Serenissima – Candia (Creta)

Dato il numero di commenti che mandano in tilt Disqus, ho preparato un’altra saga della storia di Venezia, spero di non disturbare nessuno.

 

L’inizio del XVII secolo fu rappresentato da una recrudescenza della guerra di corsa in tutto il Mediterraneo. Ai pirati barbareschi si erano aggiunti i Cavalieri di Malta e i Cavalieri di Santo Stefano, istituiti e foraggiati dai Medici per proprio uso utilitaristico. Entrambi dimostrarono la loro aggressività assalendo anche i mercantili veneziani con la scusa che trasportavano merci turche ed ebree. Lo stesso facevano i corsari inglesi e olandesi; la pirateria era ormai diventata un’industria, forse la più grande industria del 1700 ed interessava non solo merci ma anche esseri umani. Per Venezia il peggio era rappresentato dalla pirateria degli Uscocchi, gli slavi della costa croata che inizialmente furono slavi fuggiti dai turchi a cui si unirono evasi, ladri, assassini, banditi e criminali, che commettevano ogni tipo di atrocità, sotto la protezione degli arciduchi d’Austria.

 

A Lesina una galera veneziana fu aggredita da un “commando di Uscocchi” e catturata. Tutto l’equipaggio fu massacrato, e al comandante, dopo essere stato decapitato, fu tolto il cuore dal petto ancora palpitante e mangiato. L’orribile episodio fece molto scalpore, ma le rimostranze di Venezia verso l’arciduca Ferdinando ottennero come risposta che l’Austria sarebbe intervenuta solo se si fosse risolto il nodo della libera circolazione nell’Adriatico. Le tensioni sfociarono nella guerra di Gradisca, sul confine friulano, che durò due anni. Una guerra senza grandi battaglie, logorante per ambo le parti che avevano in comune le beghe fra i capi, l’indisciplina e la scarsa combattività delle truppe regolarmente pagate in ritardo.

 

Castello di Gradisca

Castello di Gradisca

 

La guerra austro-veneziana venne presa a pretesto per una grande rivolta per trascinare Carlo Emanuele di Savoia (che aspirava alla Lombardia) assieme all’Inghilterra, all’Olanda e l’Unione Protestanti tedesca in una grande coalizione contro gli Asburgo. Ma il Senato non accettò, non essendo il momento propizio e tutto si fermò. Si mosse la Spagna come mediatrice e fu firmata la pace senza alcuna conquista territoriale da ambo le parti, ma ci fu l’impegno austriaco a trasferire gli Uscocchi a 50 miglia dal mare, a bruciare tutte le loro barche e le loro capanne, lasciando insoluto il problema del dominio nell’Adriatico.

 

Nonostante tutto, fra l’interdetto, che non era stato indolore, nonostante la vittoria e la guerra con l’Austria, l’atmosfera a Venezia continuava a essere pesante. E in questo clima di tensione si aggravò la sensazione di accerchiamento, con l’attività anti-veneziana di due importanti rappresentanti del re di Spagna in Italia: il governatore di Milano e il Viceré di Napoli provocando in città un’atmosfera piena di sospetti di infiltrazioni di agenti nemici e di spie, producendo un’aria da “caccia alle streghe”, di cui fecero le spese anche innocenti perseguitati dagli Inquisitori di Stato.

 

Allo stesso tempo mercanti francesi, olandesi, inglesi invadevano il Mediterraneo, ma il peggio fu che ottennero dai turchi dazi minori di quelli veneziani, determinandone la decadenza nel commercio marittimo. In realtà l’economia veneziana si reggeva sempre più sull’industria e l’agricoltura, che sul commercio. Poi cominciarono a declinare anche le industrie, un tramonto favorito dall’insorgere delle grandi compagnie degli Stati occidentali: La Compagnia delle Indie inglese e La Compagnia delle Indie Orientali Olandese. E con l’Indonesia nelle mani dell’Olanda, il commercio di spezie veneziano conobbe alla fine l’inaridimento.

 

Dopo la fine della guerra di Gradisca la politica italiana non aveva attraversato momenti felici, Venezia si era rifiutata di partecipare alle leghe antispagnole, firmò solo un patto di reciproca assistenza e difesa con l’Olanda. Ma prese parte attiva alla guerra in Valtellina, per bloccare l’espansionismo spagnolo in una zona che rappresentava una via di commercio verso l’Europa continentale. Nella guerra ci furono da un lato la Spagna, dall’altro le leghe Grigioni, Francia, Savoia e Venezia. L’attivismo veneziano fu ancora una volta ingannato: Spagna e Francia si accordarono a sua insaputa. Continuarono quindi da parte del Senato le diffidenze e la riluttanza a farsi trascinare in ulteriori conflitti. Da qui la neutralità diventò un assioma, facendosi arbitra di pace e mediazione con il potere della sua diplomazia. La pace di Westfalia, che mise fine alla guerra dei Trent’anni, fu un capolavoro di Alvise Contarini, grande diplomatico veneziano, assieme agli sforzi congiunti dei suoi colleghi di Parigi, Madrid e Vienna. Umiliata e depressa recuperò autorità in campo internazionale ottenendo con i negoziati ciò che con la guerra non poteva più avere.

