Serenissima – potenza consolidata

Nonostante la caotica conclusione, gli Orseolo contribuirono profondamente all’espansione di Venezia. Fin dai primi dogi, le congiure, le alleanze, le guerre, gli atti violenti ebbero lo scopo principale di consolidare gli interessi del commercio e della navigazione per l’arricchimento dei Venetici, prima degli interessi personali, clientelari o dinastici. Una parte dei traffici veneziani si svolgeva attraverso i fiumi all’interno, tanto che un funzionario pavese annotò, fra il meravigliato e l’indispettito: “Questa gente non ara, non semina, non vendemmia, ma può comprare in ogni porto grano e vino”. Ma più dei nove decimi del commercio si svolgeva in oriente dove molti veneziani avevano stabilito la loro residenza. La scarsità cronica di moneta, non impedì a Venezia di arricchire. Un pezzo di terreno a Chioggia veniva pagato con una vacca e fino al XII secolo, gran parte dei navigatori prendeva in affitto l’ancora, che fu bene patrimoniale pregiato, ai primi posti nelle doti. Il palazzo del doge fu così sontuoso da farsi ammirare anche dall’imperatore Ottone III e Orso Orseolo, patriarca di Grado, fece costruire la cattedrale di Torcello, come ancor oggi la si ammira, e tutta la provincia e la città di Venezia furono sparse di splendide chiese.

 

Cattedrale di Torcello

Cattedrale di Torcello

 

Dalle liste dei contribuenti patrimoniali si pensa non esistessero zone depresse perché i cittadini più ricchi non si addensavano in una zona specifica, ma vivevano sparsi nella città. Il popolo minuto nella città e nelle isole non fu composto soltanto da marinai o pescatori, oltre ai vetrai c’erano altri artigiani radunati in fraglie e collegi: fabbri, macellai, scuoiatori, carrettieri, sellai, ortolani, allevatori di cani e di falconi. La tradizione romana influì sullo spirito assembleare dei Venetici, fin dai tempi remoti. Accanto al doge, al patriarca e ai vescovi sedevano i rappresentanti dei maiores populi, dei mediocres, dei minores, tutti gli uomini liberi facevano parte dell’Arengo, l’assemblea popolare, e se in pratica il potere fu nelle mani dei majores, al resto del popolo venivano richiesti approvazione e partecipazione. L’insofferenza dei veneziani nei confronti delle forme dinastiche fu dimostrata una volta di più con gli Orseolo.

 

Il doge Flabianco non riuscì ad avere buone relazioni con Bisanzio e quelle con l’imperatore rimasero pessime, non migliorando neppure dopo la sua morte con l’elezione di Domenico Contarini. Poppone nel 1031 consacrò, alla presenza imperiale e di tutti i vescovi, la nuova cattedrale di Aquileia e non rinunciò a rivendicare i suoi diritti su Grado, i rapporti rimasero tesi tanto che nel 1044 la aggredì ancora un volta. Dopo la morte di Poppone, il doge Contarini riprese possesso della città e spostò definitivamente la sede del patriarcato a Venezia. Decise inoltre di ricostruire la basilica di San Marco, considerata da sempre chiesa di stato e cappella ducale. La costruzione iniziata nel 1063 e terminata solo nel 1071, fu talmente rapida che le conseguenze statiche hanno ancor oggi ripercussioni sull’edificio. Contarini si preoccupò anche delle sue rendite, così istituì la carica di Procuratore di S Marco, carica altissima, la più alta dopo il doge e destinata a durare fino alla fine della Repubblica. Il compito era l’amministrazione dei beni della basilica disseminati dappertutto, fino in Siria, oltre che essere giudice tutelare delle vedove e dei minori. La carica divenne in seguito collegiale con nove membri e rimase l’anticamera del dogato.

