Serenissima – la IV crociata

Nell’ultimo decennio del tormentato XII secolo furono eletti due personaggi di grossa levatura. Il doge Enrico Dandolo, uomo di età avanzata, ma di grande energia, lungimiranza, eccezionali capacità politiche e organizzative accompagnate da un grosso carisma. Era l’incarnazione dello spirito mercantile e guerriero dei Veneziani. Pochi anni dopo veniva fatto Papa, a soli 36 anni, un’altra personalità dalla tempra ferrea, Innocenzo III, che emanò un’enciclica richiamando tutto il mondo Cattolico alla conquista del Sacro sepolcro e di Gerusalemme. Inizialmente Genova e Pisa fecero “orecchie da mercante”, Venezia chiese una dispensa per i suoi traffici con l’Egitto, Alessio III, imperatore bizantino, che si era impadronito del potere detronizzando Isacco Angelo, usurpandone il trono, si sottrasse platealmente, quasi con insolenza, all’iniziativa papale e l’unica risposta di un nobile di rilievo venne dal marchese Bonifacio da Monferrato. Fu un predicatore taumaturgo francese, tal Folco, curato di Neully-sur-Marne, a sbloccare la situazione coinvolgendo i conti francesi estendendo il movimento nelle Fiandre e in tutta Europa.

 

Il parlamento crociato di Compiégne nominò sei plenipotenziari che arrivarono alla conclusione (scartate Marsiglia e Genova) di chiedere aiuto a Venezia per la sua ricchezza e forza militare. I sei raggiunsero le lagune agli inizi del 1201 alle cui richieste Enrico Dandolo rispose di non poter prendere impegni senza aver prima consultato le diverse assemblee politiche e alla fine l’assemblea popolare. L’assemblea accettò e venne stipulato un trattato dove i Veneziani si impegnarono a fornire mezzi navali per trasportare quattromilacinquecento cavalieri con altrettanti cavalli, novemila scudieri, ventimila fanti e viveri necessari per un anno, dietro compenso di ottantacinquemila marche imperiali d’argento. Oltre al contratto di trasporto, la Repubblica si impegnò ad armare cinquanta galere, partecipando ai rischi e ai profitti nella misura del cinquanta per cento.

 

C’erano però molte incertezze e nessun accordo sull’obiettivo, così che la IV crociata cominciò già viziata. Ci furono morti autorevoli e defezioni prima della partenza, tanto che quando i crociati raggiunsero Venezia si accorsero di essere rimasti pochi e che la somma raccolta era poco più della metà di quella convenuta. Furono accampati al Lido e tenuti lontani come appestati. Avevano con loro Alessio, il figlio di Isacco Angelo, legittimo erede al trono bizantino, che aveva promesso al Papa la riunificazione delle Chiese e un aiuto in Terrasanta in cambio della restituzione del trono.

 

Giuseppe Gatteri - Enrico Dandolo incita i Veneziani alla crociata.

Giuseppe Gatteri – Enrico Dandolo incita i Veneziani alla crociata.

 

Il doge, i nobili della Repubblica e i cittadini da parte loro erano inquieti, avevano immobilizzato un grande quantitativo di capitali armando la flotta e dovevano anche mantenere l’esercito crociato inoperoso e privo di risorse. Enrico Dandolo radunò crociati e assemblea proponendo una ridefinizione dell’accordo, che rappresentava l’unica via di uscita. I Veneziani, da trasportatori, sarebbero diventati crociati, lui stesso avrebbe diretto l’impresa nella quale i Veneziani stessi sarebbero divenuti partecipi delle perdite e dei profitti, in pratica una compartecipazione totale.

 

Partirono dal Lido sessanta navi tonde da trasporto con trecento macchine da guerra caricate a bordo, un centinaio di uscieri, imbarcazioni da carico con porte a pelo d’acqua per favorire l’uscita dei cavalli, sessanta galere compresa quella rossa con tende vermiglio del doge, già novantenne e quasi cieco, di cui il cronista Geoffrey de Villehardouin riferisce: “non distingueva una mano alla distanza di una spanna, ma a dispetto di questo vedeva più lontano di tutti”. Fecero le prime tappe a Trieste e a Muggia imponendo atti di sottomissione, poi puntarono su Zara, dove la pessima accoglienza degli abitanti e del presidio ungherese li costrinsero ad un assedio di cinque giorni, seguito dall’attacco e dal saccheggio della città. I baroni scaricarono le colpe del conflitto fra cristiani e cristiani sui Veneziani che furono prontamente scomunicati dal Papa.