 

Nel 1630 scoppiò un’epidemia spaventosa di peste (quella raccontata dal Manzoni) morì il doge, fu eretta la basilica di Santa Maria della Salute per scongiurare la fine dell’epidemia mentre il 18 novembre di quell’anno la cifra ufficiale delle vittime fu di 46.490, più di un quarto della popolazione.

 

Ma contemporaneamente c’erano nubi scure che si addensavano all’orizzonte, l’interesse del turco per l’isola di Creta, territorio veneziano fin dal 1204. Fu un atto di pirateria dei Cavalieri di Malta a far precipitare le cose che nel 1644 attaccarono un pacifico convoglio turco diretto alla Mecca pieno di pellegrini. Riuscirono a catture una galera e sulla via del ritorno, per colpa del maltempo, si rifugiarono nella rada di Kalismene, sulla costa meridionale di Creta. Appena la notizia arrivò a Costantinopoli, il sultano Ibrahim accusò Venezia di connivenza con i Cavalieri.

 

Francesco Morosini

Francesco Morosini

 

Cominciarono i preparativi per allestire una grossa flotta nell’arsenale di Costantinopoli e quando il bailo veneziano avvertì la Repubblica che le forze erano destinate a Creta, la notizia fu presa leggermente, con esitazione, con incertezza per non contrastare gli scambi commerciali, in quanto i turchi continuavano a sostenere che si stavano preparando per dare una lezione a Malta e ai suoi Cavalieri.

 

Il 30 aprile 1645 uscì dai Dardanelli la flotta ottomana, forte di quattrocento vele e di cinquantamila combattenti, ufficialmente sempre diretta a Malta. Il 24 giugno a Creta il provveditore generale ricevette un rapporto che da capo Spada si vedeva un’immensa foresta di vele. La sera stessa l’armata turca approdò sull’isola e cinquantamila turchi sbarcarono a 15 miglia da Canea che fu subito assediata mentre le milizie veneziane scappavano. Fino a quel momento nessuna nave veneziana aveva disturbato le manovre dei turchi.  La Repubblica reagì con una lentezza incredibile mettendo assieme una coalizione con cinque galere del papa, cinque toscane, cinque di Napoli e sei di Malta che a settembre arrivarono a Creta e un mese dopo tagliarono la corda. Canea era già in mani ottomane e la guerra di Creta si incancrenì per ventiquattro anni di lotta.

 

Finalmente il Senato fortificò tutte le fortezze, da Corfù alla Dalmazia al Friuli e ai castelli del Lido. Le spese della guerra furono astronomiche, al punto che si riaprì il Maggior Consiglio a nuova nobiltà (i patrizi per soldo) che portò parecchi denari e scese a compromessi con il papa, riammettendo nel territorio veneziano i gesuiti da cui erano stati banditi, in cambio dei beni di diverse confraternite religiose.

 

Nel 1667 la situazione a Creta si trovava in una situazione di stallo. Venezia era allo stremo e i turchi che nel 1645 pensavano ad una passeggiata militare non erano più quella potenza dalle smisurate risorse come ai tempi di Solimano il Magnifico. Ma con il nuovo visir Ahmed Koprolu gli ottomani si erano riorganizzati, a differenza delle costanti incertezze del Senato veneziano per il quale si doveva tenere Creta, ma non vincere troppo, non sfasciare l’impero Ottomano, non creare un vuoto nell’instabile equilibrio del levante a favore di Spagna e Francia. Ma il visir aveva deciso che quella guerra era costata troppo, e prese personalmente il comando delle forze armate.

 

Dominio veneziano nel 1669

Dominio veneziano nel 1669

 

Nonostante una brillante vittoria del capitano da mar Francesco Morosini, nonostante i veneziani non fossero più soli avendo l’appoggio della Francia tramite denari dal cardinale Mazzarino e truppe di nobili disorganizzate che non riuscirono a dare una svolta al conflitto, il 26 settembre 1668, Francesco Morosini, con lo stesso coraggio che aveva dimostrato in tutte le battaglie, prese su di sé la responsabilità di concludere la pace con la cessione di Creta, salvo le basi navali di Suda, Grabusa e Spinalonga. Imbarcò sulle proprie navi i profughi veneziani, la quasi totalità della popolazione della capitale, le reliquie, le immagini sacre e gli archivi di quattrocentosessantacinque anni di dominazione. Il 7 dicembre il Senato veneziano comunicò al resto d’Europa la perdita del regno di Candia (Creta).

I commenti sono chiusi.