Serenissima – La flotta

Su richiesta di Antonella, un breve stralcio sulla flotta veneziana.

Normalmente le cariche gerarchiche navali Veneziane erano differenziate nei tempi di pace da quelli di guerra. Nei primi, al vertice c’era un provveditore generale “da mar”, subito dopo veniva il provveditore della Dalmazia e Albania, con sede a Zara, e il capitano in Golfo, responsabile della sicurezza nell’Adriatico. La navigazione della flotta veneziana durante il millennio della sua storia si fondò su navi tonde e navi lunghe o sottili (le galee). La differenza stava nella propulsione, la nave tonda navigava esclusivamente con le vele, mentre la nave lunga anche con i remi che servivano per le manovre in porto, nei momenti di vento scarso o controvento e per rapidi movimenti in battaglia. Tra i due tipi di navi ci fu complementarietà e non concorrenza, ma alla lunga fu la nave tonda che ebbe il sopravvento, anche se alla fine della Repubblica c’erano ancora galee nell’Arsenale, mentre si sperimentavano i primi battelli a vapore.

 

Galea veneziana

Galea veneziana

 

Anche qui le gerarchie erano differenti: per la flotta delle navi lunghe, dopo il provveditore generale veniva il provveditore d’armata, mentre il governator de’ condannati era un comandante del corpo equipaggi. Le galeazze erano comandate da un governatore, mentre le galere da un sopracomito, tutti patrizi eletti dal Maggior Consiglio, come anche tutti i comandanti in seconda.

 

Fino al 1500 i rematori furono uomini liberi che ricevevano un regolare salario, anche se la vita a bordo era pesante. Venivano dotati di un berretto rosso, simbolo del galeotto, di una scodella e di un cucchiaio. In genere occupavano tre posti per remo, il terzicchio più vicino al mare, il postizzo in mezzo e il vogavanti interno. Il remo era lungo 12m e nella voga a scaloccio per poterlo impugnare era corredato da maniglie di ferro, a differenza della voga sensile dove un solo galeotto impugnava il remo di 10m. Le spalle erano sempre rivolte nella direzione della galea. I galeotti erano comandati dal comito, (braccio destro del sopracomito, il comandante) che era un marinaio, spesso di origini borghesi o tratto dai marinai e veniva promosso a tale titolo secondo procedure meritocratiche o di raccomandazione-clientela, esperto in navigazione era coadiuvato dall’aguzzino che armato di scudiscio, dalla corsia, faceva rispettare gli ordini. Quando c’era l’obbligo di voga si procedeva a quartiere (un terzo o metà dei vogatori) in turni di 90 minuti con voga strappata (voga lenta), mentre in caso di pericolo si procedeva con voga arrancata (più corta e frequente) alla quale partecipavano tutti i galeotti, ma che non poteva essere tenuta per molto. La velocità media di una galea, in trasferimento a remi, non superava i due o tre nodi, mentre con le vele poteva raggiungere anche dieci o dodici nodi. La mercanzia era la cosa più preziosa a bordo, più preziosa dei galeotti, e in quanto tale veniva trattata. La presenza a bordo di più di 200 persone (fra galeotti, marinai e soldati) su una superficie di 250 metri quadri rendeva la navigazione una vera avventura.

 

La galea era una nave lunga e sottile perché aveva bisogno di spazio per far posto ai remi, più remi più potenza. Le varie evoluzioni delle galee portarono ai gruppi di più remi:

 

 

O potevano avere uno, due o tre alberi:

 

 

Nella trasformazione della galeazza nel XVIII secolo scomparve lo sperone o rostro, la cui utilità rimase marginale per l’avvento dell’artiglieria:

 

 

Le sei galeazze schierate davanti alle 202 galee veneziane e alleate, ebbero un ruolo fondamentale nella battaglia di Lepanto. Le galeazze erano alte, pesanti, grosse e lente, ma potentemente armate di cannoni e furono sempre navi militari. Le galee si usavano nel commercio per la regolarità della loro navigazione che poteva contare sul remo quando mancava il vento, inoltre l’equipaggio numeroso garantiva una valida difesa per ogni evenienza, soprattutto quando nel XIV secolo vennero introdotte le galere, grosse, più capaci, potendo portare duecento tonnellate di carico e duecento uomini di equipaggio. Nella raffigurazione il recinto verso poppa serviva quale trasporto di animali vivi, come riserva di carne:

 

 

Nella flotta a vela (le navi tonde) c’erano il “provveditore estraordinario delle navi”, l’almirante delle navi, il patrona delle navi, e, alla testa di ciascuna nave a vela, un governatore, coadiuvato da uno o più nobili di nave. I compiti subalterni, non spettanti a patrizi, erano svolti da almiranti (erano i comandanti delle navi generalizie), comiti, piloti e, nelle navi a remi, aguzzini e aguzzinotti, responsabili delle ciurme dei rematori, i quali, dalla seconda metà del Cinquecento in poi, come s’è detto, non erano più volontari, ma “sforzati“, salvo una percentuale modesta di sorteggiati tra gli abitanti di Venezia, Dalmazia e isole Ionie, prigionieri turchi o barbareschi e condannati comuni, incatenati ai banchi di voga.

 

Alcune immagini che fanno comprendere le principali caratteristiche delle navi tonde mediterranee precedenti l’innovazione dell’arte navale che costituì una sorta di rivoluzione nautica nel XIV secolo e seguenti. Da un manoscritto veneziano del ‘300, dal rilievo pisano del XIII secolo, da un mosaico di San Marco e dal rilievo dell’arca di San Pietro Martire a Milano del 1339, si ricava l’idea di un tipo di nave dalle linee alquanto tondeggianti, dritto di poppa e di prua molto arcuati (nel bassorilievo pisano, con chiara impronta romana) castelli a poppa e a prora, doppio timone laterale secondo la tradizione romana, da uno a tre alberi con grande vela latina, coffa in testa d’albero.