 

Durante la sosta di Zara, Alesssio, il pretendente al trono bizantino, continuò a promettere denaro e soldati per la conquista della Terrasanta in cambio della restaurazione del padre e propria al trono bizantino. Diversi crociati si defilarono diffidenti delle sue parole e anche i Veneziani furono sospettosi e cauti per i buoni rapporti che avevano con Alessio III, ma il loro grosso problema stava nella sosta durante la quale i costi continuavano ad aumentare, così accettarono, loro malgrado, di partire verso Costantinopoli. Qui fecero sfilare il pretendente Alessio IV sotto le mura sulla galera dogale seguita dalla flotta nella speranza di un consenso popolare, ne ricevettero dagli spalti delle mura solo fischi, insulti e derisione. Presentandosi sotto la protezione dei franco-veneziani, Alessio ottenne l’unione dei Bizantini attorno al loro imperatore, anche se illegittimo.

 

Jacopo da Palma il giovane – IV crociata il sacco di Bisanzio

Jacopo da Palma il giovane – IV crociata, il sacco di Bisanzio

 

Fra l’audacia del marchese Bonifacio di Monferrato, i cavalieri francesi e le macchine da guerra veneziane, Costantinopoli fu presa, mentre Alessio III fuggì con l’oro, le pietre preziose e la figlia Irene, abbandonando moglie, figli, sudditi e potere. Isacco Angelo fu liberato dalla prigione, venne incoronato a Santa Sofia, confermò tutte le promesse fatte ai crociati, ai Veneziani e al Papa con l’unione delle Chiese e (soprattutto) il figlio Alessio volle che i crociati sostassero ancora un anno a Costantinopoli, per consolidare il proprio potere, fra il disappunto dei Veneziani che si vedevano incrementare ulteriormente le spese, tanto da concludere un ulteriore accordo in proposito.

 

Ma la presenza degli stranieri covò lo spirito xenofobo dei Greci finché a causa di un brutto episodio esplose il disastro. Per difendersi da alcuni Bizantini, un gruppo di Pisani, Veneziani e Fiamminghi appiccicarono il fuoco ad alcune case, che divampò su tutta la città. Fu la spaccatura totale. 15.000 latini residenti fuggirono, attraversando il porto raggiunsero i crociati e come citano le cronache di Villehardouin: “Da allora furono divisi i Franchi dai Greci, perché non furono più amici…”. L’imperatore si rifiutò di pagare i tributi stabiliti nei contratti, il doge Enrico Dandolo lo minacciò, finché una notte i Greci lanciarono diciassette imbarcazioni incendiarie verso la flotta veneziana che la scampò per poco. Nella confusione generale i Bizantini reclamarono l’abdicazione del nuovo imperatore che chiese aiuto ai nemici crociati, ma finì strangolato da un suo collaboratore che prese il potere come Alessio V.

 

I crociati non avevano mezzi per proseguire e non potevano rimanere nella difensiva, quindi decisero di riprendere Costantinopoli. Visto il precipitare della situazione ci fu l’ennesimo accordo fra i crociati e i Veneziani che volevano trarne il massimo del guadagno. L’elezione di un imperatore latino, la spartizione dell’Impero, la supremazia della Chiesa Romana su quella greca, tutti i diritti precedentemente goduti da Venezia nell’impero e il riconoscimento di una posizione di privilegio nel futuro assetto di quello che si sarebbe chiamato Impero Latino d’Oriente, avrebbero fissato le basi dell’impero coloniale veneziano nel Mediterraneo orientale. Attaccarono ancora una volta la città nel 1204, e mentre Alessio V fuggì, la devastarono e la saccheggiarono. Quando i capi crociati intervennero, fu per ordinare che tutto il bottino venisse depositato in tre chiese sotto la guardia dei Franchi e dei Veneziani, “i più leali fra tutti” (Villehardouin). Nel bottino ci furono anche i quattro cavalli di bronzo che successivamente decorarono la basilica di San Marco.

 

Galera veneziana

Galera veneziana

 

Nel maggio 1204 dodici elettori designati elessero al trono il nuovo sovrano dell’Impero Latino d’Oriente, Baldovino di Fiandra, mentre una commissione di 25 ripartitori si occuparono della suddivisione dei territori redigendo la Partitio Romanae. Nel documento venne attribuito all’imperatore un quarto dell’impero, le altre parti furono assegnate al marchese Bonifacio, ai baroni crociati e i Veneziani si assicurarono le terre che potevano garantire sicurezza ai loro commerci: l’Epiro, le isole Ionie, l’Arcnania, l’Etolia, parte del Peloponeso, le isole Egina e Salamina, le fortezze Oréos e Caristo nell’Eubea, le isole Cicladi, la penisola di Gallipoli, Lampsarco ai Dardanelli, la provincia di Adrianopoli e i tre ottavi di Costantinopoli con i porti del Corno d’Oro. Inoltre gli fu garantita completa immunità doganale e fiscale in tutto l’impero più il diritto di esclusione dei suoi concorrenti in ogni piazza e in ogni porto dell’impero. A questo si aggiunse l’acquisto da Bonifacio di Monferrato dell’isola di Creta. Il doge assunse il meticoloso titolo di “dominatore della quarta parte e mezza di tutto l’impero di Romania” che portò per poco, Enrico Dandolo morì di fatica nel 1205 durante una marcia forzata, dopo una battaglia contro i Bulgari.

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