, quello alla nevirapina o ad altri trattamenti specifici non era affatto presente nella costituzione.

 

Nel 2004 le prime terapie apparvero ufficialmente negli ospedali sudafricani, nonostante ciò nell’anno seguente Matthias Rath viaggiò attraverso il Paese propagandando le sue vitamine come cura risolutiva per l’aids, supportato da Tshabalala-Msimang che difese il diritto alla libertà di parola di Rath (dove l’ho già sentita questa?) Dopo una lunga battaglia legale, le cure di Rath furono dichiarate illegali quando gli attivisti le collegarono alla morte di alcuni pazienti affetti da aids.

 

Nel 2006 il governo annunciò il ribaltamento delle sue politiche nei confronti dell’aids e alla fine dello stesso anno Tshabalala-Msimang fu destituita e sostituita da Nozizwe Madlala-Routledge.

 

Nell’agosto 2007 Mbeki licenziò la neoeletta Ministra della salute Nozizwe Madlala-Routledge, critica nei confronti della politica negazionista sull’aids sudafricana, rimettendo Tshabalala-Msimang al suo precedente incarico. E la difese pubblicamente quando continuò a negare la correlazione fra hiv e aids scrivendo di sé stesso che: “sarebbe passato alla storia come pioniere di un sistema sanitario pubblico sudafricano costruito per garantire l’obiettivo della salute per tutti i nostri popoli e soprattutto i poveri”

 

Il 25 settembre 2008 Kgalema Motlanthe fu nominato nuovo presidente. Nel primo giorno della sua presidenza rimosse Tshabalala-Msimang dall’incarico di Ministro della Salute.

 

Le conseguenze di tutta questa storia furono che nel 2007 un sesto degli ammalati di aids sul pianeta era sudafricano, il Sudafrica in quell’anno toccò la punta di 5.700.000 contagiati da hiv. Nello stesso anno il dottor Pride Chigwedere pubblicò sul “Journal of Acquired Immune Deficiency Syndromes” uno studio dove stimava che le politiche negazioniste di Mbeki, furono responsabili di 330.000 morti in Sudafrica.

 

Ora, se siete arrivati alla fine di questa storia, chiudete gli occhi e pensate a quante sono le affinità ideologiche e/o politiche con le attuali battaglie nostrane nei confronti dei vaccini. Ai disastri che l’ideologia antiscientifica può provocare a una comunità e quanti danni le idee cospirazionistiche possano provocare.

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