 

Contarini mori nel 1071 e fu seguito con elezioni di popolo da Domenico Selvo, investito presso l’altare della nuova chiesa di S Marco tra fasti e giubili di gioia. Quattro anni dopo una nuova minaccia si fece strada, i Normanni apparvero sulla scena Adriatica, cacciarono gli ultimi bizantini in Puglia e sbarcarono in Dalmazia, con Roberto il Guiscardo, interessati alla conquista dei Balcani. Bisanzio cercò aiuto dovunque, ma gli unici a rispondere furono i Veneziani, più interessati alle loro rotte commerciali che alla salvezza dei bizantini, pretesero determinate condizioni per intervenire. Nel 1081 l’armata veneziana comandata dal doge si scontrò con il Guiscardo a Durazzo assediata dai Normanni, riportando una grossa vittoria che non ottenne risultati definitivi, perché le armate terrestri normanne erano ancora salde e Durazzo cadde. Quattro anni dopo la flotta veneziana, comandata dal figlio del doge, al largo di Corfù, fu disastrosamente sconfitta. Il doge dovette abdicare e al suo posto fu eletto Vitale Falier. Successivamente una nuova spedizione navale comandata dal Falier ebbe grosso successo, ma fu la morte del Guiscardo che permise un ritorno alla normalità. I bizantini pagarono a Venezia il loro debito, la “bolla d’oro” del 1082 conteneva un tale complesso di privilegi da imprimere una svolta a Venezia verso la sua ricchezza.

 

Italia e Illiria nel 1084

 

Nel 1095, mentre il doge Falier era prossimo alla fine, Papa Urbano II lanciò un appello per liberare il Santo Sepolcro, fu l’avvio alle Crociate. Gli risposero da ogni angolo d’Europa, pensando che la spedizione non poteva che essere una passeggiata, sarebbe bastato alzare il vessillo della croce per sconfiggere i Saraceni, invece si trasformò in una insensata carneficina da ambo le parti. A Venezia la voce del Papa venne accolta con molta perplessità dal nuovo doge Vitale Michiel, primo perché i veneziani facevano commerci con cristiani e mussulmani senza remore, bastava che pagassero e fossero puntuali nelle consegne, secondo perché, di indole pratica, non si facevano coinvolgere in dispute ideologiche, quindi solo due anni dopo misero in mare una flotta di 200 navi, guidata dal figlio del doge con la classica raccomandazione marittima: “avanti piano, quasi indietro”, che dopo sei mesi non aveva ancora aperto battaglia contro alcun nemico. In compenso, per recuperare le spese, durante il lento tragitto si dedicarono a rubare varie spoglie di Santi. A Mira, di fronte a Rodi, si impadronirono di San Teodoro e San Nicola, in seguito recuperarono Santo Stefano, anche se un po’ bruciacchiato. La macabra incetta all’epoca era molto considerata, da un lato ampliava lo scudo di protezione della città, ma soprattutto aumentava l’afflusso dei pellegrini, i turisti dell’epoca.

 

Solo dopo che i crociati ebbero conquistato Gerusalemme nel 1099, la flotta veneziana si fece vedere al largo di Giaffa (Tel Aviv) e ben presto il conte Warner di Gray, portavoce di Goffredo di Buglione, si accorse che i Venetici non erano affatto spinti dalla fede religiosa, al contrario posero condizioni molto esose: un tributo annuo e un terzo delle terre, dei porti, delle città che avessero contribuito a conquistare. Dopo la conquista di Haifa fecero ritorno carichi di bottino, ma senza i vantaggi ottenuti dai Genovesi, causa che iniziò lo scontro più lungo e drammatico nel Mediterraneo dell’epoca. Per tutta la durata delle crociate i Veneziani intervennero sempre in funzione del loro tornaconto, la condizione del terzo delle terre conquistate rimase fino alla fine, ponendo le basi di quello che in futuro venne chiamato “l’Impero Veneziano”, inoltre ne approfittarono per regolare i conti con i nemici esterni, anche cristiani, fossero stati gli slavi che occasionalmente occupavano le città dalmate, le odiate Repubbliche marinare, in special modo Pisa e Genova o quello che rimaneva dell’impero bizantino verso il quale i ruoli erano cambiati, Costantinopoli non era più in grado di difendersi senza l’aiuto della potenza navale veneziana. In questo periodo fu costruito il nucleo originale dell’Arsenale dal doge Ordelaf Falier, succeduto nel 1102 alla morte del Michiel. Nella sua massima espansione fu in grado di costruire una nave al giorno, precursore delle fabbriche industriali, utilizzava componenti standard, assemblati con organizzazioni di lavoro simili alle catene di montaggio moderne.

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