 

 

 

Le raffigurazioni tardo medievali e rinascimentali mostrano i mutamenti intervenuti nella tecnica navale con la bella nave con grande albero di maestra e mezzanella che naviga a vela gonfia di vento (da un dipinto del primo ‘400) e la grande nave a quattro alberi (dalla veduta prospettica di Venezia di Jacopo de Barbari) di cui si rende anche la ricostruzione.

 

 

 

 

E assieme all’elegante nave vista di poppa (da uno dei teleri con le storie di sant’Orsola del Carpaccio) hanno tutte due fondamentali caratteristiche nuove, frutto dell’influenza in Mediterraneo delle marinerie atlantiche: il timone centrale a poppa, più solido e di più facile governo dei timoni laterali, e la vela quadra che rende molto di più nelle andature con venti portanti e di più facile manovra.

 

 

La destinazione della nave tonda era in maggior parte mercantile, mentre quella della nave lunga era prevalentemente militare, una distinzione dal valore relativo: le flotte regolari commerciali dello stato (mude) erano composte di galee, ma le navi tonde potevano essere temibili arnesi di guerra. In periodi turbolenti navigavano isolate per fini commerciali, a differenza delle galee che viaggiavano in convoglio, appunto perché erano in grado di resistere da sole a galere nemiche o pirate.

 

In tempo di guerra, veniva eletto un capitano generale “da mar“, comandante in capo con poteri più vasti, coadiuvato dal provveditore generale, dal provveditore d’armata e dagli altri alti ufficiali, i “capi da mar“, che formavano, con lui, la “consulta” decisionale. Il Senato mandava ordini che arrivavano a destinazione almeno dieci o quindici giorni dopo, ma il comandante in capo, per applicarli (o, quando non arrivavano, per impartire i propri) aveva l’obbligo di radunare la “consulta” e interpellarla, in un principio di direzione militare democratica in cui c’erano stati casi dove la consultazione era stata allargata a tutti i sopracomiti e governatori, o addirittura a tutti gli equipaggi.

 

Sebastiano Venier con le insegne di Capitano Generale da Mar in un dipinto di Tintoretto

Sebastiano Venier con le insegne di Capitano Generale da Mar in un dipinto di Tintoretto

 

I capi da mar vestivano con corazza e cotta di maglia, sopra le quali indossavano un manto (la romana) più o meno riccamente drappeggiato, a seconda del grado, fermato sulla spalla da grossi bottoni metallici a forma di olive. In capo portavano il caratteristico berretto “a tozzo” o “a tagliere”, in mano il bastone di comando, che poteva essere di tartaruga e oro, ma più spesso d’ebano, o d’avorio. Normalmente, il capitano generale si imbarcava su una cosiddetta “galera bastarda”, a vela e a remi, che aveva la tenda a “sferzi” (strisce) bianchi e scarlatti e montava a poppa un fanale a tre luci, il “fanò” corrispondente al suo grado. Anche le navi, o le galere degli altri “capi da mar” si distinguevano per i “fanò” collocati a poppa. I fanali potevano essere anche d’argento e venivano portati a casa dal capo da mar alla fine del servizio.

 

Quanto agli scafi, lo strumento di guerra più temprato, più agile e più aggressivo restava sempre la galera: sottilissima rispetto alla lunghezza, bassissima sul livello del mare, e perciò spazzata di sovente in coperta dalle ondate, era una delle imbarcazioni più disagevoli che si possano immaginare, tanto più che ai vogatori, costretti a sopravvivere su pochi centimetri quadrati di banco foderato di vacchetta, si aggiungevano balestrieri, truppe da sbarco, soldati, tutta una folla di gente che, a bordo, mangiava, dormiva e soddisfaceva ai propri bisogni naturali. In quelle condizioni, un lungo tragitto col mare agitato poteva essere una pena. Quanto alle galeazze erano galere assai più lunghe (più di cento metri) e un po’ più larghe, irte di artiglierie.

 

Il rancio (nome derivante da rancido per l’abitudine di coprire con l’aceto il gusto marcio dell’impasto di acqua e farina condita con acqua di mare) delle ciurme (“sforzati” e marinai, nonché milizie da sbarco, balestrieri, archibugieri, artiglieri) era essenzialmente basato sul pane biscotto, preparato a Venezia nei forni prospicienti la Riva degli Schiavoni vicino all’Arsenale, ma anche in altri stabilimenti sparsi nell’impero veneziano. I contratti d’appalto per la confezione di questo cibo essenziale, servito sotto forma di minestra, ammollato con l’olio e talvolta anche con acqua di mare, erano spesso discussi in Senato e in Maggior Consiglio in quanto si sospettavano sempre truffe dei fornitori e lucri illeciti dei comandanti.

 

Per finire una curiosità tecnica, più aumentava il tonnellaggio delle navi, maggiori erano gli ostacoli che comportavano i bassi fondali della laguna. Era stato così inventato un sistema per sollevare le navi usufruendo di cassoni immergibili detti “cammelli” applicati lungo le fiancate. (Ricordando la Costa Concordia, Nick Sloane non ha inventato niente che sul suolo italico non fosse già stato inventato).

 

Progetto di cassoni laterali.

Progetto di cassoni laterali.

 

Veliero da 74 cannoni sollevato per la navigazione in laguna.

Veliero da 74 cannoni sollevato per la navigazione in laguna.

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