Dopo la morte di Enrico Dandolo i Veneziani di Costantinopoli si elessero come capo Marino Zen che assunse immediatamente il titolo di “podestà e despota dell’impero di Romania e dominatore della quarta parte e mezza dello stesso impero”, mentre a Venezia si radunò l’assemblea che decise di inviare una missione composta da politici esperti dell’oriente e proclamò doge Pietro Ziani. Nel contempo la costituzione veneziana si era evoluta, accanto al doge sedeva il consiluim ducis, composto dai rappresentanti di ogni sestiere per sostenere il governo assieme al doge, chiamato anche Minor Consiglio in contrapposizione al consilium sapientum diventato Maggior Consiglio. Il Minor Consiglio fu un’ulteriore limitazione ai poteri del doge che da Enrico Dandolo (e dopo lui tutti i suoi successori) aveva anche giurato la promissione ducale, un complesso di norme che regolamentavano e definivano i poteri del capo dello Stato, mentre i correttori della promissione ducale, incaricati di rivedere e aggiornare tali norme, erano magistrati eletti ad ogni morte di doge. Un’evoluzione delle istituzioni in senso magistratuale e antimonarchico a cui si aggiungerà successivamente il Consiglio dei Quaranta.
La moderazione di Pietro Ziani non considerò un guaio l’autonomia dei Veneziani di Costantinopoli, anzi la trasformò in un ulteriore strumento per allargare i domini della Repubblica su scelte che potevano non coinvolgere il doge, Comune o assemblee, come la saggia decisione di Marino Zen, presa in tutta autonomia, a rinunciare ad Adrianopoli con la sua provincia, un territorio vasto che penetrava all’interno dei Balcani, difficile da mantenere. O come la spedizione privata di Marco Sanudo assieme a un gruppo di nobili, per impossessarsi delle isole, che attirò tutto l’Egeo nella sfera di influenza Veneziana senza che doge e Comune si esponessero politicamente né finanziariamente. Gli isolani, impauriti dai pirati turchi e genovesi, li accolsero volentieri e ogni isola divenne un feudo veneziano, molti dei quali sopravvissero anche tre secoli con torri e bastioni visibili ancor oggi. Anche l’Epiro venne abbandonato, come Zante e Cefalonia, ma una spedizione riprese Corfù, Durazzo e occupò le due piazzeforti di Modone e Corone, “gli occhi” di Venezia all’apice del Peloponneso. Creta cadde in mano a un corsaro genovese, ma la battaglia si risolse con la sua scacciata e l’insediamento di Jacopo Tiepolo col titolo di duca a Candia. Nonostante le frequenti ribellioni, Creta rimase in mano veneziana quasi cinquecento anni.
Cucire il tessuto dell’impero coloniale non fu cosa facile, con il mondo greco in fermento, l’affermarsi di forti monarchie bizantine in Epiro e in Nicea e la tangibile debolezza della monarchia crociata, per questo Jacopo Tiepolo, assunto nel frattempo al titolo di podestà, in sintonia con il doge, chiese la piena sovranità di Venezia sui concittadini di Romania, invocando il doge e il Comune per l’invio di una flotta indispensabile a proteggere gli interessi veneziani in oriente. (Si narra che entrambi proposero di spostare la capitale e la sede del doge a Costantinopoli, richiesta naturalmente respinta, secondo lo storico Daniele Barbari per un solo voto.) Interessi che ormai spaziavano non solo fino al mar Nero e alla Crimea, ma raggiungevano più a est gli opulenti mercati orientali. Da qui tutte le merci passavano per Rialto, non era consentito a nessun mercante né armatore far capo ad altri porti.
Nel 1229 Jacopo Tiepolo fu eletto doge, disciplinò il mondo della navigazione e si sforzò di mantenere sempre sicure le vie del commercio nell’Adriatico, soprattutto sul lato italiano dove gli scontri fra papa Gregorio IX e Federico II di Svevia sconvolgevano la penisola, cacciando spietatamente le navi anconetane. Fu impegnato in una battaglia contro Padovani e Trevigiani che ne uscirono sconfitti. Da allora Venezia autorizzò sempre più spesso suoi concittadini ad accettare cariche di podestà fra i comuni veneti e romagnoli, assicurandosi buoni rapporti e influenza nelle loro politiche. Sembra che con Jacopo Tiepolo nacque un’altra assemblea veneziana, destinata ad assorbire in futuro gran parte del potere esecutivo: il Consiglio dei rogati (Pregàdi) nucleo iniziale del Senato.
Dopo l’abdicazione del Tiepolo, nel 1249 prese il corno dogale Marino Morosini nella cui promissione apparve la nuova norma in cui si impegnava a eleggere uomini probi saggi e cattolici che indagassero sugli eretici e a far bruciare, previo voto del consiglio, coloro che eretici fossero stati dichiarati dal Patriarca e dai vescovi veneziani. Dopo lunghe resistenze Venezia accettava l’inquisizione nel suo territorio, ma ne eludeva la prassi rivendicando al capo dello Stato e al suo consiglio l’applicazione della pena. Fu l’inizio di una lunga diatriba con il papa, ma anche quando finì per accettare gli inquisitori papali, ne limitò i poteri con una grande quantità di restrizioni. Nei suoi tre anni di dogato prosperò la pace e la ricchezza dovuta, secondo cronisti dell’epoca, al lavoro svolto dal predecessore Jacopo Tiepolo, grazie al quale nessuno aveva il coraggio di attaccare Venezia. Gli successe Ranieri Zen, ricchissimo, ex capitano generale da mar, che fu eletto fra grandi festeggiamenti, pretesto per mostrare al mondo la ricchezza e l’opulenza della Repubblica.
Nel 1253 il trattato con Genova non venne rinnovato e la concorrenza fra le due città si fece ancora più aspra quando i genovesi ricomparvero a Costantinopoli, ma il punto di attrito più pericoloso restava la Siria, dove per il possesso di una chiesa i Genovesi saccheggiarono le navi veneziane nel porto di San Giovanni d’Acri, poi si diressero verso il quartiere veneziano, lo devastarono e lo incendiarono. Una delegazione di ambasciatori fu subito inviata a Genova per chiedere soddisfazione e risarcimento senza successo a cui seguì una grossa flotta guidata da Lorenzo Tiepolo (figlio del doge Jacopo) che assieme a navi pisane e provenzali investì la città mentre forze terrestri l’assediarono. Il quartiere genovese fu incendiato e le fortificazioni espugnate. Genova chiese una tregua ed entrambi accettarono l’arbitrato del papa, ma troppo tardi. I Genovesi avevano fatto arrivare rinforzi da Cipro, i Veneziani da Creta, mentre navi genovesi attaccavano Negroponte, galere veneziane saccheggiavano tutte le colonie genovesi sul mar Nero. Una nuova squadra fu inviata da Genova che provocò l’invio di ulteriori forze da Venezia. Quando il Papa pronunciò il suo lodo arbitrale, le due flotte si erano già scontrate al largo di San Giovanni d’Acri nel 1258 e Genova fu sanguinosamente sconfitta, lasciando in mani veneziane venticinque galere e il più florido quartiere genovese d’oriente completamente spianato al suolo dai vincitori.
La conseguenza quasi immediata della disfatta genovese fu la caduta dell’Impero Latino d’Oriente. Per niente rassegnati, stipularono un contratto con Michele Paleologo, imperatore di Nicea, deciso a cancellare la presenza sempre più debole dei latini a Costantinopoli. Genova gli promise appoggio militare in cambio di tutti i vantaggi che i Veneziani avevano goduto dopo il 1204, più Smirne, Chio, Mitilene e altri porti nell’Anatolia. Inoltre Creta e Negroponte (se le avessero conquistate) ma soprattutto il via libera in Asia Minore in condizione di monopolio. Nel 1261 Costantinopoli cadde e con lei morì l’Impero Latino d’Oriente, Michele VIII Paleologo prese la capitale e il neonato impero Bizantino, ma si accorse ben presto che l’impero soffriva della stessa debolezza di cui aveva sofferto nel passato, la dipendenza economica e militare dagli odiati latini, anche i Genovesi che ora sostituivano i Veneziani. Si accorse che la cessione delle grandi isole avvantaggiava Genova, non a discapito dei Veneziani, ma gravava sull’economia bizantina, inoltre sulla potenza marittima le sorti non erano favorevoli ai Greco-Genovesi. Scoprì anche le intese segrete fra il podestà genovese e il re di Sicilia per restaurare un impero latino d’Oriente controllato da Genova, quindi nel 1265 negoziò un trattato con una missione Veneziana molto vantaggioso per Venezia. Fu firmata anche una tregua fra Venezia e Michele VIII. Sotto il nuovo doge, Lorenzo Tiepolo, nel 1270 fu inoltre firmata una tregua d’armi con Genova che sarebbe durata 23 anni.
Prima dell’elezione di Lorenzo Tiepolo, a Venezia, sempre preoccupati di elezioni irrazionali o condizionate o corrotte e con esse la nascita di una tirannia, si mise a punto una nuova contorta legge elettorale, tradizionalmente attribuita al capo di Quaranta Ruggero Zorzi e che durò, con qualche opportuna modifica, fino all’ultimo doge.
Il consigliere più giovane scendeva nella basilica di San Marco a prendere il primo bambino per portarlo nel palazzo, precettandolo come ballottino, addetto all’estrazione delle ballotte. Nell’urna venivano messe tante ballotte quanti erano i membri del Maggior Consiglio dove trenta di esse contenevano un bigliettino con scritto elector. Il ballottino estraeva le palle consegnandole una alla volta, una ciascuno ai membri del Maggior Consiglio che sfilavano davanti. Finita l’estrazione dovevano uscire tutti meno i trenta designati. I trenta dovevano appartenere a famiglie diverse e non avere relazioni di parentela, così il nome dei prescelti veniva urlato a gran voce e doveva uscire chiunque fosse stato parente. Fra i rimasti venivano estratti, a sorte, altri nove. I nove si riunivano e i primi quattro proponevano cinque nomi ciascuno, mentre gli altri cinque ne proponevano quattro a testa. Sui nomi proposti i nove votavano e i quaranta eletti con un minimo di sette voti sfilavano davanti a un’altra urna per un’altra estrazione a sorte che li riduceva a dodici. Con una maggioranza minima di nove voti, i dodici eleggevano altri venticinque elettori tra i quali ne venivano estratti a sorte ancora nove che eleggevano quarantacinque nuovi elettori con maggioranza di sette voti. Un’ulteriore estrazione a sorte per ridurre i quarantacinque a undici. Gli undici rimasti eleggevano tramite votazione, di almeno nove voti, i quarantuno elettori i quali, stando ognor chiusi e ristretti, eleggevano il doge con una maggioranza di venticinque voti.